venerdì 29 marzo 2013

L'impero di "don" Musolino: 150 milioni sequestrati al monopolista dell'industria boschiva vicino ai clan

 

Bloccato un patrimonio sconfinato nella provincia di Reggio Calabria: centinaia tra terreni e fabbricati. E diversi milioni di euro sui conti. Un colpo durissimo per l'anziano imprenditore di Santo Stefano d'Aspromonte indagato più volte per 'ndrangheta e ritenuto amico amico dei Serraino, dei Nirta di San Luca e di altre consorterie storiche
 
di GIUSEPPE BALDESSARRO

REGGIO CALABRIA - Gli hanno levato tutto. Ieri mattina sono arrivati i sigilli e gli amministratori giudiziari. Ed è un sequestro preventivo che per entità ha pochi precedenti. Gli hanno tolto decine e decine di terreni, boschi di castagno, agrumeti, vigneti. Gli hanno bloccato il “bosco alto” e il “seminativo”. E poi i capannoni, e gli appartamenti in diversi comuni. A partire da quelli di Reggio Calabria, per arrivare a Molochio e a Santo Stefano d’Aspromonte, suo paese natale.

Gli hanno sequestrato un impero, mettendo mano ad una fortuna sterminata. La fortuna che don Rocco Musolino aveva costruito incontrastato negli anni, creando una sorta «di monopolio dell’industria boschiva». Classe 1927, Rocco Musolino, è stato protagonista di diverse inchieste di ‘ndrangheta. Inchieste e processi, come “Olimpia” che lo hanno visto sempre assolto, pulito. Eppure per i magistrati della Dda di Reggio Calabria, Musolino ha costruito il suo regno milionario facendo leva su rapporti consolidati con gli ambienti mafiosi. Una contestazione che gli era già stata fatta in passato, quando erano stati sequestrati i tanti beni che gli vennero poi restituiti per decisione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.Ora però il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il pm Stefano Musolino, hanno messo assieme ulteriori elementi. Altre prove da aggiungere a quelle che in una decina di anni addietro non avevano retto. Materiale utile a sostenere un’accusa di “pericolosità sociale”, accolta dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio calabria, che ha quasi per fatta propria la richiesta della procura. Il sequestro riguarda il patrimonio aziendale dell’impresa individuale “Musolino Rocco di Francesco” ed i relativi conti correnti, le quote sociali e il patrimonio aziendale della “Maius Immobiliare”, intestata a Rocco Musolino e alla moglie Caterina Briganti, e poi ancora tutti i conti correnti intestati a Musolino alla moglie e alla figlia Francesca. Un tesoro sterminato cui vanno aggiunti centinaia tra terreni, capannoni, e fabbricati sparsi nell’intera provincia. E si parla di diverse decine di milioni di euro se si pensa che soltanto in un paio di conti correnti sono saltati fuori contanti per 4 milioni e mezzo di euro.Chi è Rocco Musolino lo spiegano i giudici nel provvedimento notificato nella mattinata di ieri.

Provvedimento che nasce dall’agguato che lo stesso Musolino subì il 23 luglio del 2008, quando in compagnia di Agostino Priolo si stava recando in una della sue aziende nel Comune di Santo Stefano d’Aspromonte. Fucilate che per fortuna non andarono a segno, ma sulle quali le forze dell’ordine hanno lavorato per mesi. E’ stato scoperto così che Rocco Musolino, nonostante l’età, se ne andava in giro con una pistola (regolarmente detenuta) con il colpo sempre in canna e con un caricatore di riserva. Dalla perquisizione conseguente saltò fuori anche una lettera di minacce indirizzata alla figlia un anno prima. Una lettera mai denunciata alle forze dell’ordine. Quanto basta a far redigere alla Dia e ai carabinieri fior di informative nelle quali trovano posto anche una serie di intercettazioni recenti.
Musolino era già stato citato nel tempo da pentiti di rango come Giacomo Ubaldo Lauro, Antonino Zavettieri e Paolo Iannò. Dichiarazioni insufficienti secondo i giudici che lo mandarono assolto in Olimpia. Tuttavia a quelle parole sono oggi associate le intercettazioni del 2010 in cui Pasquale Libri (nipote acquisito di Musolino) parla dell’anziano assieme a Carlo Chiriaco (persona arrestata nell’ambito dell’inchiesta Crimine). I due commentano il fatto che Musolino non abbia più la forze di un tempo «nè il vecchio apparato». Per i magistrati è il segno che, quantomeno in passato, quell’apparato esistesse. Secondo i giudici «anche se è vero che Musolino, come sostenuto da Libri, non potesse più contare sulla solida protezione che aveva in passato, ciò nonostante, lo stesso ha continuato ad esercitare, in modo del tutto illecito, la sua auctoritas, specie nei luoghi in cui egli vive ed esercita la propria influenza». E sarebbe proprio grazie a questa influenza che Musolino negli anni sarebbe cresciuto a dismisura conquistando il monopolio dell’industria boschiva.

Una parabola ascendente, incontrastata e incontrastabile. Don Rocco era amico dei Serraino, dei Nirta di San Luca e di altre consorterie storiche della ‘ndrangheta, al punto da far scrivere ai magistrati che sono tanti «gli indizi di appartenenza alla ‘ndrangheta già presi in considerazione (in passato, ndr)», cui la Procura «ne ha offerti di ulteriori e diversi, che consentono di poter affermare che il proposto nel corso degli anni, sfruttando le proprie relazioni illecite, si sia inserito a pieno, e con ruolo assolutamente verticistico, nel panorama criminale reggino, riuscendo ad intessere strette, solide e perduranti relazioni con i più importanti gruppi criminali, divenendone interlocutore illustre e privileggiato».

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