martedì 26 marzo 2013

Mafia, Dell’Utri condannato a 7 anni


“Questo romanzo criminale continua” Pericolo di fuga, il pg chiede l’arresto l’ex senatore del Pdl accusato di concorso esterno in associazione. «Deluso, ma accetto il verdetto»


palermo
La formula usata nel verdetto per un attimo l’ha illuso. Una speranza breve quella di Marcello Dell’Utri alimentata da quell’ «in parziale riforma», letto dal presidente della corte d’appello, che gli ha fatto credere a un ribaltamento della sentenza di condanna. Ma l’ottimismo dell’ex senatore, per cui il pg ha chiesto l’arresto per pericolo di fuga, è durato poco più di un istante: bruscamente interrotto dal «ridetermina la pena in sette anni di reclusione» che non gli ha più lasciato scampo.

Dopo 19 anni di alterne vicende giudiziarie e tre sentenze - due di condanna, rispettivamente a 9 e 7 anni, - ecco il quarto verdetto: l’ex manager di Publitalia è colpevole di concorso in associazione mafiosa. Nessuna assoluzione, nessuna dichiarazione di prescrizione, come auspicavano i legali, anche se i fatti contestati risalgono ormai a trent’anni fa.

La terza sezione della corte d’appello di Palermo, chiamata a rivalutare l’immenso materiale probatorio portato dall’accusa dopo l’annullamento del verdetto di secondo grado da parte della Cassazione, ha deciso. E, anche se per avere un’idea precisa del ragionamento seguito dal collegio occorre aspettare le motivazioni, ha accolto la tesi della procura prima, poi della procura generale: Marcello Dell’Utri per oltre 30 anni ha avuto rapporti con boss di prim’ordine come Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Ignazio e Giovan Battista Pullara’, e ha garantito a Silvio Berlusconi, che in cambio avrebbe pagato fior di milioni, la protezione delle cosche. Sembrano superati, dunque, i dubbi della Suprema Corte che aveva mosso una serie di appunti al ragionamento della precedente corte d’appello conclusosi con la condanna a 7 anni. Per la Cassazione, che aveva segnato il cammino entro il quale il nuovo collegio si sarebbe dovuto muovere, andavano riesaminate le accuse contestate a Dell’Utri per i periodi compresi tra il 1977 e il 1992.

I giudici romani in sostanza avevano ritenuto provate le collusioni mafiose dell’ex senatore fino al 1977 e avevano confermato l’assoluzione, a questo punto definitiva, dalle accuse contestate all’imputato per i fatti successivi al 1992. Tutto il periodo intermedio era da rivalutare. E questo, a tempo di record - il processo è durato meno di un anno - ha fatto la nuova corte che ha riesaminato 30 anni di storia del braccio destro di Silvio Berlusconi.

Un processo veloce, quello del collegio presieduto da Raimondo Lo Forti, celebrato non dimenticando mai l’incombente prescrizione che maturerà nel luglio del 2014. E al termine una sentenza che in qualche modo fa rivivere il verdetto annullato, che come quello di oggi aveva previsto una pena di 7 anni. Soddisfatto il pg Luigi Patronaggio che, in una breve replica, aveva voluto precisare che quello celebrato non è mai stato un processo politico. Delusi i legali, gli avvocati Giuseppe Di Peri, Pietro Federico e Massimo Krogh. Solo apparentemente sereno l’imputato che, per la prima volta, forse per dissipare il dubbio sulle sue intenzioni di lasciare il Paese, ha ascoltato in aula il verdetto: «aspetto le prossime puntate di questo romanzo criminale che non poteva finire qui», ha commentato. Resta da capire se l’istanza di arresto della procura generale sarà accolta dalla corte.

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