lunedì 10 febbraio 2014

Napoli. Bruciato vivo nell'auto: vendetta per armi e droga



GIUGLIANO. Il Dna e il numero di matricola della protesi al femore sinistro: questi i due indizi per avere certezza e dare definitivamente un nome al corpo carbonizzato nel bagagliaio dell’auto di Varcaturo.

Le indagini dei carabinieri non tralasciano nulla. Nessun indizio, anche quello più scontato. Ci sono due certezze: da un lato un cadavere di un uomo ucciso con un colpo di pistola e poi carbonizzato nell’incendio dell’auto data alle fiamme con della benzina; dall’altro la scomparsa di un trentaduenne, Antonio Iavarone che aveva in uso l’auto.

Due certezze che si tenta di far collimare, unire: sono tanti i punti comuni, troppi. Il primo: la protesi al femore scoperta sul cadavere, anche il 32enne scomparso aveva avuto anni fa un problema simile. L’auto, intestata alla suocera dell’uomo, veniva utilizzata dallo stesso per il suo lavoro. Antonio Iavarone è un libero professionista, un piccolo imprenditore che si occupa dell’istallazione di climatizzatori. Il trentaduenne ha piccoli reati, quelli generici, quelli definiti «contro il patrimonio».

Uno è quello che risalta agli occhi: la ricettazione di una pistola, reato commesso quando era minorenne, aveva 17 anni. Era la fine degli anni Novanta e Iavarone fu fermato con una pistola e spedito al centro di prima accoglienza dei Colli Aminei, poi la pena fu scontata. A distanza di oltre quindici anni, nell’auto che lui ha in uso, viene scoperto un cadavere e una pistola: caso strano, ma che per ora fa parte delle tante ipotesi investigative.
Il traffico di armi è una delle strade su cui si stanno indirizzando parte delle indagini: l’uomo ucciso potrebbe essere stato attirato in una trappola con la scusa di voler comprare la pistola e poi trucidato.

Ipotesi che chiarirebbe il motivo dell’abbandono della 357 Magnum - scarica - nel bagagliaio. Ma gli inquirenti dei carabinieri lavorano a 360 gradi, non danno nulla per scontato. Tra i moventi dell’agguato mortale c’è quello che porta all’affronto nei confronti di qualche camorrista della zona. «Sgarro», come lo chiamano gli «uomini d’onore» pagato con la vita: la vittima potrebbe aver «offeso» un boss della zona e sarebbe così stata uccisa con una «sentenza di morte». Una sorta di «avvertimento» per tutti. Altra ipotesi porta al delitto passionale: una lite, una discussione sfociata nel sangue con qualcuno, ipotesi che però regge poco per l’efferatezza del delitto.

Il delitto di via Ripuaria sta diventando, da giorni, un vero e proprio giallo. Un noir del miglior regista in circolazione: pochi indizi e poche certezze, un cadavere, un’auto bruciata, una pistola e un’ogiva. Poi, una persona che scompare nel nulla. Troppi dubbi e troppe incertezze. Vite apparentemente tranquille che scivolano via con la quotidianità risucchiate dall’orrore di una morte violenta, un crimine efferato di una persona, che ad oggi, non ha ancora un nome ma di cui si sospetta di chi possa trattarsi.

Dal numero di matricola e dal modello dell’arto impiantato nel femore si potrebbe risalire al nome della vittima. Un lavoro non facile visto che l’arto è rimasto in parte distrutto nel rogo dell’auto. Ma per i carabinieri della Compagnia di Giugliano e i colleghi del Comando Provinciale di Castello di Cisterna ci sono altri dubbi da sciogliere. Si scava nel passato del 32enne scomparso, in quello della compagna Grace con la quale, nonostante i due figli avuti insieme, non si è mai sposato ufficialmente. Si controllano i tabulati telefonici dell’uomo: le ultime telefonate ricevute ed effettuate al fine di trovare un indizio.

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