Questo blog di notorietà internazionale, per protesta contro uno “Stato Latitante” non verrà aggiornato.
lunedì 16 novembre 2009
Pizzini e 140 mila euro in contanti
Pizzini e 140 mila euro in contanti
La polizia setaccia la casa bel boss
Inquirenti al lavoro dopo l'arresto di
Raccuglia, numero 2 di Cosa Nostra
TRAPANI
Il covo in cui si nascondeva il boss latitante Domenico Raccuglia, catturato ieri pomeriggio, si trova in via Salvatore Cabasino, una strada periferica di Calatafimi (Trapani) che collega le campagne del paese con il centro abitato.
La palazzina ha quattro piani in cemento e mattoni, è disabitata e all’esterno due pattuglie della polizia di Stato presidiano gli accessi che sono sbarrati dai nastri biancorossi della questura sormontati dai cartelli con su scritto «Immobile sottoposto a sequestro giudiziario». La gente di Calatafimi, sorpresa e curiosa, passa da via Cabasino, si sofferma davanti al portone d’ingresso contrassegnato dal numero civico 80 e, dopo una velocissima fermata densa di interrogativi che ci si scambia velocemente, prosegue verso la piazza. Del resto, l’arresto di Raccuglia e la sua presenza qui è il tema del giorno.
Raccuglia ha tentato di scappare dal terrazzo di casa portando con se un sacchetto. Ma il capomafia latitante non immaginava che l’immobile fosse completamente circondato dagli uomini della Catturandi. Nel sacchetto, si è poi scoperto, c’erano quasi 140 mil euro, due pistole e diversi pizzini, molti dei quali scritti a mano e alcuni scritti a macchina. Dalla notte scorsa i pizzini, cioè i biglietti fatti arrivare al capomafia, attraverso i "postini" della mafia, sono al vaglio degli investigatori che stanno tentando di decifrare il contenuto. Topo secret ancora il contenuto, ma si sa che ci sono delle indicaizoni «molto importanti» per gli inquirenti.
In una giornata di sole Calatafimi si è infatti svegliata con il bubbone di un boss mafioso che si nascondeva in un edificio di questa cittadina; e la zona a pochi passi dall’area archeologica di Segesta all’improvviso si è rivelata a tutto il mondo come una delle ’capitalì di Cosa nostra, dove si nascondeva uno dei ’nuovì capi dell’organizzazione criminale alla ricerca di una strada per rialzarsi dopo i numerosi colpi assestati dalle forze dell’ordine. La polizia non consente a nessuno di entrare nell’edificio e sono ancora in corso le perquisizioni degli uomini della Squadra mobile di Palermo nei vani della palazzina, mentre gli esperti della Scientifica stanno proseguendo i rilievi tecnici alla ricerca di tracce, impronte e reperti che possano essere utili ai fini dell’indagine.
Domenico Raccuglia si nascondeva all’ultimo piano della palazzina dalla quale ha cercato di fuggire attraverso i tetti non riuscendo nell’impresa in quanto tutta la zona era stata cinturata dai poliziotti. All’interno del covo la polizia ha trovato anche il televisore che ha fornito l’ultimo spunto investigativo agli uomini della "Catturandi" per capire che all’interno vi fosse il latitante di Altofonte. Cinque i tecnici del gabinetto regionale della polizia scientifica di Palermo che, poco prima dell’1.30, sono entrati nella palazzina che fino a ieri pomeriggio ha ospitato il superlatitante Domenico Raccuglia. Gli esperti della Scientifica utilizzano speciali apparecchiature nella ricerca di armi e munizioni, nonchè altre strumentazioni che servono a rilevare tracce biologiche e impronte. In via Salvatore Cabasino, nel centro di Calatafimi, sono arrivati anche gli investigatiori del commissariato di Alcamo mentre alcuni residenti si avvicinano timidamente nella zona dei rilievi scientifici, ma dopo qualche minuto si allontanano.
Ieri sera nella piazza attigua alla strada, circa 200 giovani hanno applaudito gli investigatori palermitani che hanno catturato Raccuglia e hanno apostrofato il boss mafioso con parole colorite. L’ispezione tecnica è stata preceduta da una bonifica di tutti gli ambienti dopo che nel borsone lanciato da una finestra dal boss di Altofonte sono state trovate armi e munizioni. Al vaglio della magistratura i pizzini, i documenti e la provenienza dell’ingente somma di denaro che il boss nascondeva nel borsone.
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