Questo blog di notorietà internazionale, per protesta contro uno “Stato Latitante” non verrà aggiornato.
sabato 31 marzo 2012
Mafia, arrestato a Bangkok boss Palazzolo
Palermo, 31 mar. (LaPresse) - E' stato arrestato a Bangkok in Thailandia, il latitante di mafia Vito Roberto Palazzolo. Sul boss, nato a Terrasini, in provincia di Palermo, 64 anni, residente a Johannesburg, in Sudafrica, con la nuova identità di Robert Von Palace Kolbatschenko, pendeva un ordine di carcerazione, emesso nel 2009, in seguito alla condanna a 9 anni di reclusione per concorso in associazione mafiosa. Secondo quanto riferisce il comando provinciale dei carabinieri di Palermo, la localizzazione e la cattura del latitante in Thailandia è stata possibile grazie alle congiunte attività info-investigative svolte dal reparto operativo di Palermo, dal raggruppamento operativo speciale di Roma e dalla squadra mobile di Palermo, in sinergia con la polizia internazionale.
Vito Roberto Palazzolo è stato coinvolto nella storica indagine chiamata 'Pizza connetion' che ha accertato il ruolo centrale della mafia siciliana nella raffinazione e nel traffico di eroina, i cui proventi venivano in gran parte riciclati da Palazzolo. Sfuggito a vari tentativi di cattura ed estradizione in Italia, negli anni Novanta, Vito Roberto Palazzolo è riuscito a cambiare la propria identità in Robert Von Palace Kolbatchenko, con cui ha ottenuto la cittadinanza sudafricana. E' emerso dagli accertamenti che Palazzolo ha in gestione in Sudafrica le sorgenti idriche, dalle quali viene imbottigliata l'acqua denominata 'Eau de vie' fornita in esclusiva alla compagnia aerea di bandiera 'South african airways'. Il latitante in Sudafrica ha anche creato un istituto di sicurezza personale chiamato 'The security', costituito da cittadini russi e marocchini.
Inoltre, è proprietario di un vasto allevamento di struzzi da riproduzione ed è titolare di una riserva di caccia frequentata da facoltosi personaggi locali e di una società per il taglio di diamanti denominata 'Von Palace Diamond cutters'.
Il boss di mafia Vito Roberto Palazzolo, ritenuto il tesoriere di Totò Riina e Bernardo Provenzano, è stato rintracciato anche grazie a Facebook. A partire da gennaio di quest'anno, infatti, in collaborazione con il Ros, il nucleo investigativo ha avviato le indagini coordinate dalla Dda, sviluppate attraverso intercettazioni telematiche, e anche facebook e altri social network (su profili riferibili al latitante e al nucleo familiare). Utilizzate dagli investigatori anche fonti confidenziali che hanno permesso di documentare i movimenti di Palazzolo in Thailandia, Paese dove è stato consentito il fermo e la consegna alle autorità competenti.
Sentenze aggiustate in cambio di pesce ai giudici di pace
BARI - Il prezzo per restituire la patente ai sorvegliati speciali (tra cui il boss Dambrosio) era una cassetta di pesce, un classico in questi giorni di polemiche sui rapporti tra imprenditoria e politica. Ma lo scenario è la corruzione al massimo livello possibile, quella in atti giudiziari.
A Bari e in provincia, tra il 2006 e il 2008, un gruppetto di giudici di pace e avvocati sarebbe stato disponibile ad aggiustare sentenze, spesso in cambio di quasi nulla. È il sistema smascherato dall’Antimafia di Lecce, che dopo due anni di indagini - partite da un’inchiesta coordinata dal pm antimafia barese Desirèe Digeronimo - ha iscritto nel registro degli indagati 28 persone, tra cui 14 giudici di pace, un giudice onorario e un ex magistrato recentemente cancellato dai ruoli per un’altra storiaccia di sentenze comprate.
Associazione per delinquere, falso, abuso d’ufficio, corruzione (in un caso con l’aggravante di aver favorito un sodalizio mafioso). Un vero terremoto, perché alcuni dei giudici coinvolti sono in attività.
Tra i 29 capi di imputazione contenuti nell’avviso di conclusione delle indagini che il pm salentino Valeria Mignone ha fatto notificare ieri sono riassunti episodi piccoli e grandi. Come quello che riguarda Vito Squicciarini, altamurano, ex coordinatore dei giudici di pace di Modugno, In cambio della disponibilità a restituire la patente ad alcuni sorvegliati speciali, a Natale 2007 avrebbe ricevuto da un avvocato (anche lui indagato) «una confezione contenente 7-8 aragoste, salmone, caviale e champagne».
Sempre a Squicciarini, insieme ai gdp Letizia Serini, Angelo Scardigno e Rocco Servodio (in servizio a Bitonto, dove la prima era coordinatore), Roberto Cristallini (di Corato), Pietro Mascolo e Roberto Sorino (di Bari, il primo ex vice coordinatore), l’avvocato Vincenzo Sergio e l’intermediario Alfredo Fazzini, è contestata l’associazione per delinquere: c’erano giudici di pace che si facevano scrivere le sentenze dagli avvocati, gli stessi che erano pronti a ricambiare il favore quando indossavano la toga da gdp in una diversa giurisdizione.
Le sentenze aggiustate sono centinaia, e venivano utilizzate come moneta di scambio. In questo modo - secondo l’Antimafia di Lecce - ci guadagnavano tutti: l’avvocato perché vinceva la causa, il giudice perché incassava senza fatica i 56 euro di compenso previsti dalla legge. Sarebbero state truccate anche sentenze più importanti, come quelle emesse dal Got di Altamura, Deborah Semidoppio: il giorno che nella sua aula si presenta Squicciarini (in qualità di avvocato di persone arrestate per furti o per detenzione di armi e droga), la giudice emette «provvedimenti di assoluto favore» come il ritorno in libertà e la restituzione dei beni sequestrati.
In cambio la giudice riceve bottiglie, aiuti per un trasloco e «provvedimenti di favore a vantaggio di persone di suo interesse». Mentre l’ex giudice del Tribunale civile di Bari, Domenico Ancona, è indagato insieme all’avvocato Vincenzo Sergio: il secondo scriveva le sentenze al primo assicurandosi così «la piena soddisfazione delle ragioni nonché la liquidazione delle spese».
GIOVANNI LONGO E MASSIMO SCAGLIARINI
"Così i boss sostennero elettoralmente Lombardo"
Le motivazioni del Gip di Catania Luigi Barone nel provvedimento con cui ieri ha disposto l'imputazione coatta del presidente della Regione Siciliana e di suo fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa, per concorso esterno in associazione mafiosa
PALERMO. E' da escludere che per 10 anni Cosa nostra ha investito su un partito, il Mpa, sul suo leader e su suo fratello, accettando, dopo ogni competizione, di ricevere nulla in cambio e continuando a stipulare ancora accordi nelle successive elezioni. Lo sostiene il Gip di Catania Luigi Barone nel provvedimento con cui ieri ha disposto l'imputazione coatta del presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e di suo fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa, per concorso esterno in associazione mafiosa.
A sostegno della sua tesi il giudice cita la deposizione del pentito Maurizio Di Gati, reggente di Cosa nostra nell'Agrigentino dal 2000 al 2002, già nota perchè agli atti dell'inchiesta Iblis, che ha rivelato come l'ordine era quello di votare Mpa, considerato «partito emergente» al quale «ci si poteva rivolgere per gli appalti e per quello che si aveva bisogno». «Loro venivano - ha spiegato Di Gati - e noi gli davamo i voti, prima però stabilivamo quello che ci interessava e loro si impegnavano a farcelo avere».
Le dichiarazioni di Di Gati sono state contestate dalla difesa di Raffaele Lombardo nel processo per reato elettorale in corso sempre a Catania: «Il collaborante - ha detto l'avvocato Guido Ziccone - parla per cose apprese da altri e colloca l'appoggio al Mpa fra il 2001 e il 2006, ma il Movimento per l'automia è stato fondato nel 2005».
La 'fiducià per il Gip Barone è fondamentale, come dimostra l'appoggio tolto dal boss Di Dio dopo che Lombardo si rifiuta di incontrare suo figlio. E il pentito Antonio Sturiale racconta di avere appreso de relato che Angelo Lombardo sarebbe stato bastonato perchè non aveva fatto fronte agli impegni presi con il clan Santapaola nelle elezioni regionali del 2008.
Un altro collaboratore, Gaetano D'Aquino, sostiene che Angelo e Raffaele Lombardo avrebbero avuto l'appoggio del boss Enzo Aiello, rappresentante provinciale di Cosa nostra, ma il governatore si sarebbe poi 'perso di vistà, e accusava: 'stu curnutu scumpariù (questo cornuto è scomparso). In una intercettazione dei carabinieri lo stesso Aiello sostiene che ai Lombardo, durante la campagna elettorale, 'ci resi i soddi nostrì (gli ho dato i nostri soldi). Secondo il Gip appare scarsamente ipotizzabile che se fosserovenuti meno sistematicamente gli impegni presi nel decennale scambio patto elettorale Cosa nostra avrebbe continuato a appoggiare i Lombardo.
«Gli elementi sin qui esaminati e le relative considerazioni svolte - conclude il Gip Luigi Barone - offrono, dunque, a questo decidente, un ulteriore elemento indiziario, che
indubbiamente dovrà essere approfondito nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ma che presenta, allo stato, una pregnanza tale da non consentire, 'ex sè, l'archiviazione
del procedimento».
Omicidio Garofalo, il grido liberatorio dei parenti di Lea e il sostegno di Don Ciotti
I giudici della corte d'Assise di Milano hanno accolto la richiesta della pubblica accusa comminando sei ergastoli per l’omicidio della testimone di giustizia sequestrata, uccisa e sciolta nell’acido. La sorella Marisa: "Almeno è stata fatta giustizia e lei la meritava, visto che ha dato la vita per aiutare lo Stato e, anche se solo dopo morta, è stata ricambiata".
UN autentico grido di liberazione è stata la prima reazione di Marisa Garofalo, sorella di Lea, apprendendo per la prima volta dal Quotidiano dei sei ergastoli inflitti agli aguzzini dell’ex testimone di giustizia. «Certo - ha detto Marisa Garofalo dopo i primi momenti di comprensibile emozione - avrei preferito avere ancora mia sorella viva, ma con questa sentenza, anche se da morta, ha trovato finalmente giustizia. Spero che questa sentenza venga confermata anche nei successivi gradi di giudizio». La condanna a sei ergastoli per la morte di Lea Garofalo, sciolta nell'acido, apre un'infinità di emozioni per i parenti della donna di Petilia Policastro.
Dopo la soddisfazione, Marisa Garofalo passa ai ringraziamenti. «Innanzitutto voglio ringraziare il presidente della corte e il pm Tatangelo, che da subito mi ha ispirato fiducia». Qualche perplessità, in verità, era sorta dopo l’annuncio dello stesso pm della mancata applicazione dell’aggravante mafiosa al delitto di Lea, poi superata, come racconta la stessa Marisa. «Dopo le spiegazioni ricevute anche dal maresciallo Buttarello, che ha sottolineato che si trattava solo di questioni tecniche che non avrebbero inciso sul giudizio, mi sono molto tranquillizzata ed alla fine tutto è andato bene».
Il pensiero della sorella di Lea va subito alla nipote Denise. «Vorrei condividere la mia soddisfazione con lei e vorrei tanto sentirla, almeno questa sera (ieri sera per chi legge ndr). Non la sento dallo scorso ottobre, quando è entrata nel programma di protezione». Con il tono di voce ancora emozionato, Marisa ricorda ancora la sorella. «Nessuno me la può far tornare, ma almeno è stata fatta giustizia e lei la meritava, visto che ha dato la vita per aiutare lo Stato e, anche se solo dopo morta, è stata ricambiata».
Restano ancora vivi i ricordi e soprattutto ciò che poteva essere fatto per Lea quando era ancora viva, ma per Marisa non è tempo di polemiche. «Sono stati fatti errori - ha detto ancora Marisa Garofalo - e le istituzioni quando era ancora viva l’hanno abbandonata, perchè, come ha detto lo stesso pm Tatangelo nel corso del processo, mia sorella poteva essere salvata. Adesso però - ha proseguito - le istituzioni stanno rispondendo». Il riferimento è alla scelta del consiglio regionale calabrese che ha dato a Denise una borsa di studio e dell’assise regionale lombarda che garantirà alla figlia di Lea l’intero ciclo degli studi. Infine, Marisa ha inteso lanciare anche un appello a chi si trova nelle medesime condizioni di sua sorella Lea. «Bisogna avere sempre fiducia, a prescindere, nella giustizia. Vale sempre la pena - ha continuato ancora la sorella di Lea - schierarsi dalla parte della giustizia, anche se una maggiore attenzione da parte dello Stato ei confronti dei collaboratori è sempre necessaria». Nessuno potrà mai restituirle sua sorella, ma con la sentenza di ieri almeno a Marisa hanno restituito la speranza.
LA SENTENZA. La decisione dei giudici della Corte d'assise di Milano ha pienamente accolto la tesi dell'accusa sostenuta dal pm Marcello Tatangelo. In particolare queste le pene decise dai giudici di primo grado: ergastolo con isolamento diurno di due anni, a Vito e Carlo Cosco, quest’ultimo ex compagno della vittima. Ergastolo, con isolamento diurno di un anno a Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabotino e Carmine Venturino.
I giudici milanesi hanno, inoltre, condannato gli imputati a risarcire la figlia ventenne della donna, Denise, testimone chiave dell’accusa, e la madre e la sorella di Lea Garofalo. Alla figlia è stata assegnata una provvisionale di 200 mila euro e alle altre due donne una provvisionale di 50 mila euro ciascuna, naturalmente il pieno risarcimento sarà poi da ridefinire in sede civile. Infine i giudici hanno disposto a carico degli imputati anche un risarcimento a favore del Comune di Milano, costituitosi parte civile nel dibattimento, per la somma di 25 mila euro. La corte ha deciso, altresì, che il dispositivo della sentenza dovrà essere pubblicato sull'albo del Comune e sul sito del ministero della Giustizia e ha ordinato la trasmissione alla Procura per eventuali valutazioni su profili di reato delle testimonianze di otto persone. Le motivazioni arriveranno tra 90 giorni.
Prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio, hanno preso la parola due degli imputati, Vito e Carlo Cosco. Quest’ultimo ha voluto replicare a quanto detto, durante la requisitoria, dal pubblico ministero Marcello Tatangelo, che aveva definito i sei imputati dei «vigliacchi» perché avevano ucciso insieme una donna. «Il pubblico ministero dice che siamo vigliacchi – ha affermato Carlo Cosco – io ho la terza media, il pm è un dottore e laureato, ha ragione a dire che sei uomini che uccidono una donna sono vigliacchi. Lo farei anch’io se l’avessimo uccisa, ma noi non siamo vigliacchi perché non l’abbiamo uccisa. Se avessi avuto la sciagurata idea di uccidere la mia ex compagna, non mi sarei servito di cinque persone». «Non è stato un omicidio, mai, mai», ha concluso Cosco, ringraziando infine i giudici e augurando loro una buona Pasqua».
UN autentico grido di liberazione è stata la prima reazione di Marisa Garofalo, sorella di Lea, apprendendo per la prima volta dal Quotidiano dei sei ergastoli inflitti agli aguzzini dell’ex testimone di giustizia. «Certo - ha detto Marisa Garofalo dopo i primi momenti di comprensibile emozione - avrei preferito avere ancora mia sorella viva, ma con questa sentenza, anche se da morta, ha trovato finalmente giustizia. Spero che questa sentenza venga confermata anche nei successivi gradi di giudizio». La condanna a sei ergastoli per la morte di Lea Garofalo, sciolta nell'acido, apre un'infinità di emozioni per i parenti della donna di Petilia Policastro.
Dopo la soddisfazione, Marisa Garofalo passa ai ringraziamenti. «Innanzitutto voglio ringraziare il presidente della corte e il pm Tatangelo, che da subito mi ha ispirato fiducia». Qualche perplessità, in verità, era sorta dopo l’annuncio dello stesso pm della mancata applicazione dell’aggravante mafiosa al delitto di Lea, poi superata, come racconta la stessa Marisa. «Dopo le spiegazioni ricevute anche dal maresciallo Buttarello, che ha sottolineato che si trattava solo di questioni tecniche che non avrebbero inciso sul giudizio, mi sono molto tranquillizzata ed alla fine tutto è andato bene».
Il pensiero della sorella di Lea va subito alla nipote Denise. «Vorrei condividere la mia soddisfazione con lei e vorrei tanto sentirla, almeno questa sera (ieri sera per chi legge ndr). Non la sento dallo scorso ottobre, quando è entrata nel programma di protezione». Con il tono di voce ancora emozionato, Marisa ricorda ancora la sorella. «Nessuno me la può far tornare, ma almeno è stata fatta giustizia e lei la meritava, visto che ha dato la vita per aiutare lo Stato e, anche se solo dopo morta, è stata ricambiata».
Restano ancora vivi i ricordi e soprattutto ciò che poteva essere fatto per Lea quando era ancora viva, ma per Marisa non è tempo di polemiche. «Sono stati fatti errori - ha detto ancora Marisa Garofalo - e le istituzioni quando era ancora viva l’hanno abbandonata, perchè, come ha detto lo stesso pm Tatangelo nel corso del processo, mia sorella poteva essere salvata. Adesso però - ha proseguito - le istituzioni stanno rispondendo». Il riferimento è alla scelta del consiglio regionale calabrese che ha dato a Denise una borsa di studio e dell’assise regionale lombarda che garantirà alla figlia di Lea l’intero ciclo degli studi. Infine, Marisa ha inteso lanciare anche un appello a chi si trova nelle medesime condizioni di sua sorella Lea. «Bisogna avere sempre fiducia, a prescindere, nella giustizia. Vale sempre la pena - ha continuato ancora la sorella di Lea - schierarsi dalla parte della giustizia, anche se una maggiore attenzione da parte dello Stato ei confronti dei collaboratori è sempre necessaria». Nessuno potrà mai restituirle sua sorella, ma con la sentenza di ieri almeno a Marisa hanno restituito la speranza.
LA SENTENZA. La decisione dei giudici della Corte d'assise di Milano ha pienamente accolto la tesi dell'accusa sostenuta dal pm Marcello Tatangelo. In particolare queste le pene decise dai giudici di primo grado: ergastolo con isolamento diurno di due anni, a Vito e Carlo Cosco, quest’ultimo ex compagno della vittima. Ergastolo, con isolamento diurno di un anno a Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabotino e Carmine Venturino.
I giudici milanesi hanno, inoltre, condannato gli imputati a risarcire la figlia ventenne della donna, Denise, testimone chiave dell’accusa, e la madre e la sorella di Lea Garofalo. Alla figlia è stata assegnata una provvisionale di 200 mila euro e alle altre due donne una provvisionale di 50 mila euro ciascuna, naturalmente il pieno risarcimento sarà poi da ridefinire in sede civile. Infine i giudici hanno disposto a carico degli imputati anche un risarcimento a favore del Comune di Milano, costituitosi parte civile nel dibattimento, per la somma di 25 mila euro. La corte ha deciso, altresì, che il dispositivo della sentenza dovrà essere pubblicato sull'albo del Comune e sul sito del ministero della Giustizia e ha ordinato la trasmissione alla Procura per eventuali valutazioni su profili di reato delle testimonianze di otto persone. Le motivazioni arriveranno tra 90 giorni.
Prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio, hanno preso la parola due degli imputati, Vito e Carlo Cosco. Quest’ultimo ha voluto replicare a quanto detto, durante la requisitoria, dal pubblico ministero Marcello Tatangelo, che aveva definito i sei imputati dei «vigliacchi» perché avevano ucciso insieme una donna. «Il pubblico ministero dice che siamo vigliacchi – ha affermato Carlo Cosco – io ho la terza media, il pm è un dottore e laureato, ha ragione a dire che sei uomini che uccidono una donna sono vigliacchi. Lo farei anch’io se l’avessimo uccisa, ma noi non siamo vigliacchi perché non l’abbiamo uccisa. Se avessi avuto la sciagurata idea di uccidere la mia ex compagna, non mi sarei servito di cinque persone». «Non è stato un omicidio, mai, mai», ha concluso Cosco, ringraziando infine i giudici e augurando loro una buona Pasqua».
Il pm aveva chiesto sei ergastoli a carico di tutti gli imputati Giuseppe, Vito e Carlo Cosco, Massimo Sabatino, Carmine Venturino e Rosario Curcio. Secondo l’accusa, Lea Garofalo sarebbe stata sequestrata il 24 novembre 2009 a Milano e uccisa il giorno successivo e poi il corpo sarebbe stato sciolto in 50 litri di acido in un magazzino nell’hinterland tra Milano e Monza. Le ultime immagini della donna in vita, filmate dalle telecamere, la vedono salire sulla macchina di Carlo Cosco in zona Arco della Pace. La donna, che aveva raccontato agli inquirenti negli anni fatti di una faida di 'ndrangheta, è stata uccisa, secondo quanto ricostruito dal pm, in particolare per quanto sapeva su un omicidio avvenuto nel '95. Si tratta di un rarissimo caso di lupara bianca a Milano, con modalità, lo scioglimento nell’acido, mai viste in Lombardia.
Reggio, vuole uccidere la moglie e assolda un killer: arrestato
L'uomo è stato ammanettato dalla squadra mobile reggina. E' accusato anche di atti persecutori, minaccia, ingiuria, percosse e violazione degli obblighi di assistenza familiare. Il sicario, durante una perquisizione, è stato trovato in possesso della registrazione di una telefonata nella quale gli erano state date le indicazioni per il delitto
REGGIO CALABRIA – Avrebbe tentato di ingaggiare un killer perchè uccidesse la moglie. Con questa accusa agenti della squadra mobile di Reggio Calabria hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misura cautelare in carcere emessa dal Tribunale della città nei confronti di Michele Porto, 39 anni. L’uomo è accusato, fra l’altro, di atti persecutori, minaccia, ingiuria, percosse e violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti della donna. Porto, già destinatario di un divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, avrebbe più volte violato tale disposizione, avvicinandosi arbitrariamente alla moglie, anche assumendo nei suoi confronti un atteggiamento violento. Cosa ancor più grave, avrebbe progettato di assoldare una persona per ucciderla. Quest’ultima, a seguito di perquisizione locale, è stata trovata in possesso della registrazione di una conversazione avvenuta con Porto (effettuata ad insaputa di quest’ultimo) nella quale è emerso l’intento omicida. Porto è stato arrestato e, dopo le formalità di rito, associato alla casa circondariale di Reggio Calabria.La violenza delle 'ndrine finite nella "tela del ragno": ucciso e fatto a pezzi con la motosega
Il collaboratore di giustizia racconta la macabra scomparsa di Rolando Siciliano. Sono 63 le ordinanze di custodia cautelare contro gli esponenti delle cosche della provincia di Cosenza, colpite anche diramazioni in Lazio, Lombardia e Veneto. Il magistrato: «Dopo 30 anni ristabilita la legalità»
L'elenco
1. BRUNI GENNARO, NATO A CASTROVILLARI (CS), IL 16/01/1956, RESIDENTE PAOLA (CS);
2. BRUNI LUIGI, NATO A COSENZA IL 07/05/1985, RESIDENTE PAOLA (CS);
3. BUONO ANTONIO, NATO A PAOLA (CS) IL 08/12/1964, IVI RESIDENTE;
4. CALABRIA PAOLO, NATO A PAOLA (CS) IL 05/05/1979, IVI RESIDENTE;
5. CARATELLI GIOVANNA, NATA A ROMA IL 14/08/1971, IVI RESIDENTE;
6. CARBONE SERGIO, NATO A SAN LUCIDO (CS) IL 25/10/1958, IVI RESIDENTE;
7. CARUSO ALDO, NATO A PAOLA (CS) IL 11/04/1980, IVI RESIDENTE;
8. CASCARDO ROMOLO, NATO A PAOLA (CS) IL 01/02/1945, IVI RESIDENTE;
9. CRIVELLO VALERIO SALVATORE, NATO A CASALE M. (AL) IL 27/09/1979, RESIDENTE PREGANZIOL (TV);
10. CURIOSO GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 12/09/1979, IVI RESIDENTE;
11. D’ANGELO ANTONELLA, NATA A ROMA IL 17/01/1961, IVI RESIDENTE;
12. DESIDERATO FRANCESCO, NATO A PAOLA (CS) IL 03/10/1988, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
13. ESPOSITO ANTONIO, NATO A FUSCALDO (CS) IL 27/01/1956, IVI RESIDENTE;
14. FOLINO GUERINO, NATO A PAOLA (CS) IL 31/07/1967, RESIDENTE DORNO (PV);
15. GUIDO GIACOMINO, NATO AD AMANTEA (CS) IL 24/06/1967, IVI RESIDENTE;
16. LA ROSA GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 06/11/1980, IVI RESIDENTE;
17. LA ROSA LUCA, NATO A PAOLA (CS) IL 18/09/1978, IVI RESIDENTE;
18. LA ROSA VINCENZO, NATO A PAOLA (CS) IL 09/01/1957, RESIDENTE ROMA;
19. LAMANNA DANIELE, NATO A COSENZA IL 03/05/1974, IVI RESIDENTE;
20. LO PIANO GIUSEPPE, NATO A FUSCALDO (CS) IL 09/12/1967, IVI RESIDENTE;
21. LOFARO PIETRO FRANCESCO, NATO A BELVEDERE MARITTIMO (CS) IL 02/04/1982, RESIDENTE PAOLA (CS);
22. MANNARINO PIER, NATO A MESSINA IL 18/07/1980, RESIDENTE AMANTEA (CS);
23. MANNARINO SONIA, NATA A FUSCALDO (CS) IL 09/02/1964, RESIDENTE PAOLA (CS);
24. MARTELLO ALESSIO, NATO A PAOLA (CS) IL 18/06/1990, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
25. MARTELLO FRANCESCO, NATO A PAOLA (CS) IL 24/09/1988, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
26. MATERA MARIO, NATO A COSENZA IL 18/08/1981, RESIDENTE SAN LUCIDO (CS);
27. MAZZA MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 18/07/1984, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
28. NEVE GIOVANNI, NATO A CETRARO (CS) IL 25/02/1972, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
29. PALERMO ALFREDO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/05/1983, IVI RESIDENTE;
30. PODDIGHE FABRIZIO, NATO A PAOLA (CS) IL 04/11/1978, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
31. PODDIGHE LUCIANO CARMELO, NATO A PAOLA (CS) IL 13/12/1981, RESIDENTE FUSCALDO (CS) ;
32. PUGLIESE ILARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 12/11/1982, IVI RESIDENTE;
33. RAMETTA FABRIZIO, NATO A PAOLA (CS) IL 20/12/1972, RESIDENTE AMANTEA (CS);
34. SERPA GIANLUCA, NATO A PAOLA (CS) IL 24/03/1975, IVI RESIDENTE;
35. SERPA LIVIO, NATO A BELVEDERE MARITTIMO (CS) IL 23/09/1967, RESIDENTE PAOLA (CS);
36. SERPA MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 30/01/1953, SEMILBERO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PAVIA;
37. SERPA NELLA, NATA A PAOLA (CS) IL 14/07/1955, IVI RESIDENTE;
38. TROMBETTA FRANCESCO PINO, NATO A PAOLA (CS) IL 07/04/1984, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
39. ABRUZZESE GIOVANNI, NATO A COSENZA IL 23/07/1959, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PARMA;
40. ALESSIO NATALE, NATO A COSENZA IL 25/12/1974, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
41. ATTANASIO MARIO, NATO A COSENZA IL 01/05/1972, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
42. BESALDO PASQUALINO, NATO AD AMANTEA (CS) L’11/06/1966, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. ASCOLI P.;
43. BLOISE MICHELE, NATO A LAINO BORGO (CS) IL 02/03/1975, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE ROMA REBIBBIA;
44. CICERO DOMENICO, NATO A COSENZA IL 28/07/1957, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE VITERBO;
45. DITTO ANTONIO, NATO A SEMINARA (RC) IL 03/04/1950, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE NAPOLI SECONDIGLIANO;
46. DITTO GENNARO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/09/1976, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE MESSINA;
47. GENTILE TOMMASO, NATO AD AMANTEA (CS) IL 28/02/1958, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PARMA;
48. GIOFFRE’ CARMELA, NATA A SEMINARA (RC) IL 01/04/1954, DETENUTA PRESSO CASA CIRC: TARANTO;
49. GRAVINA GIANCARLO, NATO A COSENZA IL 17/05/1965, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. VIBO VALENTIA;
50. LA ROSA DOMENICO, NATO A PAOLA (CS) IL 12/03/1955, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE MELFI;
51. LAMANNA CARLO, NATO A COSENZA IL 16/10/1967, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE SAN GIMIGNANO;
52. MARTELLO MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 25/01/1976, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE VOLTERRA;
53. MICELI UMILE, NATO A COSENZA IL 26/05/1966, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
54. SCOFANO MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/03/1960, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PALERMO;
55. SERPA SALVATORE, NATO A PAOLA (CS) IL 15/04/1987, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
56. SIRUFO GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 05/04/1983, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
57. TUNDIS FRANCESCO, NATO A COSENZA IL 04/02/1968, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
58. VICCHIO PIETRO SEBASTIANO, NATO A SIRACUSA IL 31/07/1979, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. ROSSANO.
COSENZA - Una spirale di violenza che ha insanguinato la provincia di Cosenza, su cui ha fatto luce l'operazione "Tela del ragno", portata a termine dai carabinieri di Cosenza. E' dalla corposa ordinanza che ha portato in carcere 63 persone (5 ancora irreperibili), emergono fatti inquietanti. Come l'omicidio di Rolando Siciliano, assassinato il 20 maggio 2004. A raccontare tutto agli inquirenti è il collaboratore di giustizia Giuliano Serpa, e le parole sono drammatiche: “Fu ucciso da Tundis Francesco, Mazza Mario e Poddighe Fabrizio, a colpi di pistola”. Il cadavere “venne poi fatto a pezzi con una motosega” e occultato. Ma a tutt'oggi non si sa dove sono finiti i resti. E' così che le cosche si facevano giustizia, dunque.
Alla fine degli anni Novanta le cosche cosentine tornano a influenzare quelle della costa tirrenica, costituendo una nuova organizzazione finalizzata a commettere crimini mettendo una pietra sopra su ogni conflittualità del passato, compresa l'eliminazione dei cosiddetti scissionisti, Marcello Calvano, Vittorio Marchio, Francesco Bruni e Antonio Sena. Principale obiettivo l'attività estorsiva da estendere all'amministrazione pubblica.
Tutti i proventi illeciti dovevano essere versati in una cassa comune e divisi tra gli affiliati della nuova consorteria, guidati dal “capo zona” Mario Scofano. Ma qualcosa non funzionò come previsto, non tutti versavano i soldi nella cassa del clan. Una situazione che diede fastidio a Giuliano Serpa, il quale si staccò insieme al fratello Ulisse e a Giancarlo Gravina e formò un nuovo gruppo, che operò in altra fetta di territorio, ma in maniera pacifica con quello di Scofano. La tranquillità non durò però molto, forse anche per le nuove alleanze, e scaturì un'altra guerra di mafia che vedeva contrapposti gli Scofano - Martello e i Serpa Bruni.
Omicidi e tentati omicidi si susseguirono, tra cui, come accennato, l'uccisione di Rolando Siciliano, legato agli Scofano - Martello e che poco prima della sua scomparsa si era avvicinato ai Tundis, del gruppo dei Serpa, in particolare a Franco Tundis, amico di suo zio Romeo Calvano. Il trentenne fu prelevato e condotto nelle montagne di Fuscaldo. Il collaboratore racconta quindi che qui venne ucciso dopo che rilevò gli esecutori dell'omicidio di Pietro Serpa, avvenuto poco tempo prima.
L'OPERAZIONE. «Dopo 30 anni si è ristabilita la legalità» ha affermato il sostituto procuratore generale di Catanzaro Eugenio Facciolla, applicato alla Dda per coordinare l'inchiesta che, ha affermato il magistrato «è una grande operazione che disarticola alcune pericolose consorterie criminali».
Nell'inchiesta, denominata "tela del ragno" sono indagate complessivamente 250 persone. Gli arresti sono stati eseguiti oltre che in Calabria, anche nel Lazio, in Lombardia ed in Veneto, con la partecipazione di 500 militari dell'Arma, supportati da elicotteri e da unità cinofile.
Le cosche che sono state colpite sono Lanzino-Cicero di Cosenza (subentrata a quella dei Perna-Ruà), Muto di Cetraro, Scofano-Mastallo-Ditto-La Rosa e Serpa di Paola, Calvano e Carbone di San Lucido, Gentile-Besalvo di Amantea.
Tra gli arrestati ci sono anche gli autori e i mandanti di diversi omicidi che hanno insanguinato il Cosentino nell'ambito di una guerra di mafia che ha visto tra il 1999 e il 2004 i clan locali contendersi il controllo del territorio. In particolare sono stati ricostruiti 12 omicidi e tre tentati omicidi.
Ma tra le attività dei clan c'erano anche usura ed estorsioni. E secondo le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, la rete dei boss era riuscita a infiltrarsi anche in numerosi appalti pubblici della provincia, specie nella zona tirrenica. Su tutti, quelli relativi alla stazione ferroviaria di Paola, ma c'è anche un capitolo relativo alla Salerno Reggio Calabria. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati anche beni per un valore di 15 milioni di euro.
Durante la conferenza stampa, il sostituto procuratore generale ha rivolto un appello ai cittadini: «Devono collaborare, devono avere fiducia nelle forze dell’ordine e della magistratura. Le risposte ci saranno come ci sono oggi». Il magistrato ha proseguito facendo esplicito riferimento ai commercianti, agli imprenditori e alle altre vittime della prepotenza mafiosa.
L'elenco
Le 58 ordinanze di custodia cautelare
Sono 58 le persone per le quali è scattato l'ordine di arresto nell'operazione "Tela del ragno". Alcune di loro si trovavano già in carcere1. BRUNI GENNARO, NATO A CASTROVILLARI (CS), IL 16/01/1956, RESIDENTE PAOLA (CS);
2. BRUNI LUIGI, NATO A COSENZA IL 07/05/1985, RESIDENTE PAOLA (CS);
3. BUONO ANTONIO, NATO A PAOLA (CS) IL 08/12/1964, IVI RESIDENTE;
4. CALABRIA PAOLO, NATO A PAOLA (CS) IL 05/05/1979, IVI RESIDENTE;
5. CARATELLI GIOVANNA, NATA A ROMA IL 14/08/1971, IVI RESIDENTE;
6. CARBONE SERGIO, NATO A SAN LUCIDO (CS) IL 25/10/1958, IVI RESIDENTE;
7. CARUSO ALDO, NATO A PAOLA (CS) IL 11/04/1980, IVI RESIDENTE;
8. CASCARDO ROMOLO, NATO A PAOLA (CS) IL 01/02/1945, IVI RESIDENTE;
9. CRIVELLO VALERIO SALVATORE, NATO A CASALE M. (AL) IL 27/09/1979, RESIDENTE PREGANZIOL (TV);
10. CURIOSO GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 12/09/1979, IVI RESIDENTE;
11. D’ANGELO ANTONELLA, NATA A ROMA IL 17/01/1961, IVI RESIDENTE;
12. DESIDERATO FRANCESCO, NATO A PAOLA (CS) IL 03/10/1988, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
13. ESPOSITO ANTONIO, NATO A FUSCALDO (CS) IL 27/01/1956, IVI RESIDENTE;
14. FOLINO GUERINO, NATO A PAOLA (CS) IL 31/07/1967, RESIDENTE DORNO (PV);
15. GUIDO GIACOMINO, NATO AD AMANTEA (CS) IL 24/06/1967, IVI RESIDENTE;
16. LA ROSA GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 06/11/1980, IVI RESIDENTE;
17. LA ROSA LUCA, NATO A PAOLA (CS) IL 18/09/1978, IVI RESIDENTE;
18. LA ROSA VINCENZO, NATO A PAOLA (CS) IL 09/01/1957, RESIDENTE ROMA;
19. LAMANNA DANIELE, NATO A COSENZA IL 03/05/1974, IVI RESIDENTE;
20. LO PIANO GIUSEPPE, NATO A FUSCALDO (CS) IL 09/12/1967, IVI RESIDENTE;
21. LOFARO PIETRO FRANCESCO, NATO A BELVEDERE MARITTIMO (CS) IL 02/04/1982, RESIDENTE PAOLA (CS);
22. MANNARINO PIER, NATO A MESSINA IL 18/07/1980, RESIDENTE AMANTEA (CS);
23. MANNARINO SONIA, NATA A FUSCALDO (CS) IL 09/02/1964, RESIDENTE PAOLA (CS);
24. MARTELLO ALESSIO, NATO A PAOLA (CS) IL 18/06/1990, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
25. MARTELLO FRANCESCO, NATO A PAOLA (CS) IL 24/09/1988, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
26. MATERA MARIO, NATO A COSENZA IL 18/08/1981, RESIDENTE SAN LUCIDO (CS);
27. MAZZA MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 18/07/1984, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
28. NEVE GIOVANNI, NATO A CETRARO (CS) IL 25/02/1972, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
29. PALERMO ALFREDO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/05/1983, IVI RESIDENTE;
30. PODDIGHE FABRIZIO, NATO A PAOLA (CS) IL 04/11/1978, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
31. PODDIGHE LUCIANO CARMELO, NATO A PAOLA (CS) IL 13/12/1981, RESIDENTE FUSCALDO (CS) ;
32. PUGLIESE ILARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 12/11/1982, IVI RESIDENTE;
33. RAMETTA FABRIZIO, NATO A PAOLA (CS) IL 20/12/1972, RESIDENTE AMANTEA (CS);
34. SERPA GIANLUCA, NATO A PAOLA (CS) IL 24/03/1975, IVI RESIDENTE;
35. SERPA LIVIO, NATO A BELVEDERE MARITTIMO (CS) IL 23/09/1967, RESIDENTE PAOLA (CS);
36. SERPA MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 30/01/1953, SEMILBERO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PAVIA;
37. SERPA NELLA, NATA A PAOLA (CS) IL 14/07/1955, IVI RESIDENTE;
38. TROMBETTA FRANCESCO PINO, NATO A PAOLA (CS) IL 07/04/1984, RESIDENTE FUSCALDO (CS);
39. ABRUZZESE GIOVANNI, NATO A COSENZA IL 23/07/1959, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PARMA;
40. ALESSIO NATALE, NATO A COSENZA IL 25/12/1974, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
41. ATTANASIO MARIO, NATO A COSENZA IL 01/05/1972, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
42. BESALDO PASQUALINO, NATO AD AMANTEA (CS) L’11/06/1966, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. ASCOLI P.;
43. BLOISE MICHELE, NATO A LAINO BORGO (CS) IL 02/03/1975, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE ROMA REBIBBIA;
44. CICERO DOMENICO, NATO A COSENZA IL 28/07/1957, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE VITERBO;
45. DITTO ANTONIO, NATO A SEMINARA (RC) IL 03/04/1950, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE NAPOLI SECONDIGLIANO;
46. DITTO GENNARO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/09/1976, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE MESSINA;
47. GENTILE TOMMASO, NATO AD AMANTEA (CS) IL 28/02/1958, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PARMA;
48. GIOFFRE’ CARMELA, NATA A SEMINARA (RC) IL 01/04/1954, DETENUTA PRESSO CASA CIRC: TARANTO;
49. GRAVINA GIANCARLO, NATO A COSENZA IL 17/05/1965, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. VIBO VALENTIA;
50. LA ROSA DOMENICO, NATO A PAOLA (CS) IL 12/03/1955, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE MELFI;
51. LAMANNA CARLO, NATO A COSENZA IL 16/10/1967, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE SAN GIMIGNANO;
52. MARTELLO MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 25/01/1976, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE VOLTERRA;
53. MICELI UMILE, NATO A COSENZA IL 26/05/1966, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
54. SCOFANO MARIO, NATO A PAOLA (CS) IL 21/03/1960, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE PALERMO;
55. SERPA SALVATORE, NATO A PAOLA (CS) IL 15/04/1987, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
56. SIRUFO GIUSEPPE, NATO A PAOLA (CS) IL 05/04/1983, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
57. TUNDIS FRANCESCO, NATO A COSENZA IL 04/02/1968, DETENUTO PRESSO CASA CIRCONDARIALE COSENZA;
58. VICCHIO PIETRO SEBASTIANO, NATO A SIRACUSA IL 31/07/1979, DETENUTO PRESSO CASA CIRC. ROSSANO.
venerdì 30 marzo 2012
Mafia, sequestrati beni per 30 milioni
Nel mirino della Dia le quote societarie degli imprenditori Antonino e Tindaro La Monica, della provincia di Messina. Sono accusati di essere vicini ad esponenti mafiosi della zona tirrenica nebroidea
MESSINA. La Direzione investigativa antimafia di Messina ha sequestrato beni e quote societarie per un valore di circa 30 milioni di euro agli imprenditori Antonino e Tindaro La Monica, originari di Caronia (Me). Sono accusati di essere vicini ad esponenti mafiosi della zona tirrenica nebroidea della provincia di Messina. Le indagini dirette dal sostituto procuratore della Dda di Messina, Vito di Giorgio e coordinate dal procuratore capo di Messina Guido Lo Forte, hanno permesso di ricostruire l'ascesa imprenditoriale dei due fratelli rilevando "l'esistenza di una forte differenza tra i beni da loro posseduti e quanto dichiarato".
Ndrangheta, operazione nel Cosentino: arresti anche in altre 3 regioni
Scacco alle cosche del Tirreno cosentino
Decine di arresti in tutta Italia
Sono 63 le ordinanze di custodia cautelare contro gli esponenti delle cosche della provincia di Cosenza, colpite anche diramazioni in Lazio, Lombardia e Veneto
E' scattata alle prime luci dell'alba una vasta operazione condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza: decine gli ordini d'arresto emenati contro presunti appartenenti a cosche della 'ndrangheta attive nella provincia con diramazioni in altre regioni. Nell'inchiesta sono indagate complessivamente 250 persone. Gli arresti sono in esecuzione, oltre che in Calabria, anche nel Lazio, in Lombardia ed in Veneto. All'operazione partecipano 500 militari dell'Arma, supportati da elicotteri e da unità cinofile
Tra gli arrestati ci sono anche gli autori e i mandanti di diversi omicidi che hanno insanguinato il Cosentino nell'ambito di una guerra di mafia che ha visto tra il 1999 e il 2004 i clan locali contendersi il controllo del territorio. In particolare sono stati ricostruiti 12 omicidi e tre tentati omicidi.
Ma tra le attività dei clan c'erano anche usura ed estorsioni. E secondo le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, la rete dei boss era riuscita a infiltrarsi anche in numerosi appalti pubblici della provincia, specie nella zona tirrenica.
Tra gli arrestati ci sono anche gli autori e i mandanti di diversi omicidi che hanno insanguinato il Cosentino nell'ambito di una guerra di mafia che ha visto tra il 1999 e il 2004 i clan locali contendersi il controllo del territorio. In particolare sono stati ricostruiti 12 omicidi e tre tentati omicidi.
Ma tra le attività dei clan c'erano anche usura ed estorsioni. E secondo le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, la rete dei boss era riuscita a infiltrarsi anche in numerosi appalti pubblici della provincia, specie nella zona tirrenica.
giovedì 29 marzo 2012
Cosca Alvaro, previsto un processo per le "aziende romane"
Secondo gli inquirenti sono i reali proprietari di alcuni tra i più noti e frequentati locali dell'elite romana e proprio nella capitale sarà instaurato il processo sono diversi esponenti della cosca degli Alvaro. Tra i locali figurano il Café de Paris in via Veneto, il Gran caffé Cellini e vari altri
Ci sarà un processo a Roma per 24 persone coinvolte in una indagine legata ai patrimoni nella capitale riconducibili a una cosca vicina alla 'ndrangheta. Lo ha deciso il gup Cinzia Parasporo, accogliendo le richieste della procura che contestava a tutti il reato di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all’acquisizione di quote societarie (prevalentemente bar e ristoranti), per eludere la normativa in materia di misure di prevenzione. Il dibattimento prenderà il via il 28 maggio davanti all’ottava sezione penale del tribunale. Nel mirino della procura sono finiti i presunti componenti di una cosca ricollegata al clan degli Alvaro (in cui spiccano i nomi di Vincenzo Alvaro e Damiano Villari, rispettivamente ai domiciliari e in carcere), e l’acquisto di quote societarie poi intestate a soggetti di comodo (per lo più parenti stretti o compaesani dei componenti del clan), molti dei quali già oggetto di indagini a Reggio Calabria. Per il pm, Vincenzo Alvaro avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali intestati a «teste di legno». Tra le attività nel settore della ristorazione, citate nel capo di imputazione e gestite da società ritenute sospette, figurano il 'Cafè de Paris' in via Veneto, il 'Gran Caffè Cellini' in piazza Capecelatro, il 'Time out Cafè' di via Santa Maria del Buon Consiglio, i bar 'Clementi' di via Gallia, 'Cami' di viale Giulio Cesare e 'California' in via Bissolati, i ristoranti 'la piazzetta' in via Tenuta di Casalotto, 'Federico I' in via della Colonna Antonina e 'Georges's' di via Marche.
Ci sarà un processo a Roma per 24 persone coinvolte in una indagine legata ai patrimoni nella capitale riconducibili a una cosca vicina alla 'ndrangheta. Lo ha deciso il gup Cinzia Parasporo, accogliendo le richieste della procura che contestava a tutti il reato di trasferimento fraudolento di valori finalizzato all’acquisizione di quote societarie (prevalentemente bar e ristoranti), per eludere la normativa in materia di misure di prevenzione. Il dibattimento prenderà il via il 28 maggio davanti all’ottava sezione penale del tribunale. Nel mirino della procura sono finiti i presunti componenti di una cosca ricollegata al clan degli Alvaro (in cui spiccano i nomi di Vincenzo Alvaro e Damiano Villari, rispettivamente ai domiciliari e in carcere), e l’acquisto di quote societarie poi intestate a soggetti di comodo (per lo più parenti stretti o compaesani dei componenti del clan), molti dei quali già oggetto di indagini a Reggio Calabria. Per il pm, Vincenzo Alvaro avrebbe avuto la titolarità di numerosi esercizi commerciali intestati a «teste di legno». Tra le attività nel settore della ristorazione, citate nel capo di imputazione e gestite da società ritenute sospette, figurano il 'Cafè de Paris' in via Veneto, il 'Gran Caffè Cellini' in piazza Capecelatro, il 'Time out Cafè' di via Santa Maria del Buon Consiglio, i bar 'Clementi' di via Gallia, 'Cami' di viale Giulio Cesare e 'California' in via Bissolati, i ristoranti 'la piazzetta' in via Tenuta di Casalotto, 'Federico I' in via della Colonna Antonina e 'Georges's' di via Marche.
Tra sequestri e confische in un giorno lo Stato «blocca» beni per sei milioni
Tre interventi nel Reggino da parte della polizia: uno riguarda una persona coinvolta nell'operazione contro le infiltrazioni delle cosche nei lavori per l'A3: sigilli a immobili, imprese e terreni. Gli altri due provvedimenti riguardano una persona condannata per estorsione e una per reati legati agli stupefacenti
REGGIO CALABRIA – Beni per un valore complessivo di circa 6 milioni di euro sono stati sequestrati o confiscati nel corso di tre distinte operazioni, coordinate dalla divisione polizia anticrimine della questura di Reggio Calabria, ad altrettanti appartenenti alla criminalità organizzata. In particolare, gli operatori di Polizia hanno eseguito, a Palmi, il decreto di sequestro emesso dal tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, nei confronti di: Rosario Sgrò, 68 anni, del luogo. L’uomo è stato colpito da un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione denominata "Cosa Mia" a carico di 52 persone accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso per aver fatto parte della cosca di 'ndrangheta "Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano", operante nel territorio di Palmi e zone limitrofe. L’indagine, condotta dalla locale squadra mobile e dal commissariato di Palmi, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, eseguita nel giugno 2010, aveva consentito fare piena luce sui componenti e le attività illecite della 'ndrina, dedita alla commissione di omicidi, estorsioni, danneggiamenti ed altri gravi reati finalizzati all’infiltrazione mafiosa negli appalti relativi ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3.
REGGIO CALABRIA – Beni per un valore complessivo di circa 6 milioni di euro sono stati sequestrati o confiscati nel corso di tre distinte operazioni, coordinate dalla divisione polizia anticrimine della questura di Reggio Calabria, ad altrettanti appartenenti alla criminalità organizzata. In particolare, gli operatori di Polizia hanno eseguito, a Palmi, il decreto di sequestro emesso dal tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, nei confronti di: Rosario Sgrò, 68 anni, del luogo. L’uomo è stato colpito da un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione denominata "Cosa Mia" a carico di 52 persone accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso per aver fatto parte della cosca di 'ndrangheta "Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano", operante nel territorio di Palmi e zone limitrofe. L’indagine, condotta dalla locale squadra mobile e dal commissariato di Palmi, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, eseguita nel giugno 2010, aveva consentito fare piena luce sui componenti e le attività illecite della 'ndrina, dedita alla commissione di omicidi, estorsioni, danneggiamenti ed altri gravi reati finalizzati all’infiltrazione mafiosa negli appalti relativi ai lavori di ammodernamento dell’autostrada A3.
Sgrò, secondo l’accusa, fungeva stabilmente da prestanome per conto della cosca, quale intestatario fittizio di numerosi appezzamenti di terreno e permetteva alla cosca di autofinanziarsi, vendendo periodicamente degli appezzamenti di terreno di cui risultava intestatario fittizio e consegnando le somme percepite agli elementi di vertice del sodalizio. Il provvedimento di sequestro e confisca beni riguarda 6 terreni agricoli siti nel comprensorio del Comune di Palmi; 2 immobili siti nel comprensorio del Comune di Palmi; 2 imprese individuali (compresi conti correnti e garanzie funzionali all’esercizio dell’attività aziendale) con sede a Palmi, esercenti attività di coltivazione di frutti oleosi e colture olivicole. Il valore stimato della confisca è di circa quattro milioni di euro.
Nella seconda attività di polizia, è stato eseguito un decreto finalizzato alla confisca nei confronti di Emilio Riggio, 56 anni, di Reggio Calabria, condannato per il reato di estorsione continuata in concorso. Gli accertamenti patrimoniali hanno dimostrato che i beni oggetto di confisca erano nella disponibilità del condannato, nonostante la sproporzione tra valore degli stessi ed il suo reddito dichiarato. Il provvedimento ha interessato 6 terreni siti nel comune di Reggio Calabria, di cui 5 in località Gallico ed uno in zona «Modena»; 3 abitazioni di tipo popolare site nel Comune di Reggio Calabria, di cui due in località S. Domenica ed una in località S. Lucia; un lastrico solare a Reggio Calabria,; 3 magazzini pure nel Comune di Reggio Calabria; quote relative alla S.A.S. Ri.service con sede a Reggio Calabria ed avente come oggetto sociale lavori generali di costruzioni di edifici; quote relative alla società «punto auto di riggio giuseppe&c.» con sede a Reggio Calabria ed avente come oggetto sociale il commercio all’ingrosso ed al dettaglio di autovetture e di autoveicoli leggeri; un’autovettura ed un motoveicolo. Il valore complessivo ammonta a circa un milione e mezzo di euro. Con la terza attività, personale del Commissariato di Gioia Tauro e dell’Ufficio Misure di Prevenzione della Divisione Polizia Anticrimine ha eseguito il decreto di confisca nei confronti di Domenico Reitano, 60 anni di Rosarno (RC), condannato per reati in materia di stupefacenti I beni oggetto di confisca, in questio caso, sono costituiti da un fabbricato a due piani per civile abitazione nel Comune di Rosarno (RC), del valore stimato di circa 500.000 euro.
Fisco, 12,7 miliardi dalla lotta all'evasione
Befera: continueranno i blitz stile Cortina. Il direttore dell'Agenzia: «Sono azioni ordinarie. Serve cambio di cultura. Maradona? Sono suo tifoso, bene se paga tasse»
ROMA - Un "tesoretto" di quasi 13 miliardi di euro: è il frutto della lotta all'evasione dello scorso anno. I blitz dell'Agenzia delle Entrate, a volte tacciati di eccessiva spettacolarizzazione, stanno dando il loro frutti, come ha illustrato il direttore generale Attilio Befera.
Il Fisco ha incassato nel 2011, dalla lotta all'evasione, 12,7 miliardi di euro, il 15,5 per cento in più del 2010. L'Agenzia delle Entrate è «complessivamente cresciuta in tutti i suoi settori nonostante siano diminuite le risorse umane disponibili», secondo quanto affermato dallo stesso Befera.
Gli accertamenti. Nel 2011 l'amministrazione fiscale ha messo in campo 697 mila accertamenti, l'1,2% in meno rispetto ai quasi 706 mila del 2010. Nonostante la diminuzione dei controlli, la maggiore imposta accertata è cresciuta del 9,3% superando la quota di 30,4 miliardi contro i 27,8 registrati nel 2010. Le segnalazioni dell'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali sono state nel 2011 267 e hanno scovato attività estere e trasferimenti non dichiarati per 7,853 miliardi.
I blitz. Continueranno i blitz dell'Agenzia delle Entrate in stile Cortina. «Non sono azioni speciali. Continueranno come azioni ordinarie», spiega Befera. Anche altre azioni dimostrative dello stesso tipo, che sono seguite a Cortina, «non sono azioni speciali e sono comunque in numero inferiore a quelli che fa la Guardia di finanza».
Per il 2012 «mi auguro risultati migliori» dalla lotta all'evasione «ma soprattutto un aumento della tax compliance, ovvero un miglioramento delle entrate in sede di dichiarazione dei redditi» con gli adempimenti spontanei. Befera ha sottolineato che tutto ciò indica che nel nostro Paese «la cultura sta cambiando»..
«Per il nuovo redditometro, prima di giugno verrà messo a disposizione il software. I tempi sono giusti», ha detto Befera, parlando del nuovo sistema alla base del calcolo delle imposte per i contribuenti.
Maradona. «Se viene a sanare le sue pendenze con il Fisco ben venga, io sono un suo tifoso», ha aggiunto sul caso Maradona, atteso per la prossima settimana per risolvere i suoi problemi con il Fisco.
ROMA - Un "tesoretto" di quasi 13 miliardi di euro: è il frutto della lotta all'evasione dello scorso anno. I blitz dell'Agenzia delle Entrate, a volte tacciati di eccessiva spettacolarizzazione, stanno dando il loro frutti, come ha illustrato il direttore generale Attilio Befera.
Il Fisco ha incassato nel 2011, dalla lotta all'evasione, 12,7 miliardi di euro, il 15,5 per cento in più del 2010. L'Agenzia delle Entrate è «complessivamente cresciuta in tutti i suoi settori nonostante siano diminuite le risorse umane disponibili», secondo quanto affermato dallo stesso Befera.
Gli accertamenti. Nel 2011 l'amministrazione fiscale ha messo in campo 697 mila accertamenti, l'1,2% in meno rispetto ai quasi 706 mila del 2010. Nonostante la diminuzione dei controlli, la maggiore imposta accertata è cresciuta del 9,3% superando la quota di 30,4 miliardi contro i 27,8 registrati nel 2010. Le segnalazioni dell'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali sono state nel 2011 267 e hanno scovato attività estere e trasferimenti non dichiarati per 7,853 miliardi.
I blitz. Continueranno i blitz dell'Agenzia delle Entrate in stile Cortina. «Non sono azioni speciali. Continueranno come azioni ordinarie», spiega Befera. Anche altre azioni dimostrative dello stesso tipo, che sono seguite a Cortina, «non sono azioni speciali e sono comunque in numero inferiore a quelli che fa la Guardia di finanza».
Per il 2012 «mi auguro risultati migliori» dalla lotta all'evasione «ma soprattutto un aumento della tax compliance, ovvero un miglioramento delle entrate in sede di dichiarazione dei redditi» con gli adempimenti spontanei. Befera ha sottolineato che tutto ciò indica che nel nostro Paese «la cultura sta cambiando»..
«Per il nuovo redditometro, prima di giugno verrà messo a disposizione il software. I tempi sono giusti», ha detto Befera, parlando del nuovo sistema alla base del calcolo delle imposte per i contribuenti.
Maradona. «Se viene a sanare le sue pendenze con il Fisco ben venga, io sono un suo tifoso», ha aggiunto sul caso Maradona, atteso per la prossima settimana per risolvere i suoi problemi con il Fisco.
Centro sportivo di Portici organizzava massaggi con prostitute: una denuncia
PORTICI - Nella sede di una associazione con finalità sportive e ricreative a Portici veniva praticata la prostituzione: è quanto ha messo in luce la polizia che ha denunciato il titolare, un 50enne, residente nel comune vesuviano. A seguito di indagini e per accertare se l'attività fosse svolta ai fini dello sfruttamento, ieri pomeriggio, gli agenti del commissariato Portici-Ercolano hanno effettuato un blitz nella struttura. E nei locali dell'associazione sono stati trovati il titolare, una donna in abiti succinti e, in una saletta riservata, un uomo e una donna sorpresi durante la consumazione di un rapporto. Le indagini successive hanno consentito di accertare che il titolare dell'attività dell'associazione aveva ingaggiato le due donne come massaggiatrici, nonostante non avessero alcun titolo professionale in merito.
Il 50enne avrebbe provveduto al contatto con i clienti dai quali avrebbe ricevuto direttamente il pagamento della prestazione. Alle ragazze - secondo quanto emerso dalle indagini - sembra che andasse solo una piccola percentuale del prezzo preteso. Dopo il pagamento anticipato, il cliente sceglieva il tipo di massaggio a cui voleva essere sottoposto, avendo anche la possibilità di scegliere la massaggiatrice. Il titolare è stato denunciato e i locali sono stati sottoposti a sequestro.
Scoperta nel Casertano zecca clandestina
Milioni di euro stampati in poche ore
CASERTA - Scoperta in una zona periferica del comune di Vitulazio, in provincia di Caserta, una stamperia clandestina specializzata nella realizzazione di banconote da 20 euro contraffatte : era all'interno di un garage sottostante ad una anonima villetta familiare di recente costruzione. Tre gli arresti. Complessivamente, sono stati sottoposti a sequestro materiali tecnici sufficienti a riprodurre banconote false per un valore nominale di oltre due milioni di euro in una manciata di ore.
Il blitz dei militari della Guardia di Finanza di Napoli all'interno della zecca clandestina è scattato con numerose perquisizioni nell'ambito delle quali, a conclusione di lunghe indagini ed appostamenti, le Fiamme Gialle hanno individuato e arrestato in flagranza di reato due italiani (uno dei quali con precedenti specifici e già noto alle forze di polizia) e uno di nazionalità albanese. I tre gestivano un vero e proprio opificio, dotato di macchinari di precisione, in grado di riprodurre, in poche ore di lavoro, mediante l'impiego di materiali di altissima qualità, un ingente quantitativo di banconote.
La stamperia clandestina scoperta dalla guardia di Finanza nel Casertano, nel comune di Vitulazio, aveva la capacità di produrre false banconote da venti euro per un valore 5 milioni di euro al mese. Secondo quanto accertato dai militari durante il blitz, i falsari avevano provveduto a insonorizzare i locali del garage dove avevano collocato la "zecca clandestina" monché avevano coperto le finestre con degli adesivi.
Trovati, nei locali, anche dei rulli di gomma dove si nota una impronta di una banconota già finita: questo attesterebbe che la stamperia ha già immesso sul mercato banconote false. «Altissima» viene definita dalla Guardia di Finanza la tecnologia dei macchinari scoperti all'interno della zecca clandestina, grazie ai quali i falsari riuscivano a riprodurre con altissima fedeltà la particolare stampa e filigrana delle banconote da 20 euro, spostando decisamente in avanti lo stato dell'arte nella falsificazione delle banconote.
Oltre alle banconote false, sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro diversi sofisticati macchinari per la stampa off-set di precisione (rulli stampanti e presse oleo-dinamiche), numerosi clichè necessari a stampare in sovrapposizione i vari strati delle facciate, un grande quantitativo di inchiostri speciali e solventi necessari nelle varie fasi della stampa.
CASERTA - Scoperta in una zona periferica del comune di Vitulazio, in provincia di Caserta, una stamperia clandestina specializzata nella realizzazione di banconote da 20 euro contraffatte : era all'interno di un garage sottostante ad una anonima villetta familiare di recente costruzione. Tre gli arresti. Complessivamente, sono stati sottoposti a sequestro materiali tecnici sufficienti a riprodurre banconote false per un valore nominale di oltre due milioni di euro in una manciata di ore.
Il blitz dei militari della Guardia di Finanza di Napoli all'interno della zecca clandestina è scattato con numerose perquisizioni nell'ambito delle quali, a conclusione di lunghe indagini ed appostamenti, le Fiamme Gialle hanno individuato e arrestato in flagranza di reato due italiani (uno dei quali con precedenti specifici e già noto alle forze di polizia) e uno di nazionalità albanese. I tre gestivano un vero e proprio opificio, dotato di macchinari di precisione, in grado di riprodurre, in poche ore di lavoro, mediante l'impiego di materiali di altissima qualità, un ingente quantitativo di banconote.
La stamperia clandestina scoperta dalla guardia di Finanza nel Casertano, nel comune di Vitulazio, aveva la capacità di produrre false banconote da venti euro per un valore 5 milioni di euro al mese. Secondo quanto accertato dai militari durante il blitz, i falsari avevano provveduto a insonorizzare i locali del garage dove avevano collocato la "zecca clandestina" monché avevano coperto le finestre con degli adesivi.
Trovati, nei locali, anche dei rulli di gomma dove si nota una impronta di una banconota già finita: questo attesterebbe che la stamperia ha già immesso sul mercato banconote false. «Altissima» viene definita dalla Guardia di Finanza la tecnologia dei macchinari scoperti all'interno della zecca clandestina, grazie ai quali i falsari riuscivano a riprodurre con altissima fedeltà la particolare stampa e filigrana delle banconote da 20 euro, spostando decisamente in avanti lo stato dell'arte nella falsificazione delle banconote.
Oltre alle banconote false, sono stati rinvenuti e sottoposti a sequestro diversi sofisticati macchinari per la stampa off-set di precisione (rulli stampanti e presse oleo-dinamiche), numerosi clichè necessari a stampare in sovrapposizione i vari strati delle facciate, un grande quantitativo di inchiostri speciali e solventi necessari nelle varie fasi della stampa.
Sgominata banda narcotrafficanti attiva tra la Campania e la Calabria
Inchiesta della squadra Mobile di Catanzaro con 12 arresti. Interrotto il rifornimento di stupefacenti tra Napoli e il capoluogo calabrese. Centinaia gli episodi di cessione di droga riscontrati durante l’attività investigativa degli uomini di Rodolfo Ruperti
CATANZARO - Dodici persone sono state arrestate dalla squadra Mobile di Catanzaro nell’ambito di un’indagine che ha permesso di scoprire un’organizzazione di narcotrafficanti operativa tra la Campania e la Calabria. In particolare, dalla città di Napoli partivano gli stupefacenti che servivano per il mercato di Catanzaro. Un’organizzazione ben consolidata, capace, secondo gli inquirenti, di monopolizzare lo spaccio di droga a Catanzaro, anche grazie alla partecipazione di soggetti di etnia rom che vivono da diversi anni nel capoluogo calabrese. Centinaia gli episodi di cessione di droga riscontrati durante l’attività investigativa.
I particolari dell’operazione saranno resi noti alle 11 in una conferenza stampa in programma in Questura a Catanzaro.
SAVERIO PUCCIO
Droga e truffe a finanziarie: arresti in tutta la Sicilia
Sgominata un’organizzazione in un blitz che ha coinvolto Agrigento, Catania, Palermo, Siracusa e Enna. Ordinanza cautelare per 52 indagati
L’INCHIESTA. L'inchiesta ha preso spunto dalla scoperta di un'attività di spaccio di droga a Licata, nell'Agrigentino. I carabinieri hanno scoperto l'esistenza di una "base operativa" a Catania per l'approvvigionamento di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, che erano poi vendute, attraverso numerosi pusher, in discoteche e locali notturni del Catanese, ma anche a Taormina, Giardini Naxos, Rimini e Roma. I vertici dell'organizzazione avrebbero avuto contatti con appartenenti alla cosca Laudani. Scoperte anche centinaia di truffe a finanziarie: venivano acquistati televisori, cellulari, elettrodomestici e computer con documenti falsificati, grazie a sofisticati programmi informatici. I beni di consumo erano spesso rivenduti al 'mercato' nero, per procurarsi soldi da investire nel traffico di sostanze stupefacenti. L'ordinanza di custodia cautelare dispone l'arresto per 26 indagati, gli arresti domiciliari per 17 e l'obbliga di firma e di residenza nel proprio Comune per altri nove. Previsto anche il sequestro di due automobili e di un bar a Licata.
Il provvedimento ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e alla commissione di centinaia di truffe, favoreggiamento personale e ricettazione. L'ordinanza è stata emessa dal Gip di Catania, Santino Mirabella, su richiesta del sostituto della Dda Lucio Setola, coordinato dal procuratore capo Giovanni Salvi e dall'aggiunto Marisa Scavo.
AGRIGENTO. Un sodalizio criminale specializzato in traffico di droga e truffe a finanziarie è stato sgominato da un'inchiesta delle Procure di Agrigento e di Catania con l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di 52 indagati. Il blitz ha coinvolto oltre 300 carabinieri di Agrigento, Catania, Palermo, Siracusa e Enna.
Le indagini, avviate nel 2009 da militari dell'Arma della compagnia di Licata, avrebbero fatto emergere l'esistenza di un sodalizio che spacciava ingenti quantitativi di cocaina, hashish, marijuana, ecstasy e anfetamine, che comprava da 'grossisti' catanesi, che avevano rapporti con esponenti della cosca mafiosa etnea dei Laudani. Per questo l'inchiesta, avviata dalla Procura di Agrigento, dal sostituto Luca Sciarretta e coordinata dall'aggiunto Ignazio Fonzo, è stata poi trasmessa per competenza alla Dda di Catania.
Le indagini avrebbero portato alla luce centinaia di truffe a diverse finanziarie, con l'accurata falsificazione di documenti personali e buste paga, con i quali sarebbero stati acquistati beni di consumo per centinaia di miglia di euro.
Le indagini, avviate nel 2009 da militari dell'Arma della compagnia di Licata, avrebbero fatto emergere l'esistenza di un sodalizio che spacciava ingenti quantitativi di cocaina, hashish, marijuana, ecstasy e anfetamine, che comprava da 'grossisti' catanesi, che avevano rapporti con esponenti della cosca mafiosa etnea dei Laudani. Per questo l'inchiesta, avviata dalla Procura di Agrigento, dal sostituto Luca Sciarretta e coordinata dall'aggiunto Ignazio Fonzo, è stata poi trasmessa per competenza alla Dda di Catania.
Le indagini avrebbero portato alla luce centinaia di truffe a diverse finanziarie, con l'accurata falsificazione di documenti personali e buste paga, con i quali sarebbero stati acquistati beni di consumo per centinaia di miglia di euro.
L’INCHIESTA. L'inchiesta ha preso spunto dalla scoperta di un'attività di spaccio di droga a Licata, nell'Agrigentino. I carabinieri hanno scoperto l'esistenza di una "base operativa" a Catania per l'approvvigionamento di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, che erano poi vendute, attraverso numerosi pusher, in discoteche e locali notturni del Catanese, ma anche a Taormina, Giardini Naxos, Rimini e Roma. I vertici dell'organizzazione avrebbero avuto contatti con appartenenti alla cosca Laudani. Scoperte anche centinaia di truffe a finanziarie: venivano acquistati televisori, cellulari, elettrodomestici e computer con documenti falsificati, grazie a sofisticati programmi informatici. I beni di consumo erano spesso rivenduti al 'mercato' nero, per procurarsi soldi da investire nel traffico di sostanze stupefacenti. L'ordinanza di custodia cautelare dispone l'arresto per 26 indagati, gli arresti domiciliari per 17 e l'obbliga di firma e di residenza nel proprio Comune per altri nove. Previsto anche il sequestro di due automobili e di un bar a Licata.
Il provvedimento ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e alla commissione di centinaia di truffe, favoreggiamento personale e ricettazione. L'ordinanza è stata emessa dal Gip di Catania, Santino Mirabella, su richiesta del sostituto della Dda Lucio Setola, coordinato dal procuratore capo Giovanni Salvi e dall'aggiunto Marisa Scavo.
Il gip di Palmi Giusti in manette La sua vita «fra donne, amore, vino e affari»
Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palmi Giancarlo Giusti è stato arrestato questa mattina su ordine della Dda di Milano. Pesanti le accuse mosse a suo carico: avrebbe incassato dei fondi dalle 'ndrine «per compiere atti contrari ai doveri di ufficio»
PALMI (RC) - Soggiorni a Milano «fra donne, amore, vino e affari». Il giudice di Palmi, Giancarlo Giusti, sospeso a dicembre dal Csm e arrestato oggi su ordinanza della Procura di Milano, nell'ambito dell'inchiesta per i suoi rapporti con esponenti di 'ndrangheta, non si faceva mancare proprio nulla. O almeno questo scriveva in un suo diario informatico finito sotto sequestro. L'ordinanza di custodia cautelare riporta stralci del diario, dal quale emerge la vita che il giudice avrebbe condotto, spesato da un clan della 'ndrangheta. Il 21 settembre del 2008, infatti, Giusti scriveva sul suo diario: «va bene il convegno. Serata di venerdì pazzesca fra donne e vino. Notte di amore con Natascia, ubriachi cotti». E poi il 10 ottobre del 2008: «due giorni a Milano fra donne, amore, vino e affari, la squadra c'è e sembra funzionare. Due belle notti con Elisabetta, dolce ragazza russa».Il gip Giuseppe Gennari scrive che in quella occasione Giusti “ha soggiornato all’hotel Melià dal 6 all’8 ottobre 2008“ assieme a Fabio Pullano, perito del Tribunale di Reggio Calabria dove il magistrato lavorava alle esecuzioni immobiliari. A Pullano, secondo le indagini, Giusti avrebbe affidato consulenze su aste immobiliari per circa 300 mila euro. Il viaggio aereo da Reggio Calabria a Milano, come scrive il gip, venne «pagato da Giulio Lampada», presunto boss. E poi a novembre del 2008 Giusti scrive «Torno da Milano. Costituita società, ora dobbiamo chiudere affari». Secondo l’accusa, il magistrato sarebbe stato il socio occulto in una società del clan Lampada che acquisiva immobili alle aste di cui lo stesso magistrato si occupava. E poi ancora: «ho conosciuto Anna, ragazza di Mosca, bella e intelligente, problematica, ottimo amore». Per «mantenere Simona», invece, scriveva il magistrato, «occorrono soldi. Meglio essere chiari con lei».
Una vita di vizi e passioni, dunque, che ha fatto aprire le porte del carcere per il giudice. Nei suoi confronti, l'accusa è di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sul clan dell’ndrangheta dei Lampada. Il suo arresto è stato comunicato direttamente dal procuratore della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati.
L'aspetto che ha portato all'arresto di Giusti riguarda alcuni movimenti immobiliari: il magistrato sarebbe stato il "socio occulto" della cosca in una società che puntava all’acquisto di appartamenti e case in aste di cui si occupava proprio lo stesso giudice, che era assegnato presso la sezione esecuzioni immobiliari a Reggio Calabria. Giulio Lampada e l’avvocato Vincenzo Minasi, entrambi già arrestati nell’inchiesta, avevano infatti, stando a quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare, costituito una società controllata da una "scatola" svizzera e da un’altra in Belize, che formalmente non era stata ancora aperta. La cosca puntava a immobili del valore di circa 300 mila euro
Giusti, 45 anni, è stato bloccato dalla polizia nella sua abitazione di Cittanova.
L’arresto è stato eseguito dalle Squadre mobili di Milano e Reggio Calabria, che hanno notificato al giudice l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il magistrato sarà ora trasferito a Milano.
Secondo l’accusa, avrebbe ricevuto dal clan almeno 71 mila euro. Il suo nome era già comparso nell’ambito delle indagini perchè gli sarebbero stati pagati viaggi ed escort in hotel di lusso a Milano. Nella nota firmata dal procuratore della Repubblica di Milano si legge che «in data odierna, nell’ambito del procedimento Valle/Lampada, è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Milano», Giuseppe Gennari, «nei confronti del dottor Giancarlo Giusti, magistrato, già in servizio presso il Tribunale di Reggio Calabria e quindi di Palmi, sospeso dalle funzioni con delibera della Sezione disciplinare del Csm», lo scorso 16 dicembre. Giusti, stando al capo di imputazione, è accusato di corruzione «fino al giugno 2010» in concorso con il presunto boss della 'ndrangheta calabrese radicata a Milano, Giulio Lampada. Il magistrato, infatti, in concorso anche «con persone non identificate» per «compiere e per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio, in palese violazione dei principi di imparzialità, probità e indipendenza tipici della funzione giudiziaria, si metteva a disposizione di Giulio Lampada». Tale “mercimonio della funzione», si legge nell’imputazione, “veniva posto in essere dal magistrato al fine di ricevere e dopo aver ricevuto le utilità economiche da Giulio Lampada e da soggetti a quest’ultimo collegati, tra cui Mario Giglio e Minasi Vincenzo per un valore complessivo di almeno 71 mila euro». Il tutto con «l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di favorire l’associazione di tipo mafioso». Lo scorso 30 novembre, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Paolo Storari e Alessandra Dolci, era stato arrestato un altro magistrato, poi sospeso dal Csm, il presidente delle misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio. In carcere erano finite anche altre 8 persone: il cugino di Giglio, il medico Vincenzo Giglio, il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli (Pdl), l’avvocato Vincenzo Minasi, il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli e un 'fedelissimò, Raffaele Fermino. E poi anche Giulio Lampada, “il regista di tutte le operazioni» e il fratello Francesco, gestori di bar e locali e veri e propri imprenditori nel settore dei giochi di azzardo, la moglie di quest’ultimo Maria Valle (lei però ai domiciliari) e suo fratello Leonardo, l’unico componente «spendibile della famiglia all’esterno». Per tutti il processo con rito immediato comincerà nelle prossime settimane. Il 27 gennaio scorso, poi, erano stati arrestati anche 3 finanzieri e il direttore del lussuoso hotel milanese 'Brun’, accusato di favoreggiamento personale. In quell'albergo, secondo l’accusa, Giusti avrebbe soggiornato pagato dalla cosca e incontrato escort.
martedì 27 marzo 2012
Squinzano, maestra d’asilo accusata di violenza sessuale
SQUINZANO - Bambini di appena quattro anni costretti a spogliarsi per poi essere toccati nelle parti intime. C'è anche la pesantissima accusa di violenza sessuale a carico della ex maestra dell'asilo di Squinzano, accusata di maltrattamenti nei confronti di alcuni piccoli allievi. Si aggrava, quindi, il quadro investigativo nei confronti dell'insegnante, che dal dicembre scorso ha abbandonato la cattedra per poi essere definitivamente allontanata dalla scuola. Accuse gravissime, la cui fondatezza dovrà essere valutata sulla scorta di ulteriori accertamenti. Per questo il pubblico ministero Carmen Ruggiero, titolare del fascicolo, ha deciso di avanzare la richiesta di incidente probatorio per raccogliere le testimonianze di undici piccoli allievi della scuola materna di via tagliamento. Bambini piccoli, piccolissimi, di età compresa fra i sei ed i tre anni, i cui racconti saranno fondamentali per comprendere cosa sia realmente accaduto in classe e quali siano gli atteggiamenti avuti dalla mestra.
Il pm ha dunque chiesto che venga disposta una perizia psicologica sull'attendibilità dei bambini e sulla loro capacità a testimoniare, alla luce delle tenera età. Saranno ascoltati dai giudici non sono i piccoli allievi della scuola materna di Squinzano, ma anche quelli dell'asilo di Veglie, dove la maestra aveva insegnato fino al 31 gennaio 2011, per poi essere trasferita nella sede di via tagliamento.
Già lo scorso anno, infatti, i genitori dei bambini che frequentavano la scuola di Veglie si erano lamentati con il preside per i metodi educativi troppo rigidi dell'insegnante.
Fra gli addebiti della Procura, l'aver percosso e strattonato un bambino procurandogli una ferita alla fronte, l’aver negato l'acqua come punizione, e frasi del tipo: «Speriamo che vi viene la febbre così rimanete tutti a casa».
Arrivata a Squinzano, però, la maestra avrebbe continuato ad assumere atteggiamenti poco consoni al suo ruolo. È qui che secondo l’Accusa sarebbero stati posti in essere anche abusi di tipo sessuale. Nel novembre scorso, alcuni genitori si rivolsero alla caserma dei carabinieri, spiegando che i propri figli tornavano a casa con strane ecchimosi sul corpo: sul viso, oppure sul sedere. «È stata la maestra», avrebbe risposto uno dei bambini. I piccoli, poi, avrebbero anche fatto vedere a mamma e papà in cosa consisteva il gioco della «punturina»: i piccoli sarebbero stati legati al collo con un nastro, assumendo la posizione di un cane, per poi essere presi a calci. Nelle mani dei carabinieri, infine, anche la denuncia dei genitori di un bambino che sarebbe stato colpito con un calcio nei testicoli, così come accertato dai medici del pronto soccorso.
Accuse, dunque, gravissime, se dovessero essere confermate. Intanto, dopo l’avvio dell’inchiesta, il provveditorato ha sospeso l’insegnante dall’insegnamento. Una decisione presa sulla scorta del verdetto della commissione medica, che l’ha dichiarata inidonea.
Ora si attende che il gip valuti la richiesta della Procura, ed eventualmente fissi la data per l’affidamento dell’incarico.
Il pm ha dunque chiesto che venga disposta una perizia psicologica sull'attendibilità dei bambini e sulla loro capacità a testimoniare, alla luce delle tenera età. Saranno ascoltati dai giudici non sono i piccoli allievi della scuola materna di Squinzano, ma anche quelli dell'asilo di Veglie, dove la maestra aveva insegnato fino al 31 gennaio 2011, per poi essere trasferita nella sede di via tagliamento.
Già lo scorso anno, infatti, i genitori dei bambini che frequentavano la scuola di Veglie si erano lamentati con il preside per i metodi educativi troppo rigidi dell'insegnante.
Fra gli addebiti della Procura, l'aver percosso e strattonato un bambino procurandogli una ferita alla fronte, l’aver negato l'acqua come punizione, e frasi del tipo: «Speriamo che vi viene la febbre così rimanete tutti a casa».
Arrivata a Squinzano, però, la maestra avrebbe continuato ad assumere atteggiamenti poco consoni al suo ruolo. È qui che secondo l’Accusa sarebbero stati posti in essere anche abusi di tipo sessuale. Nel novembre scorso, alcuni genitori si rivolsero alla caserma dei carabinieri, spiegando che i propri figli tornavano a casa con strane ecchimosi sul corpo: sul viso, oppure sul sedere. «È stata la maestra», avrebbe risposto uno dei bambini. I piccoli, poi, avrebbero anche fatto vedere a mamma e papà in cosa consisteva il gioco della «punturina»: i piccoli sarebbero stati legati al collo con un nastro, assumendo la posizione di un cane, per poi essere presi a calci. Nelle mani dei carabinieri, infine, anche la denuncia dei genitori di un bambino che sarebbe stato colpito con un calcio nei testicoli, così come accertato dai medici del pronto soccorso.
Accuse, dunque, gravissime, se dovessero essere confermate. Intanto, dopo l’avvio dell’inchiesta, il provveditorato ha sospeso l’insegnante dall’insegnamento. Una decisione presa sulla scorta del verdetto della commissione medica, che l’ha dichiarata inidonea.
Ora si attende che il gip valuti la richiesta della Procura, ed eventualmente fissi la data per l’affidamento dell’incarico.
Choc in ospedale, paziente aggredita e stuprata da un infermiere 50enne
NAPOLI - Stuprata in ospedale da uno degli infermieri del reparto dove era ricoverata. È il dramma straziante di una paziente dell’Ascalesi che, la scorsa notte, è stata vittima di una brutale violenza sessuale. Ad abusare dell’anziana, una 74enne di origini ucraine, è stato un operatore sanitario di 50 anni che stava effettuando il turno di notte nel reparto di Medicina.
L’incubo per la donna è cominciato con l’inganno. L’infermiere, intenzionato ad approfittarsi della degente, si è presentato nella stanza della ricoverata, intorno alle 21, con la scusa di dover effettuare alcuni esami ed accertamenti diagnostici. La straniera si è fidata e ha seguito l’uomo che si è recato in una stanza dello stesso piano distante e isolata dal resto del reparto.
L’aggressione si è scatenata nel giro di pochi attimi durante i quali l’infermiere ha prima palpeggiato il seno della donna con estrema violenza e, successivamente, ha abusato di lei mentre l’anziana cercava disperatamente di divincolarsi dalla sua morsa. Venti minuti di tortura dopo i quali la paziente è ritornata nella sua stanza visibilmente sotto choc.
La donna aveva lo sguardo perso nel vuoto, perdeva sangue e si toccava il corpo con modi ossessivi e ripetitivi che hanno subito preoccupato le altre degenti. Supportata dalle altre donne, l’anziana ha chiamato la figlia riferendole l’accaduto e chiedendole aiuto.
È stato proprio all’arrivo della giovane che si è scatenato il diverbio con l’autore della violenza fino al punto che la chiamata alla polizia è partita dall’ospedale riferendo di un’aggressione ai danni dell’operatore sanitario. L’intervento tempestivo delle forze dell’ordine, giunte sul posto con due volanti, dell’Upg e del commissariato Vicaria, ha subito rilevato la violenza subita dalla donna che ha denunciato quanto accaduto ed è stata accertata da una visita ginecologica presso l’ospedale Loreto Mare, che ha confermato l’abuso sessuale.
Dell’arresto dell’infermiere 50enne, al momento detenuto presso la casa circondariale di Poggioreale, è stato informato il pm di turno, John Henry Woodcock che ha predisposto il sequestro delle cartelle cliniche e la perquisizione di abitazione e dell’armadietto ospedaliero dell’uomo. Anche le donne che condividevano la stanza con la malcapitata sono state ascoltate confermando il racconto dell’anziana.
L’incubo per la donna è cominciato con l’inganno. L’infermiere, intenzionato ad approfittarsi della degente, si è presentato nella stanza della ricoverata, intorno alle 21, con la scusa di dover effettuare alcuni esami ed accertamenti diagnostici. La straniera si è fidata e ha seguito l’uomo che si è recato in una stanza dello stesso piano distante e isolata dal resto del reparto.
L’aggressione si è scatenata nel giro di pochi attimi durante i quali l’infermiere ha prima palpeggiato il seno della donna con estrema violenza e, successivamente, ha abusato di lei mentre l’anziana cercava disperatamente di divincolarsi dalla sua morsa. Venti minuti di tortura dopo i quali la paziente è ritornata nella sua stanza visibilmente sotto choc.
La donna aveva lo sguardo perso nel vuoto, perdeva sangue e si toccava il corpo con modi ossessivi e ripetitivi che hanno subito preoccupato le altre degenti. Supportata dalle altre donne, l’anziana ha chiamato la figlia riferendole l’accaduto e chiedendole aiuto.
È stato proprio all’arrivo della giovane che si è scatenato il diverbio con l’autore della violenza fino al punto che la chiamata alla polizia è partita dall’ospedale riferendo di un’aggressione ai danni dell’operatore sanitario. L’intervento tempestivo delle forze dell’ordine, giunte sul posto con due volanti, dell’Upg e del commissariato Vicaria, ha subito rilevato la violenza subita dalla donna che ha denunciato quanto accaduto ed è stata accertata da una visita ginecologica presso l’ospedale Loreto Mare, che ha confermato l’abuso sessuale.
Dell’arresto dell’infermiere 50enne, al momento detenuto presso la casa circondariale di Poggioreale, è stato informato il pm di turno, John Henry Woodcock che ha predisposto il sequestro delle cartelle cliniche e la perquisizione di abitazione e dell’armadietto ospedaliero dell’uomo. Anche le donne che condividevano la stanza con la malcapitata sono state ascoltate confermando il racconto dell’anziana.
Melina Chiapparino
Strage di Scaliti, chieste 4 condanne di cui 2 ergastoli
Finita la requisitoria del pubblico ministero di Vibo Valentia, Michele Sirgiovanni, che nell'ambito del processo in abbreviato per la strage di Scaliti, frazione di FIlandari, ha chiesto la condanna per tutti e quattro gli imputati. Per due di loro, i fratelli Ercole e Francesco Saverio, il pm ha chiesto la pena dell'ergastolo
VIBO VALENTIA - Quattro condanne, di cui due all’ergastolo, sono state chieste dal pubblico ministero, Michele Sirgiovanni, nel processo con rito abbreviato, in corso davanti al giudice Gabriella Lupoli, per gli imputati della strage di Filandari (Vibo Valentia) nella quale furono uccisi Domenico Fontana ed i quattro figli, Pasquale, Pietro, Emilio e Giovanni. La condanna all’ergastolo è stata chiesta per Ercole Vangeli, 46 anni, ed il fratello Francesco Saverio, 56 anni. La pena di 16 anni è stata chiesta per Pietro Vangeli, 25 anni, figlio di Francesco Saverio; ed infine la condanna a 14 anni per Gianni Mazzitello, genero di Pietro Vangeli. I quattro imputati, tutti detenuti in carcere tranne Mazzitello che si trova ai domiciliari, sono accusati di omicidio plurimo aggravato dalla premeditazione. Nel corso della requisitoria il pubblico ministero ha ricostruito le fasi della strage ed il movente riconducibile a dissidi tra i due nuclei familiari.
Sirgiovanni ha anche sostenuto che il giorno di Natale dell’anno scorso la famiglia Vangeli pianificò la strage durante una riunione svoltasi nella loro abitazione. Al termine dell’intervento dell’accusa è intervenuto il legale di parte civile, l’avvocato Giuseppe Bagnato, che ha ribadito la richiesta di provvisionale per un milione e 500 mila euro come acconto sul risarcimento danni. Il processo è stato aggiornato al 16 aprile quando ci saranno le arringhe difensive e la sentenza.
Palermo, Borsellino: "Addio politica"
L'eurodeputato spiega: "Non mi ripresenterò mai più, alle primarie partecipavo come indipendente ma in realtà ero molto 'dipendentè perchè avevo provato a mettere insieme tutto il centrosinistra e c'ero anche riuscita. Peccato sia durata solo per qualche secondo"
PALERMO. «Basta con la politica, non mi ripresenterò mai più». Rita Borsellino, eurodeputato del Pd, sconfitta il 4 marzo alle primarie del centrosinistra a Palermo, ha espresso la sua volontà di chiudere con il mondo della politica istituzionale. «Alle primarie di Palermo - ha detto - partecipavo come indipendente ma in realtà ero molto 'dipendentè perchè avevo provato a mettere insieme tutto il centrosinistra e c'ero anche riuscita. Peccato sia durata solo per qualche secondo. Non ci si può distrarre nemmeno un momento...».
Alla domanda per chi voterà alle amministrative di Palermo, se per il vincitore delle primarie o per Orlando, Borsellino ha detto che «c'è tempo per pensarci, ma c'è una buona cosa, il voto disgiunto. In questo momento voglio 'staccarè e non voglio far campagna elettorale». Parlando di Antonella Monastra, consigliere comunale del movimento che fa capo a Borsellino e candidata alle primarie, l'europarlamentare ha detto che «lei adesso appoggia Ferrandelli che le ha promesso un posto da assessore».
«Sulle primarie - ha aggiunto - c'è un fascicolo aperto dalla procura e ci sono circa trenta segnalazioni». Dopo aver ribadito che non si candiderà «mai più», ha spiegato che «la politica delle istituzioni mi ha deluso. Preferisco tornare a fare quello che facevo, la politica sui territori».
Figlio arrestato per furto, la madre muore per un infarto
La tragedia a Calatabiano, nel Catanese. La donna, 57 anni, è stata stroncata da un malore dopo aver saputo il motivo per cui lei e il marito erano stati convocati dai carabinieri
CATANIA. Ha appreso dell'arresto del figlio per furto di attrezzi agricoli ed è morta d'infarto appena fuori la caserma dei carabinieri. È avvenuto a Calatabiano, nel Catanese. La donna avrebbe avuto un infarto dopo aver saputo il motivo per cui lei e il marito erano stati convocati dai militari dell'Arma. Inutili i soccorsi dei medici. L'episodio è avvenuto la notte scorsa. I carabinieri avevano arrestato due trentenni pregiudicati e un ventenne incensurato, originario di Fiumefreddo, per il furto di attrezzature agricole.
Come prassi, i militari dell'Arma hanno convocato i genitori dell'incensurato per dare loro la notizia dell'accaduto. La donna, che aveva 57 anni, appena uscita dalla caserma (come ha precisato la procura) è stata colta da un violento malore. Sul posto, avvertiti dai Carabinieri, sono arrivati subito un'ambulanza e personale del 118, ma i medici non hanno potuto fare altro che constatare la morte della donna. La Procura della Repubblica ha disposto la restituzione della salma ai familiari e gli arresti domiciliari per i tre presunti ladri, compreso il figlio della donna.
Mafia, sequestro da 5 milioni ad imprenditore agrigentino
I beni sono riconducibili a Calogero Guarneri, 63 anni, già condannato con sentenza definitiva per attività mafiose, ritenuto a capo della «famiglia» di Canicattì
AGRIGENTO. La Direzione investigativa antimafia (Dia) di Agrigento ha sequestrato un patrimonio, valutabile in oltre 5 milioni di euro, riconducibile a Calogero Guarneri, 63 anni, imprenditore, già condannato con sentenza definitiva per mafia, è ritenuto a capo della «famiglia» di Canicattì (AG). Tra i beni sequestrati, una fattoria con allevamento di
animali, immobili, numerosi terreni e imprese operanti nel settore delle costruzioni
animali, immobili, numerosi terreni e imprese operanti nel settore delle costruzioni
Tenta di portare 2,5 milioni in Svizzera: indagato Emilio Fede
Il direttore del Tg4, circa tre mesi fa, si sarebbe presentato, insieme ad un'altra persona, presso la filiale di un istituto di credito di Lugano con una valigetta contenente il denaro, che però la banca non ha accettato
MILANO. L'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza hanno avviato una serie di verifiche su una vicenda che vede protagonista Emilio Fede: il direttore del Tg4, circa tre mesi fa, si sarebbe presentato, insieme ad un'altra persona, presso la filiale di un istituto di credito di Lugano con una valigetta contenente 2,5 milioni di euro in contanti che la banca non avrebbero però accettato.
La notizia, che è stata pubblicata oggi su alcuni quotidiani, parla di una segnalazione che è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio: a chiedere l'intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca elvetica.
E' probabile che l'istituto non abbia voluto accettare la somma a causa del clamore suscitato dalle vicende che, nei mesi scorsi, hanno coinvolto Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell'ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l'agente dello spettacolo Lele Mora. Ora gli investigatori delle Fiamme Gialle dovranno indagare su questi soldi comparsi in Svizzera. I possibili reati vanno dall'evasione fiscale alla tentata esportazione di capitali all'estero.
"Una balla colossale, che non regge. Frutto di una precisa strategia costruita a tavolino. Sono vittima di un preciso complotto, che mi fa paura", ha detto Fede, smentendo "categoricamente" la notizia.
La notizia, che è stata pubblicata oggi su alcuni quotidiani, parla di una segnalazione che è arrivata in Italia alla fine dello scorso gennaio: a chiedere l'intervento delle autorità di controllo è stato un dipendente della banca elvetica.
E' probabile che l'istituto non abbia voluto accettare la somma a causa del clamore suscitato dalle vicende che, nei mesi scorsi, hanno coinvolto Fede, già indagato per favoreggiamento della prostituzione per le feste organizzate nelle residenze dell'ex capo del governo Silvio Berlusconi e per concorso in bancarotta fraudolenta dalla magistratura milanese con l'agente dello spettacolo Lele Mora. Ora gli investigatori delle Fiamme Gialle dovranno indagare su questi soldi comparsi in Svizzera. I possibili reati vanno dall'evasione fiscale alla tentata esportazione di capitali all'estero.
"Una balla colossale, che non regge. Frutto di una precisa strategia costruita a tavolino. Sono vittima di un preciso complotto, che mi fa paura", ha detto Fede, smentendo "categoricamente" la notizia.
lunedì 26 marzo 2012
Irrompono nel circolo e uccidono il gestore sparandogli quattro colpi alla nuca
Due persone hanno fatto irruzione in un circolo ricreativo gestito da Paolo Munno esplodendo diversi colpi di pistolo e uccidendo il titolare che era già noto alle forze dell'ordine per reati legati a stupefacenti e ricettazione
Torna a scorrere il sangue a Reggio Calabria. Un uomo di 37 anni, Paolo Munno, è stato ucciso nel circolo ricreativo che gestiva, nella traversa Scaccioti della strada statale 18. I killer sono entrati in azione nella serata di sabato. Erano circa le 20,30, Munno era rimasto solo nel locale e si stava per chiudere. Due persone hanno fatto irruzione armati di pistola e hanno cominciato a sparare. Fatali per la vittima sono risultati quattro colpi che lo hanno raggiunto alla nuca. La morte è stata istantanea. I carabinieri sono arrivati sul posto poco dopo e hanno trovato Munno in un lago di sangue dietro al bancone.
Sono subito scattate le indagini e si è partiti subito alla ricerca del potenziale movente. Munno, che era nato a Reggio Calabria il 5 maggio 1975, nel 2009 era stato coinvolto nell'operazione "Eremo" che aveva sgominato un'organizzazione impegnata nel traffico di droga. Da qui sembra che possano ora partire le indagini per scoprire gli autori del delitto.
I beni confiscati passano allo Stato. La Questura di Reggio in 500
Firmate dal prefetto Caruso le destinazioni di automobili e immobili presi alle cosche. Tra le decisioni ci sono alloggi che saranno utilizzati dai carabinieri nella città dello stretto e la tenenza dei militari dell'Arma a Rosarno
Non solo immobili, ma anche auto confiscate ai clan saranno destinate alle forze dell’ordine. Sono stati infatti firmati questa mattina dal prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, alcuni decreti di destinazione inerenti ad automobili e beni immobili confiscati. In particolare, un immobile di 65 mq situato a Reggio Calabria, facente capo alla confisca Crucitti, è stato destinato ad alloggio di servizio per i Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, mentre un altro immobile di tre piani della confisca Bellocco, situato a Rosarno (Rc) in località San Leonardo, diventerà la sede di tenenza dei Carabinieri di Rosarno. Oltre agli immobili, sono state destinate stamattina 4 automobili, tutte cedute gratuitamente e assegnate per uso istituzionale. In particolare, un’auto Fiat 500 della confisca Triumbari andrà alla questura di Reggio Calabria, mentre tre auto di marca e modello diversi (una Toyota Yaris, una Alfa Romeo 156 e una Audi A6), rispettivamente delle confische Sparta, Alesci e Cannizzo, andranno alla questura di Messina.
Beni per 7 milioni di euro confiscati a boss della mafia
L'operazione della guardia di finanza. Erano di proprietà di quattro indagati per mafia. Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Palermo
PALERMO. Patrimoni per un valore di circa 6,8 milioni di euro sono stati confiscati dalla guardia di finanza di Palermo. Erano di proprietà di quattro indagati per mafia. Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Palermo. I beni più cospicui erano di un palermitano di 47 anni, accusato di estorsioni e traffico di stupefacenti per conto della famiglia mafiosa di corso Calatafimi a Palermo, al quale sono stati confiscati 10 immobili ed un'impresa funebre, per un valore di oltre 4 milioni di euro.
Ad un boss di 36 anni, della famiglia di San Lorenzo sono stati confiscati un terreno a Palermo e un immobile in San Vito Lo Capo (Tp) per un valore di 300 mila euro circa. Sigilli anche ai beni di un imprenditore di Carini di 44 anni, ritenuto contiguo alla mafia: 3 villette, 3 lotti di terreno ed un'azienda di autotrasporti, per un valore di oltre 2 milioni di euro. Infine a un altro palermitano di 57 anni, organico alla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi per conto della quale faceva l'esattore del «pizzo», sono stati confiscati due appartamenti nei quartieri Settecannoli e Mezzomonreale-Villa Tasca di Palermo, per un valore complessivo di 460 mila euro. Le indagini svolte dalle Fiamme Gialle hanno permesso di riscontrare che i patrimoni accumulati dai boss non erano in alcun modo giustificati da fonti di lecita provenienza
domenica 25 marzo 2012
In Afghanistan 4200 militari italiani Dal 2004 sono 50 i caduti
Con la morte di Michele Silvestri, 33 anni, di Monte di Procida, sergente del 21° Genio Guastatori di Caserta ucciso in Afghanistan durante un attacco a colpi di mortaio contro l’avamposto 'Ice' nella regione Gulistan, sale a 50 il bilancio delle vittime italiane dall'inzio della missione Isaf nel 2004
ROMA -
Sono 4.200 i militari italiani che, prendono parte alla missione multinazionale Isaf in Afghanistan. Il Contingente italiano di stanza a Herat è dal 29 settembre scorso al comando del Generale di Brigata Luciano Portolano, comandante della Brigata "Sassari''.
Il Regional Command West (Rc-W), la zona sotto la responsabilità italiana, è un'ampia regione dell'Afghanistan occidentale, grande quanto il Nord Italia, che si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah.
La missione Isaf ha il compito di condurre operazioni militari in Afghanistan secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le Forze di Sicurezza afghane e con le forze della coalizione, per assistere il governo afghano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di governo, estendere il controllo del governo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione.
LE VITTIME
Con la morte di un bersagliere nel corso di un attacco talebano a una base italiana nel Gulistan, sono 50 i caduti italiani in Afghanistan dal 2004 ad oggi. Ultime tre vittime, prima di oggi, i tre militari del 66.mo reggimento, rimasti uccisi in un incidente stradale avvenuto nei pressi di Shindad, nella regione occidentale dell'Afghanistan.
2004
3 ottobre: un mezzo su cui viaggiano 5 soldati esce di strada uccidendo il caporal maggiore Giovanni Bruno, mentre altri quattro militari restano feriti.
2005
3 febbraio: un velivolo civile in volo da Herat A Kabul, precipita a 60 Km sud est dalla capitale, in zona di montagna. A bordo il capitano di vascello Bruno Vianini effettivo al Comando Interforze Operazioni Forze Speciali, in servizio presso Herat.
11 ottobre: a causa di un incidente, perde la vita il caporal maggiore capo Michele Sanfilippo.
2006
5 maggio: a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita il capitano Manuel Fiorito e il maresciallo capo Luca Polsinelli.
2 luglio: il colonnello Carlo Liguori muore per un malore. - 20 settembre: in un incidente stradale a Kabul, perde la vita il caporal maggiore Giuseppe Orlando.
26 settembre: a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del Contingente, nel distretto di hahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, perde la vita il caporalmaggiore capo scelto Giorgio Langella e successivamente, il caporal maggiore Vincenzo Cardella.
2007
24 settembre: ferito l'agente del Sismi Lorenzo D'Auria che morirà il 4 ottobre per le ferite riportate durante la sua liberazione dai talebani.
24 novembre: un kamikaze si fa saltare in aria a Pagman, a 15 chilometri a ovest di Kabul uccidendo il maresciallo capo Daniele Paladini.
2008
13 febbraio: in un attentato nella valle di Uzeebin, a 60 km da Kabul, muore il maresciallo Giovanni Pezzulo e rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri - 21 settembre: a causa di un malore, muore a Herat il caporal maggiore Alessandro Caroppo, dell'Ottavo reggimento bersaglieri di Caserta.
2009
15 gennaio: muore per arresto cardiocircolatorio il maresciallo Arnaldo Forcucci.
14 luglio: a 50 km da Farah, un attentato costa la vita al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio.
17 settembre: un attentato suicida nella capitale provoca la morte di sei paracadutisti della Folgore, Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami
15 ottobre: in uno spostamento notturno da Herat a Shindad, si ribalta un Lince, uccidendo il caporal maggiore Rosario Ponziano.
2010
26 febbraio: un funzionario dell'Agenzia di informazione e sicurezza esterna (Aise, ex Sismi), Pietro Antonio Colazzo, viene ucciso nel corso di un attentato suicida a Kabul.
17 maggio: un veicolo blindato salta in aria su un ordigno uccidendo il sergente Massimilano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio.
23 giugno: il caporal maggiore Francesco Saverio Positano perde la vita a Shindad per un forte trauma cranico.
25 luglio: un militare di stanza a Kabul, Marco Callegaro, si suicida con un colpo d'arma da fuoco.
28 luglio: l'esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) provoca la morte di due specialisti del Genio, Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis.
17 settembre: nella provincia di Farah in un attentato muore l'incursore Alessandro Romani.
9 ottobre: l'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio provoca la morte di 4 caporal maggiori degli alpini, Sebastiano Ville, Gianmarco Manca, Marco Pedone e Francesco Vannozzi.
31 dicembre: il caporal maggiore Matteo Miotto rimane ucciso per il colpo di un cecchino nell'avamposto Snow nella valle del Gullistan.
2011
18 gennaio: il caporal maggiore Luca Sanna perde la vita nell'avamposto di Bala Murghab, nell'ovest del Paese - 28 febbraio: l'esplosione di un ordigno nei pressi di Shindad provoca la morte del tenente Massimo Ranzani.
4 giugno: il tenente colonnello dei Carabinieri Cristiano Congiu ucciso a colpi di arma da fuoco mentre tenta di difendere una donna americana.
2 luglio: il caporal maggiore Gaetano Tuccillo muore per l'esplosione di un ordigno nel villaggio di Chagaz, 16 chilometri a ovest di Bakwa.
12 luglio: muore il caporal maggiore Roberto Marchini, dell'ottavo reggimento genio guastatori della folgore.
25 luglio: uno scontro a fuoco nel villaggio di Khame Mulawi costa la vita al caporal maggiore David Tobini.
23 settembre: il tenente Riccardo Bucci, 34 anni, in servizio presso il Reggimento lagunari Serenissima di Venezia, il caporal maggiore scelto Mario Frasca, 32 anni, in servizio presso il quartier generale del Comando delle Forze operative terrestri di Verona e il caporal maggiore Massimo Di Legge, 28 anni, in servizio presso il Raggruppamento logistico centrale di Roma, perdono la vita in un incidente stradale nei pressi di Herat.
2012
13 gennaio: muore colpito da malore il tenente colonnello Giovanni Gallo. 20 febbraio: tre militari italiani muoiono in un incidente stradale nei pressi di Shinbad.
ROMA -
Sono 4.200 i militari italiani che, prendono parte alla missione multinazionale Isaf in Afghanistan. Il Contingente italiano di stanza a Herat è dal 29 settembre scorso al comando del Generale di Brigata Luciano Portolano, comandante della Brigata "Sassari''.
Il Regional Command West (Rc-W), la zona sotto la responsabilità italiana, è un'ampia regione dell'Afghanistan occidentale, grande quanto il Nord Italia, che si estende sulle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah.
La missione Isaf ha il compito di condurre operazioni militari in Afghanistan secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le Forze di Sicurezza afghane e con le forze della coalizione, per assistere il governo afghano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di governo, estendere il controllo del governo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione.
LE VITTIME
Con la morte di un bersagliere nel corso di un attacco talebano a una base italiana nel Gulistan, sono 50 i caduti italiani in Afghanistan dal 2004 ad oggi. Ultime tre vittime, prima di oggi, i tre militari del 66.mo reggimento, rimasti uccisi in un incidente stradale avvenuto nei pressi di Shindad, nella regione occidentale dell'Afghanistan.
2004
3 ottobre: un mezzo su cui viaggiano 5 soldati esce di strada uccidendo il caporal maggiore Giovanni Bruno, mentre altri quattro militari restano feriti.
2005
3 febbraio: un velivolo civile in volo da Herat A Kabul, precipita a 60 Km sud est dalla capitale, in zona di montagna. A bordo il capitano di vascello Bruno Vianini effettivo al Comando Interforze Operazioni Forze Speciali, in servizio presso Herat.
11 ottobre: a causa di un incidente, perde la vita il caporal maggiore capo Michele Sanfilippo.
2006
5 maggio: a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita il capitano Manuel Fiorito e il maresciallo capo Luca Polsinelli.
2 luglio: il colonnello Carlo Liguori muore per un malore. - 20 settembre: in un incidente stradale a Kabul, perde la vita il caporal maggiore Giuseppe Orlando.
26 settembre: a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del Contingente, nel distretto di hahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, perde la vita il caporalmaggiore capo scelto Giorgio Langella e successivamente, il caporal maggiore Vincenzo Cardella.
2007
24 settembre: ferito l'agente del Sismi Lorenzo D'Auria che morirà il 4 ottobre per le ferite riportate durante la sua liberazione dai talebani.
24 novembre: un kamikaze si fa saltare in aria a Pagman, a 15 chilometri a ovest di Kabul uccidendo il maresciallo capo Daniele Paladini.
2008
13 febbraio: in un attentato nella valle di Uzeebin, a 60 km da Kabul, muore il maresciallo Giovanni Pezzulo e rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri - 21 settembre: a causa di un malore, muore a Herat il caporal maggiore Alessandro Caroppo, dell'Ottavo reggimento bersaglieri di Caserta.
2009
15 gennaio: muore per arresto cardiocircolatorio il maresciallo Arnaldo Forcucci.
14 luglio: a 50 km da Farah, un attentato costa la vita al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio.
17 settembre: un attentato suicida nella capitale provoca la morte di sei paracadutisti della Folgore, Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami
15 ottobre: in uno spostamento notturno da Herat a Shindad, si ribalta un Lince, uccidendo il caporal maggiore Rosario Ponziano.
2010
26 febbraio: un funzionario dell'Agenzia di informazione e sicurezza esterna (Aise, ex Sismi), Pietro Antonio Colazzo, viene ucciso nel corso di un attentato suicida a Kabul.
17 maggio: un veicolo blindato salta in aria su un ordigno uccidendo il sergente Massimilano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio.
23 giugno: il caporal maggiore Francesco Saverio Positano perde la vita a Shindad per un forte trauma cranico.
25 luglio: un militare di stanza a Kabul, Marco Callegaro, si suicida con un colpo d'arma da fuoco.
28 luglio: l'esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) provoca la morte di due specialisti del Genio, Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis.
17 settembre: nella provincia di Farah in un attentato muore l'incursore Alessandro Romani.
9 ottobre: l'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio provoca la morte di 4 caporal maggiori degli alpini, Sebastiano Ville, Gianmarco Manca, Marco Pedone e Francesco Vannozzi.
31 dicembre: il caporal maggiore Matteo Miotto rimane ucciso per il colpo di un cecchino nell'avamposto Snow nella valle del Gullistan.
2011
18 gennaio: il caporal maggiore Luca Sanna perde la vita nell'avamposto di Bala Murghab, nell'ovest del Paese - 28 febbraio: l'esplosione di un ordigno nei pressi di Shindad provoca la morte del tenente Massimo Ranzani.
4 giugno: il tenente colonnello dei Carabinieri Cristiano Congiu ucciso a colpi di arma da fuoco mentre tenta di difendere una donna americana.
2 luglio: il caporal maggiore Gaetano Tuccillo muore per l'esplosione di un ordigno nel villaggio di Chagaz, 16 chilometri a ovest di Bakwa.
12 luglio: muore il caporal maggiore Roberto Marchini, dell'ottavo reggimento genio guastatori della folgore.
25 luglio: uno scontro a fuoco nel villaggio di Khame Mulawi costa la vita al caporal maggiore David Tobini.
23 settembre: il tenente Riccardo Bucci, 34 anni, in servizio presso il Reggimento lagunari Serenissima di Venezia, il caporal maggiore scelto Mario Frasca, 32 anni, in servizio presso il quartier generale del Comando delle Forze operative terrestri di Verona e il caporal maggiore Massimo Di Legge, 28 anni, in servizio presso il Raggruppamento logistico centrale di Roma, perdono la vita in un incidente stradale nei pressi di Herat.
2012
13 gennaio: muore colpito da malore il tenente colonnello Giovanni Gallo. 20 febbraio: tre militari italiani muoiono in un incidente stradale nei pressi di Shinbad.
Iscriviti a:
Post (Atom)