Questo blog di notorietà internazionale, per protesta contro uno “Stato Latitante” non verrà aggiornato.
venerdì 30 aprile 2010
Tante le iniziative per celebrare il 162° anniversario della "Carica di Pastrengo"
Tante le iniziative per celebrare il 162° anniversario della "Carica di Pastrengo"
"Quì ove Pastrengo prima li accolse, l'Arma da sempre memore ritorna, fondendo le gesta in una sola fiamma d'amor". E' la frase che riecheggia sul cippo marmoreo apposto in ricordo dell'eroica carica dei Carabinieri Reali a Pastrengo il 30 aprile 1848 e che si risolse in un'incredibile vittoria, tanto da tributare alla Bandiera dell'Arma la prima Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Nel suo intervento a Pastrengo il Comandante Generale dell'Arma di Carabinieri Leonardo Gallitelli li definisce "Uomini coraggiosi, appartenenti ad un Corpo che, fondato appena 34 anni prima, già dava prova di spiccate doti di lealtà e di fedeltà alle Istituzioni". E al riguardo appare emblematica la risposta che diede il re, Carlo Alberto, ad alcuni uomini del suo seguito che, qualche giorno prima, gli facevano notare il pericolo al quale si stava esponendo recandosi a ridosso delle zone dove più aspra era la battaglia: "ho meco uno squadrone di Carabinieri!". Fiducia giustamente riposta. Il 30 aprile 1848, infatti, il maggiore Negri di Sanfront, al comando dei Carabinieri a scorta del sovrano, intuito il grave pericolo che minacciava la sicurezza del Re, di sua iniziativa si lanciò alla carica con tre Squadroni Carabinieri. L'impeto della massa compatta di cavalieri travolse le file austriache causandone la rottura.
Il filo conduttore che unisce gli eventi della prima guerra d'Indipendenza a quelli che portarono successivamente all'Unità d'Italia è unico e lo si intravede anche nelle celebrazioni in forma solenne che per due giorni sono state programmate a Pastrengo e a Villafranca per ricordare l'epico evento, che, appunto, si inquadrano nell'ambito delle cerimonie celebrative del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia.
Le celebrazioni sono state aperte ieri a Verona dalla sfilata del 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo, che ha anche reso gli Onori durante la deposizione di una corona d'alloro al Monumento ai Caduti. I cavalieri hanno sfilato davanti all'Arena, entusiasmando il pubblico presente che ha applaudito a lungo. In serata, la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma ha intrattenuto gli intervenuti con un concerto presso il Teatro Filarmonico di Verona.
La rievocazione storica della carica da parte del Gruppo Squadroni del 4° Reggimento si è svolta, invece, questa mattina a Pastrengo alla presenza del Generale Leonardo Gallitelli e del Prefetto di Verona, dott.ssa Perla Stancari, nonché del Senatore Anna Cinzia Bonfrisco, dell'On. Aldo Brancher e dei Generali Luigi Federici, già Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Libero Lo Sardo, Presidente dell'Associazione Nazionale Carabinieri, e Cesare Vitale, presidente dell'Opera Nazionale Assistenza Orfani Militari dell'Arma dei Carabinieri.
Nel corso della solenne cerimonia il Sindaco Mario Rizzi ha conferito la Cittadinanza Onoraria al Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri e al 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo.
"Un particolare e sentito ringraziamento al Sindaco e all'Amministrazione di Pastrengo - ha tenuto a sottolineare il Comandante Generale nel corso del suo intervento - che con la consueta sensibilità ha reso possibile la celebrazione di questa ricorrenza e che, nella circostanza, ha voluto riservarmi l'onore e l'alto privilegio del conferimento della Cittadinanza Onoraria, che accetto in nome e per conto di tutti i Carabinieri d'Italia".
"Il Carabiniere, oggi come allora, è la sintesi di due anime: il soldato ed il tutore dell'ordine": è questo il significato profondo ed il senso di "fare memoria" di un fatto d'arme accaduto tanti anni fa che il Generale Gallitelli ha voluto sintetizzare nel prosieguo del suo discorso. "E' dunque per questo che oggi siamo qui - ha sottolineato il Comandante Generale - per ricordare coloro che hanno tracciato quel solco di rigore morale e di difesa delle Istituzioni nel quale ogni Carabiniere si riconosce attraverso il Giuramento di fedeltà alla Patria". Ha poi concluso la sua prolusione ponendo l'accento sul fatto che "il mutare dei tempi… non deve minimamente scalfire il patrimonio etico e morale che da quasi due secoli si tramanda - inalterato - attraverso le varie generazioni di Carabinieri: onestà, senso del dovere, altruismo, rispetto della persona".
La manifestazione si concluderà questa sera a Villafranca (VR) con il celebre Carosello Equestre, eseguito con l'avvincente perizia dei cavalieri del 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo.
Ars: stop a pensioni d'oro stabilizzati 4.500 precari
Ars: stop a pensioni d'oro
stabilizzati 4.500 precari
Maratona notturna a Palermo per l'approvazione della finanziaria. Via libera alla norma che determina la dotazione organica della Regione in 15.600 unità nel comparto non dirigenziale e all'articolo che fissa a 250 mila euro lordi l'importo massimo per le retribuzioni degli alti burocrati. Gestione idrica: sì all'acqua pubblica
PALERMO - Maratona nottuna all'Ars per la discussione degli articoli della finanziaria regionale, che dovrebbe essere approvata in nottata, rispettando il termine della scadenza dell'esercizio provvisorio.
VERSO STABILIZZAZIONE 4.500 PRECARI. Porte aperte alla stabilizzazione per circa 4.500 precari che lavorano per conto dell'amministrazione della Regione siciliana, negli enti, nelle agenzie, nei dipartimenti e negli assessorati. L'Assemblea regionale siciliana ha approvato la norma (art. 55) contenuta nella finanziaria, in discussione a sala d'Ercole, che determina la dotazione organica della Regione in 15.600 unità nel comparto non dirigenziale.
In base alla norma le procedure per la stabilizzazione del personale saranno attivate in via amministrativa alla luce dei criteri stabiliti dalla legge nazionale varata dall'ex governo Prodi e confermata dal ministro Brunetta. La norma riguarda i lavoratori ex articolo 23, i dipendenti precari della Protezione civile regionale, dell'assessorato Territorio e Ambiente, dell'Agenzia per le acque e i rifiuti, gli ex catalogatori.
La norma prevede inoltre la proroga dei contratti a termine per i precari attualmente in forza nei diversi rami dell'amministrazione regionale fino al prossimo 31 dicembre. Con la determinazione della dotazione organica, la norma dà la possibilità all'amministrazione regionale di procedere nei casi e alle condizioni previste alla stabilizzazione del personale. Con il voto di oggi, dunque, l'Ars ha avviato il percorso per tutti o parte dei 4.500 lavoratori, la cui assunzione a tempo indeterminato dipenderà da eventuali e successive determinazioni dell'amministrazione.
BASTA PENSIONI D'ORO. Stop alle pensioni d'oro ai dipendenti della Regione siciliana. L'Assemblea regionale ha approvato l'articolo 40 della finanziaria, in discussione a sala d'Ercole, che fissa a 250 mila euro lordi l'importo massimo per le "retribuzioni poste a base di calcolo dei trattamenti di pensione a carico della Regione". La norma è stata inserita nella finanziaria in seguito alle polemiche sollevate da una sentenza della Corte dei Conti che lo scorso marzo ha riconosciuto all'ex dirigente dell'Agenzia per le acque e i rifiuti della Regione, Felice Crosta, una indennità previdenziale di circa 500 mila euro lordi all'anno, 1.369 euro al giorno. Crosta è stato l'ultimo di una serie di alti burocrati della Regione andati in pensione con trattamenti superiori a 250 mila euro l'anno.
La norma sul tetto alle pensioni è stata proposta dal Pd. L'Ars ha anche approvato un emendamento all'articolo 42 (interpretazione autentica in materia di trattamenti pensionistici dei dirigenti regionali) presentato dal presidente del gruppo Pd Antonello Cracolici, che chiarisce che, non solo nessun dipendente che è andato o andrà in pensione dopo l'entrata in vigore della legge 2 del 2007 può superare il tetto di 250 mila euro ma chi, successivamente all'entrata in vigore della legge, ha già percepito somme superiori, dovrà restituire la differenza.
ACQUA PUBBLICA. Con 53 voti a favore e 25 contrari, l'Assemblea regionale siciliana ha anche approvato, a scrutinio segreto, l'articolo 50 della finanziaria regionale, che prevede il ritorno alla gestione pubblica dell'acqua in Sicilia. La norma è stata proposta dal Pd. Prima del voto, il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, replicando in aula ad alcuni deputati che nei loro interventi avevano espresso dubbi rispetto alla legittimità e alla costizionalità della norma, ha detto: "Non sarei favorevole se non fossi sicuro che non andremo incontro a nessun contenzioso; l'Ars può votare serenamente perché comunque su questo argomento torneremo presto a legiferare". La norma avvia il ritorno alla gestione pubblica delle risorse idriche, che in alcuni comuni siciliani vengono gestite da società e consorzi privati che in alcuni casi, come nell'agrigentino, non sono riusciti a risolvere i problemi di approvvigionamento. Ad Agrigento l'acqua viene erogata a singhiozzo, in alcune zone i rubinetti rimangono a secco anche una settimana.
MENSE SCOLASTICHE: 50% PRODOTTI SICILIANI. L'Ars ha approvato la norma inserita nell'art. 69 della finanziaria secondo la quale "è fatto obbligo agli enti locali siciliani che forniscono servizio di mense scolastiche, universitarie e ospedaliere di assicurare e verificare che almeno il 50% dei prodotti alimentari somministrati sia prodotta in Sicilia".
Napoli, arrestati 11 "falchi"
Napoli, arrestati 11 "falchi"
Nella mattinata odierna, personale della Squadra Mobile ha eseguito 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse nei confronti di appartenenti alla Polizia di Stato, in servizio presso la stessa squadra mobile sez. VI - criminalità diffusa, comunemente nota come i ‘Falchi’.
Ai poliziotti vengono contestati i reati di peculato e falso in atto pubblico.
Le indagini sono state avviate d’ iniziativa da parte di quest’ ufficio che, a seguito di un controllo sui verbali redatti dagli operanti, aveva rilevato delle anomalie che lasciavano trasparire la non regolarità di un intervento che aveva consentito l' arresto in flagranza di reato di cinque rapinatori.
A seguito delle risultanze d’ indagine la locale Procura della Repubblica ha richiesto l’ emissione di provvedimenti restrittivi al giudice che ha approvato nella sua completezza il quadro probatorio e le responsabilità accertate.
Gli agenti, arrestati dalla stessa Squadra Mobile, sono stati immediatamente sospesi dal servizio.
Dia confisca beni a Piddu Madonia
Dia confisca beni a Piddu Madonia
PALERMO- La Direzione Investigativa Antimafia di Caltanissetta ha eseguito un decreto di confisca definitiva di beni emesso dalla prima sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta nei confronti del capomafia nisseno Piddu Madonia. Il valore del patrimonio sottratto al boss e’ di circa 2 milioni di euro. Tra i beni confiscati un esteso agrumeto di 10 ettari a Belpasso (Catania) e la villa di residenza della famiglia del boss a Caltanissetta. Le attivita’ d’indagine delegate dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta e condotte, tra il 2004 e il 2005, dalla Dia hanno accertato la riconducibilita’ dei beni al patrimonio personale e familiare del capomafia.
Di rilievo la ricostruzione dell’acquisizione del vasto appezzamento agricolo coltivato ad agrumi acquistato da Madonia nel comprensorio del comune di Belpasso, alla fine degli anni ‘80, con denaro ricavato dalle attivita’ illecite, ma formalmente intestato a una societa’ di Palermo: la S.A.L. srl, di Simone Castello. Castello, tra i gestori della latitanza del capomafia di Caltanissetta, e’ stato uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano e uno dei ‘postini’ incaricati di curare lo smistamento dei ‘pizzini’ del boss.
Mafia nell’Agrigentino, confermati 8 ergastoli
AGRIGENTO – Otto ergastoli sono stati confermati dalla corte d’assise d’appello di Palermo al termine del troncone, celebrato con rito ordinario, del processo scaturito dall’inchiesta antimafia “Domino” che ha consentito di fare luce su 10 omicidi e due tentati omicidi commessi fra Aragona, Racalmuto e Grotte negli anni Novanta. Carcere a vita per Salvatore Fragapane di Santa Elisabetta, per i fratelli Diego ed Ignazio Agrò di Racalmuto, per Giovanni Acquilina di Grotte, per Calogero Castronovo di Agrigento, per Nicolò Cino di Racalmuto, per Giuseppe Fanara di Santa Elisabetta e per Giuseppe Sferrazza di Racalmuto. Confermate anche le condanne a 16 anni di reclusione per Diego Salvatore Pitruzzella di Racalmuto, a 14 anni per Gerlandino Messina di Porto Empedocle, e a 2 anni e 6 mesi per Gioacchino Emmanuele di Racalmuto. Confermata pure l’assoluzione di Salvatore Di Ganci, originario di Polizzi Generosa, ma residente a Sciacca.
giovedì 29 aprile 2010
Mafia, applausi a boss in permesso
Mafia, applausi a boss in permesso
Agrigento,salutato da piccola folla
Salvatore Messina condannato al carcere a vita ha potuto beneficiare di un permesso straordinario per vedere moglie e figli. La notizia ad Agrigento si è diffusa velocemente e sotto la casa del mafioso si è radunata una piccola folla. Quando Messina è uscito dallo stabile per fare ritorno in carcere, è stato salutato da un applauso caloroso al quale ha risposto soddisfatto con un cenno di saluto.
Salvatore Messina, 45 anni, sta scontando una condanna al carcere a vita per un omicidio e un tentato omicidio risalenti agli anni Ottanta. L'uomo, fratello del superlatitante Gerlandino e detenuto nella casa circondariale di Prato, aveva ottenuto un permesso straordinario di sole tre ore per gravi motivi familiari.
Le forze dell'ordine presenti sotto la casa dell'uomo hanno permesso ad amici e parenti di realizzare che Messina era rientrato a casa per una visita. Così quando è uscito per fare ritorno in carcere, il boss ha trovato ad accoglierlo un gruppetto di persone particolarmente affettuose. Non è la prima volta che succede.
Dopo l'arresto, a Reggio Calabria, del boss Giovanni Tegano fuori dalla Questura si era creato un assembramento di persone, che ha salutato il boss con applausi e cori. Tegano ha risposto alzando la mano.
Catania: avevano il monopolio del "caro estinto"
Catania: avevano il monopolio del "caro estinto"
Controllavano il settore delle onoranze funebri a Catania. Sono diciotto gli arrestati di questa mattina legati alla famiglia D'Emanuele. L'operazione "Cherubino" della Direzione investigativa antimafia ha permesso di fermare la gestione del monopolio sulle onoranze funebri con accuse per associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza e corruzione.
Del gruppo mafioso fa parte anche il boss Natale D'Emanuele, ritenuto a capo dell'omonima "famiglia" e cugino del capomafia ergastolano Benedetto Santapaola, al quale l'ordine di custodia cautelare è stato notificato in carcere.
Le indagini, iniziate nel 2005, hanno avuto il contributo anche di un collaboratore che ha permesso il ritrovamento di armi clandestine all'interno dell'obitorio dell'ospedale "Cannizzaro" di Catania. "L'industria del caro estinto" si reggeva sulla consolidata connivenza tra alcuni infermieri degli ospedali e l'azienda di pompe funebri facente capo alla famiglia D'Emanuele.
L'attività criminale veniva realizzata sia attraverso la forza d'intimidazione per l'appartenenza al clan Santapaola, sia attraverso la corruzione di infermieri che in cambio di denaro ( 200 a 300 euro) informavano l'organizzazione quando c'era un decesso in ospedale.
mercoledì 28 aprile 2010
Blitz anti-'ndrangheta, 40 fermi
Blitz anti-'ndrangheta, 40 fermi
Reggio, operazione contro cosca Pesce
I carabinieri di Reggio Calabria, in collaborazione con i militari del Ros e la polizia, hanno eseguito 40 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda reggina contro altrettanti presunti affiliati alla cosca Pesce di Rosarno della 'ndrangheta. Il reato contestato alle persone coinvolte nell'operazione è l'associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata ad omicidi, estorsioni e traffico di droga. Sequestrati beni mobili per dieci milioni di euro.
Ci sono anche sette donne tra gli affiliati arrestati in Calabria. Secondo quanto è emerso dalle indagini, il ruolo delle donne nella gestione degli affari della cosca Pesce sarebbe stato molto attivo e si sarebbe concretizzato, in particolare, nel reimpiego dei proventi delle attività illecite gestite dalla cosca, in particolare estorsioni e traffico di droga. Reimpiego che si sarebbe sostanziato, secondo quanto riferito dagli investigatori, nell'acquisizione di consistenti proprietà immobiliari che venivano intestate fittiziamente a prestanome.
I carabinieri stanno eseguendo, complessivamente, 32 fermi, 24 dei quali a Rosarno ed in altri centri della provincia di Reggio Calabria, sette in provincia di Milano ed uno in provincia di Bergamo. Otto, invece, i provvedimenti la cui esecuzione è in carico alla polizia, tutti in provincia di Reggio Calabria. Requestrati dalla Guardia di Finanza beni mobili per un valore di dieci milioni di euro riconducibili ad affiliati alla cosca Pesce. Il sequestro è stato disposto dalla Dda di Reggio Calabria. I beni sequestrati consistono in società commerciali ed in conti correnti bancari e postali.
martedì 27 aprile 2010
Il pentito Rizzuto accusa il deputato Cascio: “Alle Regionali dovevamo votare per lui”
Il pentito Rizzuto accusa il deputato Cascio: “Alle Regionali dovevamo votare per lui”
Il pentito di mafia di Sambuca di Sicilia, Calogero Rizzuto, ascoltato al processo “Scacco matto”, rilancia le accuse contro il deputato regionale dell’Udc, Salvatore Cascio, di Ribera. “Alle elezioni regionali – ha detto il collaboratore – dovevamo votare Salvatore Cascio. Salvatore Imbornone mi ha detto di votare per lui e mi ha dato dei fac-simili. Insieme a Gino Guzzo li distribuimmo ai fratelli Campo di Menfi ‘’. Il deputato regionale ha sempre replicato dicendo di non conoscere e di non aver mai intrattenuto rapporti con Rizzuto e le altre persone indicate.
Nei Despar boss ''portavoce'' di Messina Denaro
Agrigento. Il boss Filippo Guttadauro non era solo suo compare. Con l’imprenditore di Castelvetrano Giuseppe Grigoli avrebbe avuto anche un rapporto “diretto”.
Stando anche a quanto ha dichiarato recentemente al processo contro Grigoli e Messina Denaro, che si sta celebrando presso il Tribunale di Marsala, il capo della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Linares in seguito alle intercettazioni scaturite dall’operazione “Golem 2”. Quella del 19 settembre 2005 quando gli inquirenti hanno intercettato Filippo Guttadauro che si reca ad un appuntamento con una macchina, una Ford Mondeo, intestata alla Gruppo 6 Gdo, una delle società del Grigoli e il 13 gennaio 2006 quando accompagnato dal figlio Francesco presso i depositi della Despar di Castelvetrano. Affermazioni che fanno il paio con quelle dei numerosi testi sentiti a dibattimento dai pm Carlo Marzella e Sara Micucci. Infatti, più di un dipendente ha confermato di aver visto Filippo Guttadauro negli uffici del Grigoli in compagnia del “re dei supermercati”, sia gli impiegati della “Gruppo 6 Gdo” Salvatore Ferro e Bartolomeo Pocorobba che Urbano Onofrio Antonino e Francesco Messina, della “Grigoli distribuzione srl”. Quest’ultimo in particolare ha riferito ai magistrati: “Varie volte c’è stata l’occasione di prendere il caffè insieme (a Filippo Guttadauro), ma non siamo mai andati nell’argomento perché era presente”, cioè non gli ha mai chiesto perché si trovava lì. Il maggiore Rocco Lo Pane, ex comandante della compagnia di Marsala, si è spinto anche oltre, ha dichiarato a dibattimento che il Grigoli si sarebbe dato da fare per trovare “avvocati di grido” nazionale per Filippo Guttadauro.
Nell’affare del centro commerciale Belicittà, il megastore di Castelvetrano aperto nel 2007, l’imprenditore Giuseppe Grigoli, dopo aver fatto carte false pur di ottenere la licenza dal comune, ha stipulato un contratto d’affitto con la Grigoli distribuzione srl. Ma dall’operazione “Golem” quella che ha poi portato all’arresto dello stesso Guttadauro, il 17 luglio 2006, è emerso che Filippo Guttadauro si sarebbe accordato con Massimo e Pietro Niceta, figli dei noti commercianti palermitani di abbigliamento per l’apertura di due negozi: uno di vestiti e l’altro di gioielli, anche se il vero proprietario delle attività sarebbe stato Filippo Guttadauro, e dietro di lui Messina Denaro.
Filippo Guttadauro ha rivestito un ruolo di assoluta preminenza all’interno di Cosa nostra, il padrino di Corleone Bernardo Provenzano nei pizzini l’aveva indicato con il numero 121 e gli avrebbe affidato il delicato ruolo di “intermediaro” e di “portavoce” di un suo fedelissimo, il latitante Matteo Messina Denaro. Soprannominato “u longu” Filippo Guttadauro è fratello del capomafia di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, e cognato di Messina Denaro per aver sposato la sorella Rosalia. A svelare il suo ruolo all’interno dell’organizzazione non sono stati solo i pizzini del padrino di Corleone. Anche le cimici piazzate nel box in cui Rotolo organizzava i summit con i capi delle famiglie palermitane hanno spesso captato il nome di Guttadauro. Secondo gli inquirenti oltre a gestire la latitanza di Matteo Messina Denaro il boss avrebbe risolto anche una serie di controversie sorte per la gestione del pizzo imposto ad alcuni supermercati realizzati nell’agrigentino, come ha confermato lo stesso pentito Calogero Rizzuto, uomo d’onore della famiglia di Sambuca di Sicilia. Questi ha riferito che in seguito ad una controversia nata tra Giuseppe Capizzi, capo della famiglia di Ribera e Giuseppe Grigoli per il punto vendita Despar di Via Fazello, a Ribera (tra il 2004 e l’inizio del 2005) lui e Gino Guzzo, capo del mandamento di Montevago, sapendo che Messina Denaro aveva “sponsorizzato” i supermercati aperti nell’agrigentino si erano rivolti a Giuseppe Grigoli per risolvere prima l’affaire. Ma Grigoli li avrebbe rimandati ad una quindicina di giorni dopo, solo che la volta successiva ad attenderli hanno trovato il boss palermitano Filippo Guttadauro che era già stato informato di tutto.
Cemento depotenziato 14 persone in manette
Cemento depotenziato
14 persone in manette
CALTANISSETTA - In una vasta operazione denominata "Doppio colpo", che ha interessato Sicilia, Lombardia, Lazio e Abruzzo, carabinieri e guardia di finanza dei comandi provinciali di Caltanissetta hanno arrestato 14 persone e sequestrato sette aziende siciliane operanti nel settore del movimento terra.
Tra gli arrestati, alcuni boss mafiosi accusati di associazione mafiosa e illecita concorrenza con violenza e minaccia, e dirigenti della Calcestruzzi Spa di Bergamo, ai quali sono stati contestati i reati di associazione per delinquere e frode in pubbliche forniture. Secondo l'accusa, con l'appoggio della mafia, cui cedeva parte dei maggiori profitti realizzati frodando i propri clienti - ai quali forniva calcestruzzo con minori quantitativi di cemento - l'azienda bergamasca, che da oltre due anni è sotto amministrazione giudiziaria, aveva assunto il monopolio nella fornitura di calcestruzzo in Sicilia.
I provvedimenti restrittivi sono stati notificati in carcere al capomafia Giuseppe 'Piddu' Madonia, 64anni, al boss Francesco La Rocca, 72 anni, ed a Giuseppe Giovanni Laurino, 53 anni, esponente di spicco del clan Cammarata di Riesi. Carabinieri e guardia di finanza hanno invece posto agli arresti domiciliari gli imprenditori Salvatore Rizza, 78 anni, Santo David e Gandolfo David, 71 e 77 anni; il consulente esterno e l'amministratore del sistema informatico della Calcestruzzi Spa, Gianni Cavallini,48 anni di Ravenna e Alvis Alessandro Trotta, 41 anni, di Milano; il responsabile del controllo gestione della stessa società, Carlo Angelo Bossi, 41 anni, di Induno (Milano), e due ex dipendenti, Mario De Luca, 47 anni, di Napoli, e Nunzio Anello, 42 anni, di Mazzarino (Caltanissetta); e il consulente esterno dell'Italcementi, Giancarlo Bianchi, 54 anni, di Brignano Gero D'Adda.
Sono stati invece condotti in carcere gli imprenditori Francesco Lo Cicero, 56 anni, di Campobello di Licata (Agrigento) e Vincenzo Arnone, 47 anni, di Serradifalco (Caltanissetta). Lo Cicero, Arnone e i due imprenditori David sono indagati per associazione mafiosa; La Rocca, Madonia, Rizza, Lauria, Lo Cicero, Arnone e gli stessi David sono accusati di illecita concorrenza con violenza e minaccia, aggravato dall'avere avvantaggiato Cosa nostra; a Cavallini, Trotta, Bossi, De Luca, Anello e Bianchi è contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi in pubbliche forniture; e De Luca e Anello sono anche indagati per truffa.
LE OPERE A RISCHIO. Nell'ordinanza del Gip Giovambattista Tona, che ha esaminato e accolto quasi integralmente le richieste di custodia cautelare e di sequestro cautelativo della Dda nissenna nell'ambito dell'inchiesta "Doppio colpo", c'è anche un'ampia e dettagliata relazione sugli impianti che sarebbero stati realizzati con il cemento impoverito della Calcestruzzi spa e di Italcementi.
Al di là delle valutazioni tranquillizzanti riguardo l'insussistenza di immediati pericoli di crollo nelle opere esaminate - scrive Tona - va evidenziato che non vi è stata opera sottoposta a valutazione dei periti che non abbia rilevato delle anomalie di pure diversa significatività.
Il Gip cita ad esempio lo svincolo di Castelbuono, sull'A20: "a fronte di un'unica ricetta utilizzata per il confezionamento del calcestruzzo per tutta la parte dell'opera sottoposta a verifica gli esiti delle prove di resistenza hanno dato un'estrema variabilità di esito e questa circostanza può essere sintomatica di un alterato equilibrio del rapporto acqua/cemento". Secondo il Gip "le forniture non rispettavano le ricette di qualifica, spesso indulgevano al risparmio nell'utilizzo dei materiali necessari per il confezionamento, finivano per creare le condizioni per la frode".
Anche per la galleria Cozzo Minneria, sull'A20, "operando un calcolo sugli esiti di tutte le prove di laboratorio, si ricavano valori di resistenza media superiore a quello richiesto, ma con un enorme scarto tra valori massimi e minimi; una variabilità assai sospetta, imputabile plausibilmente a variazioni notevoli nella composizione delle singole forniture di calcestruzzo".
Per l'ospedale S. Elia di Caltanissetta "sono stati rilevati già dal direttore dei lavori, prima dell'indagine, dei provini di calcestruzzo non conforme; vi è da credere che le forniture potessero essere effettivamente non conformi, per la variazione in corso di produzione del mix design utilizzato".
Per quanto attiene alla diga foranea di Gela "con riferimento alla fornitura vi fu una deliberata, cospicua e sistematica riduzione dei quantitativi di cemento utilizzato per il confezionamento". Tona ricorda anche "i risultati perentori delle prove di schiacciamento effettuati sulla Galleria Cipolla, lungo lo scorrimento veloce per Licata. I periti hanno pure ventilato pericoli di crollo, riservandosi eventuali ulteriori approfondimenti che non sono stati disposti. E anche sulla scorrimento 626 Salso III i periti hanno evidenziato valori non accettabili e comunque diversi da quelli rilevati in altre parti dell'opera.
"A fronte di questi dati - conclude Tona - è stato rilevato nel sistema informatico un numero cospicuo di ricette che prevedevano mix design per le medesime opere, con valori di dosaggio delle materie prime che, se applicati, avrebbero determinato un prodotto non conforme. Inoltre sono state riscontrate tracce inequivocabili di tentativi di inquinamento delle prove, con la soppressione di numerose ricette conservate nella banca dati poco dopo l'avvio delle indagini sugli impianti di Riesi e di Gela".
Preso il superboss della 'ndrangheta Tegano
Preso il superboss della 'ndrangheta Tegano
Tegano è condannato all'ergastolo
"E' stato un capo di alto spessore"
Nella guerra scatenata tra le cosche
morirono 600 persone in sei anni.
Maroni: "Arrestato il numero uno"
ROMA
Uno dei più blasonati boss della ’ndrangheta, Giovanni Tegano, di 70 anni, è stato arrestato ieri sera a Reggio Calabria dagli agenti della squadra mobile.
Con l’arresto di Tegano i poliziotti diretti da Renato Cortese hanno inferto un ulteriore duro colpo alle cosche della ’ndrangheta. Tegano era inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi del ministero dell’interno.
Nella tarda serata gli investigatori hanno fatto irruzione in una abitazione in località Perretti di Reggio Calabria.
Nell’appartamento è stato trovato Giovanni Tegano in compagnia di altre persone che non hanno opposto resistenza. I poliziotti hanno provveduto all’identificazione di tutti i presenti e successivamente li hanno arrestati. Sulle modalità dell’arresto gli agenti mantengono il massimo riserbo perchè sono in corso ancora una serie di accertamenti e verifiche. Tegano deve scontare una condanna all’ergastolo per omicidio ma è destinatario anche di una serie di provvedimenti restrittivi per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di armi ed altro. Il 13 luglio del 1995 erano state diramate le ricerche in campo internazionale.
Per gli investigatori Giovanni Tegano è ritenuto un boss di «alto spessore della ’ndrangheta». Gli investigatori da diverso tempo gli davano la caccia non esitano a ricordare che il «nome dei Tegano è legato alla guerra di mafia che ha mietuto tantissime vittime». Le cosche contrapposte nella guerra di mafia durata dall’ottobre ’85 all’estate del ’91 erano da una parte i De Stefano, Tegano, Libri, Latella, Barreca, Paviglianiti, Zito, dall’altra Imerti, Saraceno, Condello, Fontana, Serraino, Rosmini. Nella guerra di mafia furono uccise oltre seicento persone.
Dopo la notizia dell’arresto il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si è congratulato con il Capo della polizia Antonio Manganelli. La cattura di Tegano, ha sottolineato Maroni «è il colpo più duro che si potesse infliggere oggi alla ’ndrangheta essendo il numero uno dei ricercati calabresi».
lunedì 26 aprile 2010
Napoli, camorra al cimitero di Fuorigrotta
Napoli, camorra al cimitero di Fuorigrotta
Il capoclan del quartiere decide i posti
Rivelazione choc di un pentito: «Per seppellire i propri familiari
bisogna chiedere il nullaosta. I loculi sono assegnati dal clan»
di Leandro Del Gaudio
NAPOLI (26 aprile) - L’ultima parola sui loculi, in certi casi, spettava al boss, a quello che aveva «competenza territoriale» e, quasi in automatico, un diritto di veto: l’ultima parola su «chi atterrare a Fuorigrotta», sul diritto di piangere i propri cari nel cimitero del quartiere della periferia occidentale, toccava sempre e soltanto a lui. Al boss di Fuorigrotta.
Qualcosa in più di una raccomandazione, un vero e proprio nulla osta, a leggere verbali e informative di polizia giudiziaria depositate agli atti di un processo ai presunti responsabili della faida che ha insanguinato rione Traiano e dintorni. Verbali zeppi di pagine bianche, omissis su tracce di indagini ancora in corso, poi il lungo racconto fatto alla Dda di Napoli da parte del pentito Mario Toller. È lui ad aprire lame di luce sulle presunte ingerenze della camorra sul cimitero di Fuorigrotta.
Atti da prendere con le molle, è bene chiarirlo, in attesa del vaglio definitivo da parte degli inquirenti, che raccontano però un concetto difficile da mandare giù: se appartieni al «sistema» - lascia intendere il pentito - e vuoi seppellire un parente nel cimitero di Fuorigrotta - tipo: una mamma o un figlio - non puoi fare tutto da solo. Devi rivolgerti al boss che controlla il territorio, che controlla Fuorigrotta.
Nero su bianco, la ricostruzione di Toller punta dritto contro il presunto sistema di potere creato da Davide Leone, ritenuto dal pm della Dda di Napoli Michele Del Prete protagonista della faida contro Salvatore Cutolo - anni 2007-2008 -, quattro omicidi e vari agguati falliti. A giudicare dagli «omissis», sulla presunta influenza della camorra in materia di loculi, ci sono indagini in corso. Inchiesta al momento top secret, che ruota attorno al racconto di Toller: «Durante la faida, due affiliati mi dissero che per seppellire il cadavere della madre nel cimitero di Fuorigrotta, si erano dovuti rivolgere a Davide Leone per competenza territoriale, in quanto lo stesso controllava quella zona di Fuorigrotta, comprese le attività del cimitero».
Non solo testimonianze de relato, non solo accuse indirette. Pregiudicato di vecchia data, Mario Toller decide di collaborare con la giustizia quando la camorra gli ammazza il figlio. È il 14 giugno del 2008, quando a due passi dall’ippodromo di Agnano viene ammazzato Giovanni Toller, un delitto destinato ad incidere sull’inchiesta sulla faida Cutolo-Leone. Che, neanche a dirlo, si arricchisce delle accuse di Mario Toller, proprio a partire dal giorno in cui il pentito si reca a Fuorigrotta a seppellire il figlio Giovanni.
Siamo ad agosto del 2008, l’uomo ha da pochi giorni iniziato a collaborare e si presenta in cimitero assieme alla scorta: «Anche quando andai a seppellire Giovanni, al cimitero di Fuorigrotta, ho incontrato... (omissis), che è legato a Davide Leone, che mi chiese di appartarmi, per non far sentire nulla alla scorta. Mi disse che io sapevo benissimo come funzionava il sistema in quel cimitero e cioé che per avere la disponibilità di un loculo dovevo rivolgermi a Davide Leone».
Scenario tutto da chiarire, ruoli e responsabilità da definire, anche alla luce di una premessa quanto mai categorica: le parole di un collaboratore di giustizia non rappresentano una prova, né possono costituire da solo un atto d’accusa nei confronti delle tante persone oneste (tra dirigenti e impiegati) che nel cimitero di Fuorigrotta ci lavorano. Ma l’informativa della Dda è approfondita: «Da anni c’è chi svolge il ruolo di mediatore per conto dei vari clan che si sono succeduti a Fuorigrotta, a partire dai Malvento e dai Baratto, fino allo scenario recente».
Un posto al camposanto grazie all’interessamento di un boss, dunque, soldi o favori per poter seppellire e piangere un proprio parente in un cimitero di Napoli: dove anche i lutti privati possono diventare cosa nostra.
Schiavitù a Rosarno, le testimonianze
Schiavitù a Rosarno, le testimonianze
«Ci trattavano come bestie»
ROSARNO
In relazione agli elementi di prova tesi a dimostrare la qualità di irregolari dei lavoratori collocati ed avviati al lavoro nelle forme illecite che saranno volta, per volta evidenziate, si riporta uno stralcio delle dichiarazioni di Ramli Abdelaziz alla PS di Gioia Tauro.
«Personalmente ho lavorato per i caporali che ho indicato con il nome di Dokkali, Brahim, Farouk e Sadraoui Mohamed. Voglio precisare, che questi caporali mi portavano sui terreni a lavorare con i mezzi che ho già indicato nei precedenti verbali e Brahim con il furgone che ho sopra citato. Sul veicolo che mi portava al lavoro erano presenti altri extracomunitari comunque, per come ho già dichiarato delle etnie marocchine, algerini, tunisini, egiziani e solo il Sadraoui Mohamed aveva 10 operai sub sahariani. Queste persone che con me hanno lavorato sono quasi per la maggior parte senza permesso di soggiorno e il caporale era a conoscenza di questo. Preciso che anche qualche caporale è privo del regolare permesso. (...) Voglio aggiungere che i caporali preferivano quelli senza permesso di soggiorno perché ogni sopruso che loro commettevano non poteva essere denunciato. La mancanza di permesso di soggiorno del lavoratore impiegato è garanzia di impunità del caporale a fronte di qualunque sopruso possa essere commesso dal medesimo caporale. Perché è impossibile che il lavoratore senza permesso di soggiorno vada a denunciare presso le forze dell’ordine».
Si riporta, di seguito una parte delle sommarie informazioni rese da Ramli Abedelaziz in data 24 gennaio:
«Dal 1997 sono presente sul territorio italiano con regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro . Lo stesso non mi è stato più rinnovato da circa tre anni poiché in base alla legge Bossi -Fini avendo perso il lavoro non rientravo più nelle condizioni soggettive per ottenere il relativo rinnovo. Da allora vivo in giro per l’Italia facendo lavori saltuari e stagionali. Alla fine di Novembre dello scorso anno, per la prima volta sono giunto a Rosarno ove ho trovato rifugio presso la ex fabbrica Pomona ove vi alloggiavano altri miei connazionali . Per l’alloggio di fortuna ove abito non pago nessuna cifra nè ai legittimi proprietari del fondo rustico che non conosco nè ad altre persone. Divido detto alloggio con altre 20 persone circa le quali come me sono alla ricerca del lavoro giornaliero nei campi.
Sono a conoscenza che queste altre persone di varie etnie ovvero Egiziani, Algerini, Tunisini e Marocchini sono, per la maggior parte, in regola con il permesso di soggiorno. Dal mio arrivo a Rosarno ho sempre lavorato nelle campagne a raccogliere prima olive e poi agrumi. Prima della rivolta riuscivo a lavorare circa quattro giorni su sette alla settimana, mentre dopo la rivolta non sono più riuscito a trovare una giornata di lavoro. Io riuscivo a lavorare perché altre persone di varie etnie ovvero algerini, tunisini e marocchini mi portavano a lavorare con loro nei vari fondi agricoli di persone di nazionalità italiana che io non conosco e che a volte ho visto girare per i terreni ma che non sono in grado di riconoscere. Era l’intermediario straniero che mi pagava: ciò avveniva alla fine della giornata ovvero delle giornate per le quali lavoravo.
L’orario di lavoro era il seguente: dalle prime luce dell’alba al tramonto, praticamente si smetteva di lavorare qando non si vedeva più. L’intermediario che la mattina passava a prendere sia me che altri extracomunitari la sera ci riaccompagnava a Rosarno. La paga era varia in base agli accordi che si raggiungevano con l’intermediario, ovvero 25 al giorno oppure 1 euro a cassetta. Dalla cifra complessiva di 25 euro bisognava detrarre 3 euro per l’intermediario, così anche se si lavorava a cassetta, bisognava dare tre euro sempre all’intermediario sulla cifra complessiva. Debbo comunque precisare che mi è capitato di lavorare anche direttamente per qualche italiano di cui per qualcuno non so indicare il nome di un altro mi ricordo nome e cognome e precisamente Nicola Cuccomarino e questi mi pagava 30 o 35 euro al giorno.
Pertanto considerato che gli italiani ci pagavano 30 o 35 euro al giorno e quindi la paga per una giornata lavorativa era questa, presumo che quando lavoravo alle dipendenze dell’intermediario straniero il quale mi dava 22 euro, tale intermediario si tratteneva altri soldi oltre i tre euro fissi che pretendeva per il trasporto e per averci fatto lavorare. Quando si lavorava direttamente con un italiano proprietario del terreno, gli orari lavorativi erano migliori ovvero si lavorava per un massimo di sette ore al giorno.
« Con l’intermediazione del lavoro attraverso i caporali posso affermare che siamo trattati peggio degli schiavi perché oltre a lavorare dalla mattina presto a tarda sera, a volte per riscuotere quei pochi soldi di lavoro dobbiamo pregare il caporale che ce li versa a poco la volta ed addirittura a qualcuno sono stati negati. (...) Voglio precisare che i caporali anche quando si lavora a casetta ci rubano i soldi nel senso che rubano le cassette da noi raccolte e li mettano sul loro conto. Pertanto o lavorare a cassetta o lavorare a giornata è la stessa cosa perché non ci pagano più di 20 o 30 cassette pur raccogliendone il doppio».
Dal verbale di SIT rese in data 26 gennaio u.s. da Baridi Mohamed«Questo è il primo anno che sono venuto a lavorare a Rosarno e precedentemente ho lavorato a Milano e a Torino ed in altre località del nord. Rimasto senza lavoro al nord tramite un mio connazionale sono arrivato a Rosarno a fine dicembre del 2009. A Rosarno tramite un mio connazionale ho preso contatti con un tunisino di nome Mohamed del quale posso dire che è una persona di mezza età, di corporatura robusta. Ho trovato lavoro per la raccolta di mandarini e arance. Ho lavorato in nero e mi pagava Mohamed a cassetta e precisamente 40 centesimi a cassetta di arance e 1 euro a cassetta per i mandarini.
Al Mohamed dovevo versare una cifra di euro 3 al giorno per il trasporto. I fondi sui quali ho lavorato sono di 4 italiani dei quali due sono fratelli e gli altri due non lo so. Uno dei due fratelli ho sentito chiamarlo Giorgio ma su di loro non so dare alcuna indicazione poiché io tutti i contatti lavorativi li avevo con Mohamed. I terreni sui quali ho lavorato sono dalla Pomona andando verso Nicotera ma non sono in grado di indicarli precisamente. Dopo la rivolta dei neri avvenuta a Rosarno, il Mohamed poiché io sono in regola con il permesso di soggiorno, mi ha dato un foglio con il quale mi ha detto che ero in regola con il lavoro. Vi fornisco copia di questo foglio. Il foglio di assunzione comunque mi è stato fornito dal Mohamed successivamente ad un incidente che ho avuto sul lavoro.
Infatti in data 20 gennaio sono caduto da un albero e Sadraoui Mohamed e l’altro Mohamed del quale ho parlato e che è il caporale con il quale io sono entrato in contatto per lavorare mi hanno portato alla Pomona da dove successivamente altri miei connazionali hanno chiamato un’autoambulanza per portarmi in ospedale., a Polistena, ove mi hanno riscontrato un trauma alla spalla come da referto medico che vi consegno. Da circa due giorni i due Mohamed mi chiedono indietro il contratto di lavoro dicendomi che mi pagano i sette giorni di infortunio e mi danno subito i soldi che da loro avanzo e che ammontano a circa 250 euro. Mi hanno minacciato dicendomi che se non gli do il contratto non mi danno i soldi che io avanzo e che io non lavorerò più da nessuna parte. Per questa ragione io penso che a breve come starò meglio andrò via da Rosarno».
Camorra, Maroni: il governo rafforzerà gli uffici giudiziari in Campania
Camorra, Maroni: il governo rafforzerà gli uffici giudiziari in Campania
Presto a Napoli una sede dell’ Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati. Il ministro dell’Interno partecipa alla riunione interforze presso la prefettura di Caserta. Si lavora anche a un protocollo contro i crimini ambientali
La questione dell'organizzazione degli uffici giudiziari campani, in particolar modo di quelli direttamente impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, è stata al centro del 'tavolo Caserta' la riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia delle province di Napoli e Caserta tenuta la prefettura di Caserta cui ha preso parte il ministro dell’Interno Roberto Maroni insieme ai vertici delle forze dell'ordine e degli uffici giudiziari di Napoli e Santa Maria Capua Vetere.
«Il governo - ha detto Maroni - intende rafforzare l'organizzazione degli uffici giudiziari per portare avanti l'azione di contrasto nei confronti della criminalità organizzata». Al tavolo in prefettura ha preso parte, tra gli altri, il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovandomenico Lepore.
Maroni ha reso noto – a margine dell’incontro - che anche aprirà anche a Napoli una sede della neonata Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata che è diretta dal prefetto Mario Morcone.
«A Morcone - ha detto Maroni - ho chiesto di sviluppare proprio qui le prime iniziative, in collegamento con le forze dell'ordine, per dare attuazione al piano di gestione dell'immenso patrimonio confiscato alla criminalità organizzata che ammonta a dieci miliardi di euro».
«Non basta - ha proseguito il ministro - sequestrare i beni, bisogna anche assegnarli in tempi rapidi alla società delle persone oneste. In questo - ha concluso - l'Agenzia avrà un ruolo fondamentale».
Il responsabile del Viminale ha infine annunciato che sono state gettate le basi per un protocollo d'intesa «per contrastare più efficacemente i crimini ambientali. L'accordo - ha annunciato Maroni - verrà definito nelle prossime settimane e riveste particolare importanza in una regione come la Campania segnata dal problema rifiuti».
domenica 25 aprile 2010
Mafia, sequestrati beni a boss clan coinvolto in fatti Rosarno
Mafia, sequestrati beni a boss clan coinvolto in fatti Rosarno
Società e immobili sono stati sequestrati questa mattina e un presunto prestanome è finito in carcere in un'operazione della Squadra mobile di Reggio Calabria contro il patrimonio del boss di un clan della 'ndrangheta. Lo riferiscono gli inquirenti.
I beni sequestrati, di cui non si conosce ancora il valore, sono riconducibili a Carmelo Bellocco, arrestato lo scorso febbraio a Roma e considerato il capo dell'omonimo clan, coinvolto nei recenti disordini di Rosarno.
In manette stamattina è finito l'intestatario dei beni, Giuseppe Spasaro, "per essersi prestato ad acquisire fittiziamente un'impresa al fine di eludere disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale", dicono gli inquirenti.
Quella di stamani è la seconda operazione in cinque giorni contro il patrimonio di Carmelo Bellocco, condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, racket e narcotraffico.
Mafia: Arrestato Boss Di Gela, Gestiva Le Estorsioni Per Cosa Nostra
(ASCA) - Roma, 24 apr - A distanza di un anno dall'operazione di Polizia denominata ''Gheppio'', ieri, i poliziotti della Sezione criminalita' organizzata della Squadra Mobile e del Commissariato di Gela, ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Caltanissetta, Marcello Testaquadra, su richiesta della Dda, a carico di Maurizio Saverio La Rosa, di 41 anni, detenuto presso la Casa circondariale di Agrigento. La Rosa e' ritenuto responsabile di aver messo in atto, nell'agosto del 2008, un pesante tentativo di estorsione a danno di un imprenditore gelese del settore edile, costringendolo, mediante minacce, e giovandosi della propria appartenenza a ''cosa nostra'', a consegnarli indebitamente una somma di denaro di rilevante entita', oltre che affidare in subappalto lavori edili alle ditte legate al sodalizio mafioso, non riuscendo, comunque, a realizzare quanto si era proposto per ragioni indipendenti dalla propria volonta'. L'imprenditore ha ammesso di essere stato avvicinato da Maurizio Saverio La Rosa, collaborando di fatto con l'A.G.. Le risultanze investigative sono state compendiate con le dichiarazioni degli ultimi collaboratori di giustizia, in particolare con quelle rese da Carmelo Barbieri e da Crocifisso Smorta, che hanno delineato la figura criminale di La Rosa, che era stato incaricato, nel 2008 , di raccogliere il pizzo a Gela presso gli operatori economici della citta' ed era stato, per questo, nominato reggente della famiglia gelese di cosa nostra, atteso il fatto che altri piu' importanti soggetti mafiosi di cosa nostra di Gela erano stati tratti in arresto.
venerdì 23 aprile 2010
'Ndrangheta, trovati killer del bimbo ucciso in campo calcetto
'Ndrangheta, trovati killer del bimbo ucciso in campo calcetto
Un minorenne in libertà e sette adulti già in carcere sono stati accusati di strage per avere ucciso un bambino di 10 anni e un adulto in un campo di calcetto vicino a Crotone, in una spedizione punitiva di mafia lo scorso anno.
Lo hanno riferito i carabinieri della compagnia di Crotone, che stanno eseguendo i provvedimenti di custodia cautelare in carcere per sette persone, già detenute, e per un minorenne in libertà.
Il reato contestato più grave è quello di strage, per i delitti nel campo di calcetto di Margherita di Crotone della sera del 25 giugno 2009, quando un gruppo di sicari uccisero all'istante Gabriele Marrazzo, di 35 anni, obiettivo dei killer, e ferirono alla testa con armi da fuoco il piccolo Domenico Gabriele di 10 anni, che morì in ospedale tre mesi dopo, oltre a ferire otto persone.
Gli altri reati contestati a vario titolo sono l'associazione per delinquere di stampo mafioso, l'estorsione, la detenzione e porto abusivo di armi, munizioni e materiale esplodente, la detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e il furto aggravato.
Agli arresti sono persone del clan di 'ndrangheta Tornicchio, che opera nella zona di Crotone, come hanno detto i carabinieri.
domenica 18 aprile 2010
Confiscati i beni a boss del Messinese
Confiscati i beni a boss del Messinese
MESSINA - La Dia di Messina, diretta dal colonnello Gaetano Scillia, ha confiscato beni per un valore di un milione e 200 mila euro riconducibili a Francesco Cannizzo, 50 anni, ritenuto ai vertici del clan mafioso messinese dei tortoriciani, capeggiato dai fratelli Bontempo Scavo.
Il provvedimento di confisca, eseguito dalla Direzione investigativa antimafia, è stato emesso dalla corte d'appello di Messina. Cannizzo, accusato anche di traffico di droga, è stato condannato all'ergastolo nell'ambito del maxiprocesso alle cosche messinesi denominato 'Mare Nostrum'.
Dalle indagini patrimoniali della Dia è emerso che i redditi dichiarati dal capomafia fossero incompatibili con l'ingente patrimonio accumulato, frutto invece - secondo gli inquirenti - delle attività illecite del clan.
Il provvedimento di confisca riguarda, tra l'altro, una lussuosa villa nei pressi di Capo d'Orlando, un immobile nella zona dei Nebrodi, diverse auto di grossa cilindrata, tre conti correnti bancari e cinque carte di credito. Nel corso degli ultimi anni, la Dia di Messina ha sequestrato e confiscato ai clan beni per oltre 300 milioni di euro.
sabato 17 aprile 2010
"Condannate Dell'Utri a undici anni"
"Condannate Dell'Utri a undici anni"
Il pg: «Fece da tramite con la mafia»
PALERMO
Undici anni di reclusione. È questa la richiesta avanzata stamani dal pg Nino Gatto nell’ambito del processo a Marcello Dell’Utri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Nell’intervento che di fatto ha concluso la lunga e travagliata requisitoria del procuratore generale, interrotta il 30 ottobre scorso per consentire la deposizione in aula al collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza e ai fratelli Graviano, Nino Gatto ha illustrato alla corte presieduta dal giudice Claudio Dall’Acqua, i diversi elementi che secondo l’accusa proverebbero la colpevolezza del senatore del Pdl. Su tutti il ruolo di vero e proprio mediatore ricoperto da Dell’Utri, tra il boss Vittorio Mangano e il premier Silvio Berlusconi; nonchè quello di inquinatore di prove, con l’accordo intrapreso dall’imputato con il pentito Cosimo Cirfeta, ed atto a screditare tre collaboratori di giustizia siciliani Francesco Onorato, Giuseppe Guglielmini e Francesco Di Carlo.
«All’esito del dibattimento d’appello - ha detto Gatto concludendo la requisitoria - resta integro il giudizio espresso dal tribunale di primo grado. Dal nuovo dibattimento, invece, emergono nuovi elementi a carico dell’imputato sorti in primis dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza circa i rapporti di Dell’Utri con i boss Graviano. Nuovi elementi che connotano in termini negativi l’imputato, soprattutto nell’attività di inquinamento delle prove». Questa mattina, prima dell’udienza, Marcello Dell’Utri aveva dichiarato «di attendersi di tutto» dal processo, e che in caso di assoluzione avrebbe «preso in considerazione l’idea di abbandonare qualsiasi attività politica per dedicarsi ad una vita privata che fosse più tranquilla». Un concetto ribadito anche dopo la richiesta di condanna non ascoltata dall’imputato perchè come lui stesso ha riferito ai cronisti era «impegnato a mangiare un ottimo sfincione». «Mi attendevo di tutto, e così è stato. Oggi ho sentito proprio di tutto - ha detto - ma non è emerso assolutamente il fatto che l’impianto accusativo è fondato su elementi per i quali c’è già stata un’assoluzione».
Alla domanda se stia pensando a rilasciare delle dichiarazioni spontanee, Dell’Utri ha risposto: «Sì, è un’ipotesi sulla quale sto riflettendo. Sicuramente ci rivedremo». All’istanza del pg si sono associate le parti civili. Adesso la parola passa alla difesa, le cui arringhe inizieranno il 30 aprile. Per la sentenza, invece, bisognerà attendere la metà di giugno.
venerdì 16 aprile 2010
Mafia, Maroni: in 2 anni presi 23 su 30 latitanti più pericolosi
Mafia, Maroni: in 2 anni presi 23 su 30 latitanti più pericolosi
Sotto il governo del centrodestra le forze dell'ordine hanno arrestato 23 dei 30 latitanti considerati più pericolosi. Continua a leggere questa notizia
Lo ha detto oggi il ministro dell'Interno Roberto Maroni, vantando i successi dell'esecutivo nella lotta alla criminalità organizzata in una conferenza stampa a Palazzo Chigi assieme al premier Silvio Berlusconi.
"In meno di due anni di governo abbiamo arrestato 23 latitanti della lista dei 30 considerati come i più pericolosi. L'ultimo, due giorni fa, è il numero 4 della lista, Nicola Panaro, detto 'Nicolino', vero reggente del clan dei Casalesi", ha detto Maroni.
Berlusconi ha detto che l'azione di contrasto del governo alla mafia ha ottenuto risultati senza precedenti e che l'obiettivo è di "portare a zero il numero dei latitanti".
Il patrimonio sottratto alla mafia negli ultimi due anni supera i 10 miliardi di euro, ha aggiunto Maroni.
Lombardo ai pm: "Con Liga soltanto rapporti politici"
Lombardo ai pm: "Con Liga
soltanto rapporti politici"
PALERMO - Conosce Giuseppe Liga dal 1999, lo ha incontrato a convegni e in occasioni istituzionali, ma ha avuto con lui soltanto rapporti politici determinati dalla carica di segretario del Movimento cristiano lavoratori da questi ricoperta. Così il governatore siciliano, Raffaele Lombardo, ha descritto ai pm di Palermo, dai quali è stato sentito come persona informata sui fatti, le sue frequentazioni con l'architetto Giuseppe Liga, considerato dagli inquirenti il successore dei boss Lo Piccolo alla guida del mandamento mafioso di San Lorenzo.
Nell'interrogatorio, chiesto dallo stesso Lombardo, il presidente della Regione ha raccontato ai magistrati di avere incontrato Liga, il 2 giugno scorso, nella sede della Presidenza della Regione - circostanza venuta fuori nell'indagine che ha portato all'arresto dell'architetto - in quell'occasione il governatore parlò con Liga del sostegno elettorale che il Movimento cristiano lavoratori avrebbe dovuto dare alla lista di Lombardo candidata alle Europee.
Mafia, Berlusconi rivendica i successi
Mafia, Berlusconi rivendica i successi
e torna ad attaccare Saviano e La Piovra
ROMA (16 aprile) - Silvio Berlusconi e Roberto Maroni hanno tenuto un conferenza stampa a Palazzo Chigi sui temi del contrasto alla criminalità e dell'ordine pubblico. Tra le altre cose il premier ha rivendicato i successi del governo nella lotta alla mafia, ponendo l'obiettivo di zero latitanti entro tre anni, ha rinfocolato la polemica contro serie tv e libri che si occupano di mafia e camorra e ha annunciato un decreto legge per trasformare l'ultimo anno di detenzione in carcere in detenzione domiciliare, al fine di alleggerire il problema del sovraffollamento delle carceri.
Senza precedenti i successi del governo. «Abbiamo arrestato un pericoloso criminale, Nicola Panario, e superato le cinquecento operazioni di polizia giudiziaria, con quasi cinquemila arresti di presunti criminali. La nostra azione di contrasto alla criminalità organizzata non ha nessun paragone possibili con precedenti governi, è un argomento che ci sta particolarmente a cuore ed un punto prioritario dell'azione di governo», ha detto Berlusconi nella sua introduzione.
Alla mafia il supporto promozionale di Gomorra e Piovra. «La mafia italiana, non so in base a quale classifica, risulta la sesta nel mondo ma in realtà è la più conosciuta grazie al supporto promozionale che ha ricevuto dalle otto serie tv come La piovra vista in 160 Paesi e anche dalla letteratura come ad esempio Gomorra. Noi invece ci siamo posti come obiettivo quello di contrastarla - ha aggiunto Berlusconi - Il nostro obiettivo entro la legislatura è quello di arrivare a zero latitanti».
Decreto legge su detenzione domiciliare. Contro il sovraffollamento delle carceri «che ha portato quest'anno ad avere già 20 suicidi, l'ultimo ieri, stiamo pensando ad un decreto per dare un regime di detenzione domiciliare a coloro a cui manca un anno solo di carcere», ha proseguito Berlusconi sottolineando che la cosidetta messa in prova non porta con sé rischi di fuga: «Non avrebbero interesse a scappare perchè altrimenti si vedrebbero raddoppiare la pena».
Europa supporti spese per il contenimento dei clandestini. «L'Europa deve stabilire con tutti i paesi rivieraschi dell'Africa un trattato comunitario per supportare le spese di contenimento dell'immigrazione clandestina». Così Berlusconi è tornato a chiedere un intervento a livello europeo che si affianchi al lavoro dell'Italia. «Per ora a fare trattati siamo stati solo noi però mi sembra corretto che ci sia un trattato europeo anche perchè poi questi clandestini si spostano anche nei paesi dell'Unione».
Maroni: dal 2009 -96% negli sbarchi. «Il modello italiano di contrasto all'immigrazione clandestina ha avuto risultati straordinari e vogliamo esportarlo in Europa - ha detto Maroni, - Un anno fa Lampedusa bruciava e nel centro di accoglienza c'erano oltre 200 immigrati, che appiccavano il fuoco. Oggi i clandestini sono pari al numero zero: non ce n'è uno. Abbiamo posto fine agli sbarchi di barconi provenienti dalla Libia, riducendo nei primi tre mesi del 2010 del 96 per cento il numero degli sbarchi rispetto al 2009, mentre rispetto al 2008 c'è stata una riduzione del 90 per cento. Ci sono stati 28 mila sbarchi in meno ed abbiamo salvato tante vite umane: un risultato senza precedenti, concreto, dovuto anche alla azione diplomatica di Berlusconi e all'accordo da lui fatto con la Libia».
«In Italia la criminalità organizzata non si sente più a proprio agio» e «infatti sta spostando i propri patrimoni all'estero. Per questo abbiamo chiesto ai nostri partner europei di utilizzare il nostro sistema» di contrasto. Maroni elenca «i successi senza precedenti dell'azione di governo» che ha portato «risultati enormi» grazie «alle modifiche legislative e alle nostre azioni quotidiane» e sottolinea come «per numero di arresti, di beni sequestrati e beni confiscati, i dati portano tutti il segno più davanti» e che «l'aggressione ai patrimoni delle mafie, complessivamente, hanno portato una sottrazione alla criminalità di oltre 10 miliardi di euro (8,2 dai beni sequestrati e 2 mld da quelli confiscati)».
Di Pietro: «Berlusconi chieda scusa a Saviano che rischia la vita per le sue denunce e a tutti quegli operatori di giustizia che, nonostante le minacce in stile mafioso fatte da un presidente del Consiglio, hanno ancora oggi il coraggio di tenere alto il senso dello Stato e delle istituzioni». Così il leader Idv commenta le affermazioni del presidente del Consiglio. «Tra l'altro è singolare che Berlusconi parli di successi del governo nella lotta alla criminalità nel giorno in cui è stata chiesta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per il suo luogotenente Marcello Dell'Utri. Infatti, se fosse stato realmente interessato alla lotta alla mafia, non lo avrebbe candidato per assicurargli l'impunità. Così come non avrebbe dovuto impedire l'arresto del suo sottosegretario Nicola Cosentino. Berlusconi, quando parla di lotta alla criminalità farebbe bene a guardarsi allo specchio e darsi una ripulita».
Pdci: allibiti da parole Berlusconi. «Con la mafia, che vive soprattutto di omertà non si scherza. A sentire il presidente del Consiglio c'è da rimanere allibiti», dice Orazio Licandro, della segreteria nazionale del PdCI, a commento delle parole di Berlusconi. « La colpa non è di chi racconta la mafia nei film e nei libri ma di chi fa poco, o nulla, per eliminarla dalla realtà. Chi fa cultura e denuncia ciò che accade, come ad esempio fa Saviano, va salvaguardato e protetto e non certo criticato».
giovedì 15 aprile 2010
Caserta, ecco come'è stato acciuffato il boss dei Casalesi Panaro
Caserta, ecco come'è stato acciuffato
il boss dei Casalesi Panaro
CASERTA (15 aprile) - Nicola Panaro, detto «Nicolino», inserito nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi d'Italia, arrestato ieri sera dai carabinieri a Lusciano, comune poco distante da Casal di Principe, roccaforte del clan dei casalesi, era convinto di essere al sicuro nel suo nascondiglio.
Appassionato e competente di apparecchiature elettroniche era fornito di strumenti che non consentivano le intercettazioni e di un impianto in grado di controllare i movimenti all'esterno del rifugio. I carabinieri di Casal di Principe, che erano da qualche tempo sulle sue tracce indagando, tra l'altro, sull'attività della fazione dei casalesi ritenuta ancora guidata dallo zio, Francesco Schiavone, detto Sandokan, uno dei capi storici della cosca, con una tempestiva azione, guidata dal comandante della compagnia, capitano Andrea Corinaldesi e coordinata dalla Dda, hanno precluso a Panaro, latitante dal 2003, ogni tentativo di fuga.
Nell'appartamento i militari hanno sequestrato circa 7500 euro in banconote di vario taglio e varia documentazione al vaglio ora dei magistrati della Dda partenopea. Nella mattinata di oggi sono attesi alla compagnia di Casal di Principe il comandante interregionale dei carabinieri, generale di corpo d'armata, Maurizio Scoppa, che da giovane capitano è stato per quattro anno in forza al Gruppo carabinieri di Caserta, il comandante regionale, generale Franco Mottola ed il comandante provinciale di Caserta, colonnello Crescenzio Nardone.
Camorra: arrestato Nicola Panaro
Camorra: arrestato Nicola Panaro
Superlatitante, è il n° 3 dei Casalesi
Il boss localizzato dai carabinieri a Lusciano. Sfuggi al blitz dell'operazione Spartacus 3. Contro di lui tre provvedimenti restrittivi
CASERTA (14 aprile) - I carabinieri hanno arrestato il boss latitante Nicola Panaro, esponente di primo piano del clan dei Casalesi. La cattura è avvenuta a Lusciano, in provincia di Caserta. Panaro, latitante da cinque anni, sfuggì al blitz dell'operazione Spartacus 3 ed è considerato il personaggio attualmente più potente dell'organizzazione, subito dopo i superlatitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine. L'operazione è coordinata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Quando le forze dell'ordine fecero irruzione nel suo rifugio, nel corso dell'operazione Spartacus 3, lui era già scappato ma furono rinvenuti i «pizzini» con cui dava disposizioni al clan. Nicola Panaro, arrestato nel corso di un'operazione dei carabinieri di Casal di Principe, coordinata dal procuratore aggiunto di Napoli Federico Cafiero de Rhao e dal pm della Dda Giovanni Conzo, è considerato il numero 3 tra i principali esponenti del clan dei Casalesi.
È destinatario di tre ordinanze di custodia: una per associazione camorristica, emessa nell'ambito di Spartacus 3, le altre per estorsione ai danni dei cantieri della ferrovia Alifana.
Panaro, l'11 novembre del 1998, fu condannato a 6 anni e 4 mesi di carcere, dai giudici della quarta sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, perché riconosciuto colpevole di aver fatto parte di una banda dedita al racket a capo della quale c'era il sanciprianese Michele Iovine, condannato, in quella occasione a 15 anni di carcere per associazione mafiosa ed estorsione.
Il 27 marzo 1999 Nicola Panaro fu arrestato dagli agenti della squadra mobile casertana. Fu trovato in un appartamentino di via Leoncavallo, a Casal di Principe, di fronte alla casa del suocero Dionigi Diana. Dal 1995 era ricercato quando scattò il blitz-stralcio di Spartacus.
domenica 11 aprile 2010
Lombardo: "Farò i nomi dei politici mafiosi"
Lombardo: "Farò i nomi dei politici mafiosi"
CATANIA - "Martedì davanti all'Assemblea regionale diremo chi sono i politici legati alla mafia e agli affari". Il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, concludendo a Catania una manifestazione organizzata dal Mpa e dedicata ai giovani e alle donne, si è soffermato sull'indagine della Procura di Catania, dove si era recato ieri per rendere spontanee dichiarazioni.
"Sosteniamo e rispettiamo la magistratura - ha detto Lombardo - che, fondamentale com'è per la nostra democrazia, vogliamo libera, forte e indipendente. Per questo non vogliamo che sia privata dello strumento delle intercettazioni".
"Quando poi penso alle incredibili accuse rivoltemi - ha aggiunto il presidente della Regione - mi torna in mente un detto popolare siciliano: ogni impedimento è giovamento. E il giovamento è che la Sicilia ci sostiene nella nostra azione di rinnovamento e che stiamo dando un'accelerazione all'evoluzione del Movimento per le autonomie. E stiamo dimostrando che la politica è partecipazione e non la farsa dei talk show televisivi".
"Vi chiedo - ha detto Lombardo rivolto alla platea di iscritti e simpatizzanti - di adeguarvi, tutti, a questa linea: è il momento dell'unità e abbiamo bisogno anche dell'entusiasmo dei giovani e delle donne per combattere quell'ascarismo che ha sempre condotto al saccheggio della Sicilia, terra ricchissima: soltanto dai tributi della raffinazione del petrolio avrebbero dovuto darci dieci miliardi di euro all'anno".
"E' ovvio - ha concluso il governatore - che le forze che finora hanno lucrato sulla Sicilia vedono il nostro movimento come una minaccia mortale. E già in dicembre, davanti all'Ars, avevo detto che avrebbero cercato di fermarci prima sul piano politico, poi su quello mediatico, poi su quello giudiziario e infine, speriamo di no, sul piano fisico. Siamo già alla terza fase, ma non ci fermeranno. Un po' ci eravamo impigriti dopo le manifestazioni nazionali per il ponte sullo Stretto e per le strade provinciali, ma ora, di fronte a un attacco così micidiale, dobbiamo tornare a lavorare per l'autonomia. E chi ci voleva fermare capirà di aver sortito l'effetto contrario".
Lombardo ai giudici: "Estraneo alla mafia"
Dichiarazioni spontanee in Procura del presidente della Regione
CATANIA- Il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha reso spontanee dichiarazioni alla Procura della Repubblica di Catania nell'ambito dell'inchiesta su presunti rapporti tra mafia e appalti avviata sulle indagini di carabinieri del Ros.
Il governatore e' indagato per concorso esterno all'associazione mafiosa, assieme al fratello Angelo, che e' parlamentare nazionale del Movimento per le autonomie.
Nell'inchiesta sono coinvolti anche due deputati dell'Assemblea regionale siciliana: Fausto Fagone, dell'Udc, e Giovanni Cristaudo, del Pdl-Sicilia.
Secondo quanto quanto appreso dall'ANSA, Lombardo e' stato sentito per poco meno di due ore al Palazzo di giustizia di Catania dal procuratore Vincenzo D'Agata e dai quattro sostituti titolari dell'inchiesta: Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito, Antonino Fanara e Iole Boscarino. ombardo si e' sempre proclamato estraneo alle ipotesi di reato che gli sarebbero contestate e ha definito 'spazzatura politica' le accuse che gli muoverebbero due collaboratori di giustizia.
Le indagini dei carabinieri del Ros di Catania, che poi si sono intrecciate con dichiarazioni su politici e amministratori, avevano al centro della loro attivita' il boss Vincenzo Aiello della cosca Santapaola. E' lui ad essere 'intercettato' e militari dell'Arma ascoltano' frasi che ritengono lo possano collegare pesantemente con la politica. Il boss non gradisce ad esempio la nomina nella giunta regionale di due magistrati, Massimo Russo e Caterina Chinnici, bollando la scelta di Lombardo come 'una minchiata'.
Nell'inchiesta si innestano anche le dichiarazioni di almeno due pentiti: Eugenio Sturiale e Maurizio Avola. Il primo e' un 'colletto bianco' del clan Ercolano da tempo passato, dopo essere transitato alla cosca Laudani, al gruppo storicamente rivale dei Cappello legati ai Cursoti. Le sue dichiarazioni sono state utilizzate per la prima volta nel processo al re dei supermercati in Sicilia, Sebastiano Scuto. E' stato arrestato nel 2009 nell'ambito dell'operazione Revenge collegata a una faida tra clan rivali a Catania.
L'altro pentito, Maurizio Avola, alla fine degli anni Ottanta era un giovane sicario del rione Picanello della 'famiglia' Santapaola, che si e' auto accusato di oltre 50 omicidi, compreso quello del giornalista Giuseppe Fava. Avola e' detenuto dal 1997 perche', dopo essere tornato libero con l'ammissione al sistema di protezione, l'anno prima, assieme a altri tre pentiti, rapino' due banche a Roma, per un bottino complessivo di 140 milioni di lire.
MAFIA NEWS NOTIZIE
Mafia, Alfano firma 41 bis per 5 boss agrigentini
Il ministro ha firmato il decreto per esponenti di Cosa Nostra
ROMA - Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, appena rientrato a Roma dopo le festività pasquali, ha firmato cinque decreti di prima applicazione del regime di carcere duro (41 bis) nei confronti di altrettanti presunti esponenti di Cosa Nostra. Si tratta di Francesco e Giuseppe Capizzo, ritenuti appartenenti alla famiglia mafiosa di Ribera; Accursio Dimino, presunto affiliato della famiglia Sciacca; Salvatore Imbornone, della famiglia di Lucca Sicula; Gino Guzzo, ritenuto esponente del clan di Montevago. In questo modo - si sottolinea in ambienti del ministero della Giustizia - è stato inferto un duro colpo alla mafia agrigentina.
Incendiata l'auto di sindaco del Messinese
A fuoco la vettura del primo cittadino di Pace del Mela
MESSINA- Qualcuno ha incendiato nella notte, intorno alle 4.30, l'auto del sindaco di Pace del Mela (Me) Giuseppe Sciotto, 56 anni. La vettura del primo cittadino, una seat Toledo, era posteggiata davanti alla sua abitazione. Sono intervenuti i carabinieri e i vigili del fuoco. Secondo i militari l'incendio sarebbe di origini dolosa.
Blitz antidroga a Messina: venticinque arresti
Le ordinanze eseguite anche a Catania, Caltanissetta e Bari. Tutti i nomi
MESSINA - I carabinieri hanno eseguito 25 ordinanze di custodia cautelare tra Messina, Catania, Caltanissetta e Bari con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga. Nell'operazione, denominata "Stangata", sono stati impegnati oltre 100 militari del comando provinciale di Messina, supportati da unità cinofile. Le indagini condotte dal nucleo investigativo del reparto operativo e dirette dalla Dda di Messina erano state avviate agli inizi del 2007 a seguito dell'operazione "Officina", dalla quale era emersa la figura di Francesco Ballarò, 32 anni, un trafficante di stupefacenti emergente. Gli investigatori hanno accertato l'esistenza di due clan criminali che gestivano lo spaccio di droga in città. Entrambi i gruppi e si rifornivano di stupefacenti a Catania.Gli arrestati facevano parte di tre clan criminali, due di Messina ed uno di Catania, dediti allo spaccio di marijuana, hashish e cocaina. Il gruppo catanese riforniva di droga i due messinesi. Il clan messinese, che operava nel quartiere di Giostra, era capeggiato da Francesco Ballarò; il secondo gruppo, che operava in pieno centro, spacciando in particolare in piazza Municipio, era capeggiato da Domenico Bonasera. Il gruppo catanese faceva capo ai fratelli Giuseppe e Roberto Cuscani. Le indagini erano state avviate nel 2007; a marzo dello stesso anno era stato arrestato uno spacciatore, Davide Viola, con tre chilogrammi di marijuana.
Le persone arrestate dai carabinieri nell'ambito dell'operazione 'Stangata' sono Francesco Ballarò, 32 anni; Cluadio Caporlingua, 21; Domenico Batessa, 33; Gianluca Siavash, 21; Alberto Agostino, 24; Paolo Toro, 27; Letterio Calarese, 31; Nicola Mantineo, 29; Giuseppe Coppolino, 28; Domenico Bonasera, 31; Giovanni Vincenzo Rò, 25; Giuseppe Cuscani, 32; Roberto Cuscani, 27; Filippo Abramo, 44; Daniel Allegra, 26; Domenica Greco, 27; Angelo Cannavò, 28; Francesco Rotondo, 31; Marco Rotondo, 28; Angela Battaglia, 29; Fabio Marzullo, 46; Anthony John Mancuso, 38; Massimo Venuto, 42; Salvatore Arena, 29; Santo Costa, 42.
E nell'operazione spuntò il nome di Antinoro
Il pentito Pasta avrebbe parlato del sostegno all'eurodeputato
PALERMO- Un personaggio di rilievo all'interno dell'organizzazione mafiosa, in grado di tracciare il quadro dei nuovi organigrammi e a conoscenza di molti segreti dei clan: e' il ritratto del collaboratore di giustizia Manuel Pasta, fatto dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, durante la conferenza stampa in cui sono stati illustrati i particolari dei fermi di tre mafiosi palermitani 'traditi' proprio dalle rivelazioni dell'ex uomo d'onore.
Oltre a fare i nomi dei capi delle cosche e degli esattori del pizzo e a parlare delle attivita' lecite in cui Cosa Nostra ricicla il denaro sporco, Pasta avrebbe parlato del sostegno elettorale dato dal clan all'eurodeputato dell'Udc Antonello Antinoro, gia' indagato per voto di scambio. Il procuratore aggiunto non ha pero' voluto confermare la circostanza.
Palermo, pentito svela la mappa del racket
Manuel Pasta ha consentito il blitz della notte scorsa
PALERMO- Racconta le estorsioni messe a segno dalla cosca il neopentito Manuel Pasta, braccio destro del capo mandamento di Resuttana, che, con le sue rivelazioni ha consentito ai carabinieri di fermare il boss Andrea Quatrosi e due suoi fedelissimi.
Era Quatrosi, secondo il collaboratore di giustizia, a tenere e compilare il libro mastro della cosca: l'elenco delle vittime del pizzo - venivano usati soprannomi - con accanto il denaro ricevuto. Dall'inchiesta e' emerso, inoltre, che i mafiosi avevano deciso di spostare a maggio e settembre le tradizionali date di riscossione fissate in Natale e Pasqua per cercare di sviare gli investigatori.
Tra i commercianti taglieggiati di cui parla il pentito pescherie, bar, ma anche noti negozi di via Liberta', il salotto buono di Palermo. Come 'Pollini' che versava 500 euro al mese.
Nel mirino della mafia anche il titolare della rivendita Timberland, che ha anche altri due negozi di abbigliamento molto noti nel centro di Palermo, che dava 7000 euro l'anno in due tranches. Il particolare curioso e allarmante e' che in questo caso a fungere da intermediario tra la vittima e i clan erano altri commercianti: 'paga tramite Diego o Cesare Ciulla - racconta Pasta - i titolari del negozio Hessian (attivita' di rivendita di accessori molto conosciuta in citta' n.d.r.).
Nel libro mastro anche l'hotel Politeama che versava alla cosca 6000 euro l'anno.
Sempre a proposito del racket, il pentito racconta del danneggiamento subito dal proprietario di un bar che si era rifiutato di pagare il pizzo. Il titolare aveva risposto in malo modo all'estortore e aveva fatto sapere che non gli interessava cosa sarebbe accaduto. Un comportamento anomalo, visto che la vittima, secondo quanto la cosca sapeva, pagava regolarmente per l'altra attivita' commerciale di proprieta', un altro bar che si trova nella localita' balneare di Mondello.
Per tutta risposta il clan piazzo' uno scooter rubato per commettere un omicidio, poi mai eseguito, e gli diede fuoco davanti al locale del commerciante riottoso.
venerdì 9 aprile 2010
Sfregio rosso sangue sulla casa casertana del giudice anticlan dei casalesi
Sfregio rosso sangue sulla casa casertana
del giudice anticlan dei casalesi
NAPOLI (9 aprile) - Una striscia rossa, una sorta di freccia obliqua larga quattro o cinque millimetri e lunga una decina di centimetri. Un fregio accanto alla porta d’ingresso, denso e vischioso, con la consistenza del sangue rappreso o forse di un grumo di vernice.
Tra l’una e l’altra ipotesi c’è l’abisso che separa una intimidazione da un falso allarme. Perché la parete bianca macchiata di rosso è quella dell’abitazione casertana di Raffaello Magi, giudice estensore della sentenza Spartacus, presidente della sezione del Tribunale che per la prima volta ha condannato il figlio di Francesco Schiavone-Sandokan, Nicola, e che sta processando il gruppo di Giuseppe Setola per le estorsioni e le intimidazioni che hanno segnato la stagione stragista del 2008.
Magi è uno dei magistrati più esposti sul fronte anticamorra, soprattutto dopo che le condanne all’ergastolo ai capi del clan dei Casalesi sono diventate definitive. Il cartello camorristico, infatti, dal 15 gennaio scorso è alla ricerca - finora apparentemente sotto traccia - di un nuovo equilibrio. Due dei capi storici, Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti, condannati all’ergastolo, resteranno detenuti per sempre. Michele Zagaria e Antonio Iovine, latitanti da oltre quattordici anni e pure condannati al carcere a vita, hanno la necessità di conservare questo status mantenendo il ferreo e rigido controllo del territorio. Ed è per questo che sono alla ricerca di un capro espiatorio da offrire alle carceri, che reclamano vendetta, e agli affiliati che vogliono capi in grado di garantire gli stipendi ai familiari. Denaro che già da mesi non sta arrivando più.
La coda di lamentele e mugugni, già forti due anni fa quando iniziò l’offensiva di Setola, ha fatto alzare la temperatura e scattare l’allarme, tanto che da due mesi è stata potenziata la protezione ai potenziali obiettivi della rappresaglia: collaboratori di giustizia e loro familiari e, naturalmente, i magistrati che hanno ricoperto un ruolo di primo piano nella repressione del clan dei Casalesi. Quindi, il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, che ha sostenuto l’accusa in tutto il processo Spartacus e che oggi si occupa, con particolare attenzione delle confische; i giudici che hanno emesso la sentenza di condanna, Catello Marano e Raffaello Magi; i pm che, extra-Spartacus, hanno continuato a indagare sull’organizzazione, e cioè l’intero pool Caserta della Dda; il giudice Raffaele Cantone, oggi in Cassazione, più volte indicato da fonti investigative tra i «nemici» del clan.
È per questo, per l’esistenza di questa situazione, che il ritrovamento della striscia rossa accanto alla porta di casa di Magi e di alcune macchioline sulle pareti dell’ascensore ha fatto scattare l’allerta. I carabinieri del Reparto operativo di Caserta hanno effettuato il sopralluogo, inviando un campione della sostanza al Racis di Roma. Con loro, il pm sammaritano Ivana Sassi, che ha anche sentito alcuni testimoni.
L’episodio è valutato con particolare attenzione dagli inquirenti che, prima di azzardare compiutamente una qualunque ipotesi, attendono il risultato delle indagini scientifiche. Sinora sarebbe stato escluso, però, il fatto accidentale. Cioè, che la traccia sia stata lasciata da qualcuno - personale addetto alle pulizie, operaio, fornitore - che, ferito, si sia appoggiato con la mano alla parete. Oggetto di verifica anche la possibilità che il segno sia stato lasciato dopo un «sopralluogo» di ladri specializzati che, negli ultimi giorni, hanno preso di mira proprio il quartiere dove vive il magistrato che ha già subito il tentativo di furto dell’auto. Eventualità che gli investigatori hanno preso in considerazione, segnalando la necessità di potenziare il servizio di vigilanza nell’intero quartiere.
Rosaria Capacchione
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