La filiera della truffa
NAPOLI - Chiariamo subito, a scanso di equivoci: non fa male alla salute ma alla tasca. Cioè, costa più di quanto dovrebbe perché nel prezzo di vendita della mozzarella di bufala campana Dop è compresa la genuinità del prodotto di base , che deve essere sempre rigorosamente fresco e proveniente dalle province di Caserta, Salerno, Frosinone e Latina.
Se invece è congelato, in polvere, di bufala italiana o di vacca, munto in un’altra qualunque parte del mondo, quel latte abbatte il valore del prodotto finito e riduce il prezzo di vendita almeno del 30 per cento. La questione è tutta qui, con la plusvalenza dirottata verso i conti personali dei produttori di mozzarella o, come sostiene la Dda, nelle casse della camorra casalese.
È questa la premessa dell’inchiesta-bis che ha coinvolto Giuseppe Mandara (e con lui i titolari di altri ventisette caseifici campani, molisani, siciliani, toscani, lombardi ed emiliani), per i quali la Procura di Napoli (i pm Giovanni Conzo, Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano) hanno chiesto l’arresto di 39 persone e il sequestro dei caseifici. Indagine bocciata dal gip Anita Polito e che il 17 ottobre approderà dinanzi al Riesame (VIII sezione), in sede di appello.
Negli atti - quasi mille pagine di richiesta cautelare, con allegate le schede tecniche dei prodotti confezionati in Campania e all’estero con la dicitura del marchio Dop ma senza il rispetto del disciplinare - è raccontata, attraverso le intercettazioni telefoniche, la trattativa (parzialmente pubblica, per il risalto che ebbe sulla stampa) per il controllo del Consorzio di tutela e per la modifica del disciplinare del marchio Dop, con il tentativo di rendere lecita - attraverso un’attività di lobbing esercitata nei confronti del ministero delle Risorse agricole - la confezione della mozzarella anche con latte congelato.
Ma nelle intercettazioni c’è anche altro. E cioè, l’impiego di cagliata proveniente da Lituania, Polonia ed Estonia, ingannando i consumatori e mettendo anche a repentaglio la loro salute, essendo del tutto ignote la provenienza del prodotto-madre ma anche e soprattutto le modalità di conservazione dello stesso.
A capo della cordata pro-congelamento la Dda mette Giuseppe Mandara, che di fatto (e ne sono testimoni le intercettazioni telefoniche) controllava la maggioranza del Consorzio di tutela (tra gli indagati c’è anche il presidente dell’epoca, il 2009).
Differenziate le posizioni dei vari produttori di mozzarella, tra i quali compaiono alcuni colossi del settore, come Raffaele Garofalo del «Casaro del Re», Luigi Griffo di «Spinosa Lucia», Giuseppe Cirillo de «La Marchesa», oltre alle varie società controllate da Mandara.
Più grave, stando alla lettura dei capi d’imputazione, quelle dello stesso capocordata, che attraverso il marchio Alival avrebbe commercializzato anche prodotti confezionati con cagliata di latte proveniente dai paesi dell’est europeo, senza indicare sull’incarto la reale provenienza della materia prima.
Con Mandara (e i vertici della sua rete di vendita) ci sono anche Antonio Mastroianni (titolare del caseificio «La Stella» di Santa Maria Capua Vetere) e alcuni produttori di Erbusco (in provincia di Brescia), Traviano (Lecce), Agrigento, Capaci, Carpinone (il caseificio del Molise, provincia di Isernia), Sassano (la «Bovarina»), Castellammare di Stabia (il «Global Milk»), Reggio Emilia («Latteria Piana del Sele»), Mirabello Sannitico (Icm), Frascineto (in provincia di Cosenza, «Casearia Astorina»), Baranello (provincia di Frosinone, «Latticini molisani Tamburro»), Sassari, Mottola Livenza (Vicenza), Usmate Velate (Milano), Collecchio (
Parma), Quarto («Alpi»), Qualiano («Il Principe»). Dagli atti risulta che si siano approvvigionati di cagliata congelata acquistandola dalla Alival, una delle società di Mandara.
Sullo sfondo, il giro di fatture e di pagamenti in nero, per far scomparire la reale provenienza della materia prima. A corredo, la valutazione dei potenziali produttivi delle aziende bufaline che hanno conferito il latte ai caseifici finiti nell’inchiesta (analisi che il Nas ha elaborato attraverso la banca dato nazionale dell’Izs di Teramo) e i rilievi produttivi Anasb (l’associazione degli allevatori bufalini). Nell’anno considerato, il 2008, risulterebbero difformità tra il latte Dop prodotto o acquistato e la produzione di mozzarella (circa quattro litri per ogni chilo di prodotto finito).
I reati contestati dalla Procura di Napoli (e ritenuti insussistenti dal gip) vanno dalla frode alla violazione del marchio Dop, con l’aggravante del favoreggiamento della camorra. A sostegno di questa ipotesi, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Augusto la Torre, Mario Sperlongano, Armando Martucci, Raffaele Piccolo) circa i vantaggi derivanti dalla frode per i maggior clan della provincia di Caserta (Esposito, La Torre e i Casalesi nelle sue varie componenti). Un ruolo non marginale avrebbe avuto nell’affare anche Michele Zagaria, al quale sarebebro andati gli introiti di un caseificio («Cilento spa», il cui amministratore - Carlo Cilento - era consigliere del Consorzio di tutela). Ha riferito Armando Martucci che Cilento avrebbe favorito la latitanza di esponenti di spicco del clan Esposito e dello stesso Zagaria. Collegamento di cui aveva parlato, nel 2009, anche Domenico Bidognetti.
di Rosaria Capacchione