PALERMO. Un uomo colpito a morte disteso sul marciapiedi. E' l'immagine dell'uccisione di Salvo Lima, fedelissimo di Giulio Andreotti in Sicilia, che vent'anni fa aprì la stagione del terrorismo mafioso.
Quel delitto era il primo di una catena di stragi e di attentati che tra il 1992 e il 1993 venne organizzata da Cosa nostra per ricattare lo Stato e per dare una spinta alla "trattativa" già avviata.
Questa lettura aggiornata della strategia della mafia va emergendo prima dagli ultimi sviluppi sulla strage in cui morì Paolo Borsellino e ora dalla chiusura delle indagini condotte dalla Procura di Palermo nei confronti di Bernardo Provenzano anche per il delitto Lima. Finora Provenzano era stato tenuto fuori perché, secondo una linea investigativa consolidata, non avrebbe condiviso fino in fondo l'attacco allo Stato voluto a ogni costo da Totò Riina.
Dall'inchiesta sui "sistemi criminali", archiviata nel 2003 ma ripartita dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti e soprattutto di Antonino Giuffré, non solo riaffiora il pieno coinvolgimento di Provenzano nell'attuazione della strategia criminale di quegli anni ma anche il collegamento con il capitolo oscuro della "trattativa". E per questo ora la Procura si accingerebbe a chiedere per il boss il rinvio a giudizio. Lima venne assassinato la mattina del 12 marzo 1992 da due sicari in moto. Lo affrontarono sul viale principale di Mondello, dove abitava, mentre l'eurodeputato Dc si recava in un grande albergo per organizzare una manifestazione con Andreotti.
Al fuoco dei due killer, Giovanbattista Ferrante e Francesco Onorato, scamparono i due amici che accompagnavano l'esponente Dc: Alfredo Li Vecchi, docente universitario, e Nando Liggio, assessore provinciale. Il processo, concluso con la condanna di esecutori e mandanti, aveva già dato anche un'indicazione sul movente: Lima, uomo delle cosche, sarebbe stato ucciso perché non era più in grado di "garantire" l'impunità dei boss. Il 31 gennaio la Cassazione aveva infatti confermato la sfilza di condanne - 19 ergastoli e quasi 2600 anni di carcere - per i principali imputati del maxiprocesso a Cosa nostra. La sentenza aveva confermato l'impostazione del processo, istruito dal pool di Falcone e Borsellino, e le linee generali del "teorema Buscetta".
Ora i magistrati impegnati nella rivisitazione della stagione delle stragi ritengono che con Lima cominciò o venne rilanciata una campagna terroristica i cui primi segni riportano al fallito attentato dell'Addaura a Falcone nel 1989. Dopo Lima vennero le stragi di Capaci e via D'Amelio e le bombe di Milano, Roma, Firenze. La mafia non voleva solo indurre lo Stato a "trattare" ma cercava nuovi referenti in sostituzione dei vecchi esponenti di un sistema politico ormai in disfacimento. Per questo, come ha sottolineato il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, Cosa nostra era interessata a un nuovo quadro politico.
Quel delitto era il primo di una catena di stragi e di attentati che tra il 1992 e il 1993 venne organizzata da Cosa nostra per ricattare lo Stato e per dare una spinta alla "trattativa" già avviata.
Questa lettura aggiornata della strategia della mafia va emergendo prima dagli ultimi sviluppi sulla strage in cui morì Paolo Borsellino e ora dalla chiusura delle indagini condotte dalla Procura di Palermo nei confronti di Bernardo Provenzano anche per il delitto Lima. Finora Provenzano era stato tenuto fuori perché, secondo una linea investigativa consolidata, non avrebbe condiviso fino in fondo l'attacco allo Stato voluto a ogni costo da Totò Riina.
Dall'inchiesta sui "sistemi criminali", archiviata nel 2003 ma ripartita dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti e soprattutto di Antonino Giuffré, non solo riaffiora il pieno coinvolgimento di Provenzano nell'attuazione della strategia criminale di quegli anni ma anche il collegamento con il capitolo oscuro della "trattativa". E per questo ora la Procura si accingerebbe a chiedere per il boss il rinvio a giudizio. Lima venne assassinato la mattina del 12 marzo 1992 da due sicari in moto. Lo affrontarono sul viale principale di Mondello, dove abitava, mentre l'eurodeputato Dc si recava in un grande albergo per organizzare una manifestazione con Andreotti.
Al fuoco dei due killer, Giovanbattista Ferrante e Francesco Onorato, scamparono i due amici che accompagnavano l'esponente Dc: Alfredo Li Vecchi, docente universitario, e Nando Liggio, assessore provinciale. Il processo, concluso con la condanna di esecutori e mandanti, aveva già dato anche un'indicazione sul movente: Lima, uomo delle cosche, sarebbe stato ucciso perché non era più in grado di "garantire" l'impunità dei boss. Il 31 gennaio la Cassazione aveva infatti confermato la sfilza di condanne - 19 ergastoli e quasi 2600 anni di carcere - per i principali imputati del maxiprocesso a Cosa nostra. La sentenza aveva confermato l'impostazione del processo, istruito dal pool di Falcone e Borsellino, e le linee generali del "teorema Buscetta".
Ora i magistrati impegnati nella rivisitazione della stagione delle stragi ritengono che con Lima cominciò o venne rilanciata una campagna terroristica i cui primi segni riportano al fallito attentato dell'Addaura a Falcone nel 1989. Dopo Lima vennero le stragi di Capaci e via D'Amelio e le bombe di Milano, Roma, Firenze. La mafia non voleva solo indurre lo Stato a "trattare" ma cercava nuovi referenti in sostituzione dei vecchi esponenti di un sistema politico ormai in disfacimento. Per questo, come ha sottolineato il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, Cosa nostra era interessata a un nuovo quadro politico.
Nessun commento:
Posta un commento