BARI - I parcheggi interrati, il Direzionale, le case per le forze dell’ordine. Ma anche la metropolitana per l’aeroporto e gli appartamenti nel «mix» di Japigia. C’è stato un momento, lungo un decennio, in cui le aziende della famiglia De Gennaro avevano in mano i più grandi lavori edili della città e una presenza stabile nei palazzi della politica: con uno dei fratelli, Gerardo, consigliere regionale del Pd. E con Annabella, figlia di Vito, assessore nella giunta di Michele Emiliano. Poi il 26 novembre lei si è improvvisamente dimessa. Erano le prime avvisaglie della bufera che si è abbattuta ieri sulla famiglia più liquida di Puglia: Gerardo e Daniele sono finiti ai domiciliari, dove la procura avrebbe voluto mandare anche il patriarca Vito. Anche l’avvocato Giovanni è indagato.
Sul loro impero, la Dec, un’azienda da 400 milioni di euro di fatturato, rischiano di scorrere i titoli di coda. Dalle 486 pagine dell’ordinanza del gip Michele Parisi che contesta a 51 persone, a vario titolo, i reati di corruzione, falso, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, truffa, sino al subappalto non autorizzato e alla appropriazione indebita, emerge proprio questo: uno spaccato di potere amministrativo fatto di appalti e di delibere, di soldi e di favori. Un sistema liquido che - nonostante non siano stati riconosciuti i gravi indizi di colpevolezza per l’accusa più pesante, l’associazione a delinquere - aveva ramificazioni ovunque.
«Un sistema diffuso di gravi reati contro la pubblica amministrazione e la fede pubblica - scrive la procura - perpetrati dal 2006 in poi». C’è Vito De Gennaro, il patron della Dec, che secondo i pm Renato Nitti e Francesca Pirrelli «cura in prima persona i rapporti con esponenti politici locali e nazionali al fine di ottenere una copertura politica sulle operazioni di interesse dell'associazione». Copertura politica: perché i professionisti, i funzionari e i dirigenti coinvolti sembrano essere pedine di un gioco più grande. L’hanno chiamata operazione «Sub urbia», chiaro riferimento letterario per i parcheggi interrati che sono il cuore delle oltre 45mila pagine di documenti accumulati dalle fiamme gialle in sette anni di lavoro.
Una storia che comincia nel 2002, quando la giunta Di Cagno Abbrescia autorizza la realizzazione in project financing delle tre strutture sotterranee (piazza Cesare Battisti, piazza Giulio Cesare, corso Cavour). Il successore Michele Emiliano ne porterà avanti solo due, congelando il terzo non senza polemiche. La procura ritiene di aver individuato una lunga serie di irregolarità nella realizzazione dei primi due parcheggi: opere realizzate in più, opere realizzate in meno, procedure di collaudo «morbide».
E irregolarità ci sarebbero anche nel procedimento che, dopo il primo sequestro del 2004, avrebbe portato la Regione a concedere la Valutazione d’impatto ambientale per piazza Cesare Battisti: una vicenda amministrativa che ad oggi non si è ancora conclusa.
L’altro grande capitolo è il Direzionale del quartiere San Paolo. Un altro project financing, sostenuto però da un contributo pubblico di 50, che fa finire nei guai l’ex capo dell’ufficio tecnico comunale Vito Nitti e la dirigente dell’Urbanistica, Anna Maria Curcuruto: avrebbe pagato senza far domande il primo, avrebbe contribuito a far aggiudicare un appalto costruito su misura la seconda. Anche grazie a loro, secondo l’accusa, i tre fratelli De Gennaro avrebbero ottenuto «costi decisamente inferiori rispetto a quelli previsti» e una «prospettiva di profitti superiore a quella legittima».
Il danneggiato, ovviamente, sono le casse pubbliche. E poi le case di via Pappacena, quelle destinate alle forze dell’ordine dove finora sono andati ad abitare tanti consiglieri comunali e nessun poliziotto. Un filone su cui le indagini continuano, e su cui finora i finanzieri sono riusciti a mettere un primo punto fermo: realizzati gli appartamenti, gli imprenditori si sono «dimenticati» di costruire una parte di opere pubbliche. Chi doveva controllare, non ha controllato. [g.l. - m.s.]
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