Duplice omicidio, s'indaga sulle vittime: il fascicolo forse alla Dda
Condello sarebbe stato raggiunto da almeno 7 colpi di pistola, mentre Priolo da 5. L'arma utilizzata per l'omicidio sarebbe una calibro 9, ma gli inquirenti preferiscono aspettare l'autopsia per chiarire tutto con certezza
„Si attende l'esame autoptico per meglio chiarire i contorni del duplice omicidio di Palma di Montechiaro. I corpi di Giuseppe Condello, 41 anni, e di Vincenzo Priolo, 26 anni, sono stati trovati ieri pomeriggio dentro una vasca di scolo per il raccoglimento delle acque, sotto un viadotto lungo la strada che dalla Ss115 porta a Campobello di Licata, in contrada Ciccobriglio.“
Secondo quanto emerso dall'ispezione cadaverica, Condello sarebbe stato raggiunto da almeno 7 colpi di pistola, mentre Priolo da 5. L'arma utilizzata per l'omicidio sarebbe una calibro 9, ma gli inquirenti preferiscono aspettare l'autopsia per chiarire tutto con certezza.
Intanto l'indagine potrebbe passare per competenza alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Gli indizi che portano ad una matrice mafiosa si fanno sempre più concreti: dalla modalità dell'omicidio, al trascorso di Condello. Stamani la polizia è tornata sul luogo del delitto per cercare eventuali nuove tracce. Gli investigatori dovranno ispezionare la vasca in cui sono stati trovati i corpi, alla ricerca anche di un piccolo ma significativo errore dei killer.
Questo blog di notorietà internazionale, per protesta contro uno “Stato Latitante” non verrà aggiornato.
venerdì 27 gennaio 2012
Duro colpo a Cosa nostra, la Gdf sequestra beni per 75 milioni di euro
Il provvedimento è stato disposto dal Tribunale di Agrigento, su richiesta della Dda di Palermo, che ha ordinato il sequestro di beni mobili ed immobili e di aziende nei confronti di tre appartenenti alla famiglia di Canicattì
„Duro colpo della Guardia di finanza di Agrigento a Cosa nostra. Le fiamme gialle comandante dal colonnello Pasquale Porzio hanno sequestrato beni riconducibili alla famiglia mafiosa di Canicattì, per un valore di circa 75 milioni di euro. Il provvedimento è stato disposto dal Tribunale di Agrigento, su richiesta della Dda di Palermo, che ha ordinato il sequestro di beni mobili ed immobili e di aziende nei confronti di tre appartenenti alla famiglia di Canicattì: si tratta dei canicattinesi Angelo Di Bella, 57 anni, Vincenzo Leone, 41 anni, e Luigi Messana, 54 anni.“
Nel corso dell'indagine, però, le persone sottoposte ad accertamenti patrimoniali sono state 33; oltre ai tre indiziati, presunti appartenenti a Cosa nostra, sono compresi soggetti ad essi collegati, tra familiari, sodali, soci e prestanome.
La laboriosa e penetrante azione investigativa del Nucleo di polizia tributaria di Agrigento ha fatto venire alla luce un sistema complesso in cui i legami familiari, i rapporti affaristici di tipo imprenditoriale ed i vincoli di tipo criminale si sovrapponevano e si incrociavano ripetutamente tra loro. I legami esistenti tra i soggetti all'interno di Cosa nostra, infatti, si riproducevano a livello parentale, trovando talvolta corrispondenza in legami di tipo familiare, e si riproducevano nei rapporti d'affari all'interno delle imprese mafiose.
Le proprietà immobiliari sono, così, risultate estremamente frazionate tra i vari soggetti appartenenti a Cosa nostra, sottoposti ad accertamenti patrimoniali; questo
modello è risultato ripetuto anche nella distribuzione delle quote azionarie delle imprese mafiose sottoposte a sequestro.
La "polverizzazione" dei patrimoni mobiliari ed immobiliari, realizzata con ripetuti intrecci tra i vari soggetti, ha reso particolarmente difficile l'individuazione del patrimonio di cui ogni singolo soggetto disponeva, ma ha anche contribuito a creare un sistema criminale monolitico la cui solidità era accresciuta proprio dai vincoli familistici intrecciati con i legami di natura affaristico-imprenditoriale.
Gli approfonditi accertamenti hanno portato ad individuare un ingente patrimonio costituito da terreni di vaste estensioni, immobili residenziali di pregio, immobili industriali, società commerciali, imprese agricole, imprese di costruzione, mezzi agricoli ed industriali, autovetture anche di lusso, conti correnti e titoli mobiliari. Complessivamente, sono stati tolti alla disponibilità dell'organizzazione beni per un controvalore stimato circa 75 milioni di euro.
Una vera fortuna proveniente dalle attività illecite di Cosa nostra, in possesso di soggetti già condannati per associazione mafiosa. Patrimoni che il Tribunale ha ordinato di sequestrare, affidandoli alle mani degli amministratori giudiziari che, d'ora in poi, ne cureranno la gestione per conto dello Stato.
„Duro colpo della Guardia di finanza di Agrigento a Cosa nostra. Le fiamme gialle comandante dal colonnello Pasquale Porzio hanno sequestrato beni riconducibili alla famiglia mafiosa di Canicattì, per un valore di circa 75 milioni di euro. Il provvedimento è stato disposto dal Tribunale di Agrigento, su richiesta della Dda di Palermo, che ha ordinato il sequestro di beni mobili ed immobili e di aziende nei confronti di tre appartenenti alla famiglia di Canicattì: si tratta dei canicattinesi Angelo Di Bella, 57 anni, Vincenzo Leone, 41 anni, e Luigi Messana, 54 anni.“
Nel corso dell'indagine, però, le persone sottoposte ad accertamenti patrimoniali sono state 33; oltre ai tre indiziati, presunti appartenenti a Cosa nostra, sono compresi soggetti ad essi collegati, tra familiari, sodali, soci e prestanome.
La laboriosa e penetrante azione investigativa del Nucleo di polizia tributaria di Agrigento ha fatto venire alla luce un sistema complesso in cui i legami familiari, i rapporti affaristici di tipo imprenditoriale ed i vincoli di tipo criminale si sovrapponevano e si incrociavano ripetutamente tra loro. I legami esistenti tra i soggetti all'interno di Cosa nostra, infatti, si riproducevano a livello parentale, trovando talvolta corrispondenza in legami di tipo familiare, e si riproducevano nei rapporti d'affari all'interno delle imprese mafiose.
Le proprietà immobiliari sono, così, risultate estremamente frazionate tra i vari soggetti appartenenti a Cosa nostra, sottoposti ad accertamenti patrimoniali; questo
modello è risultato ripetuto anche nella distribuzione delle quote azionarie delle imprese mafiose sottoposte a sequestro.
La "polverizzazione" dei patrimoni mobiliari ed immobiliari, realizzata con ripetuti intrecci tra i vari soggetti, ha reso particolarmente difficile l'individuazione del patrimonio di cui ogni singolo soggetto disponeva, ma ha anche contribuito a creare un sistema criminale monolitico la cui solidità era accresciuta proprio dai vincoli familistici intrecciati con i legami di natura affaristico-imprenditoriale.
Gli approfonditi accertamenti hanno portato ad individuare un ingente patrimonio costituito da terreni di vaste estensioni, immobili residenziali di pregio, immobili industriali, società commerciali, imprese agricole, imprese di costruzione, mezzi agricoli ed industriali, autovetture anche di lusso, conti correnti e titoli mobiliari. Complessivamente, sono stati tolti alla disponibilità dell'organizzazione beni per un controvalore stimato circa 75 milioni di euro.
Una vera fortuna proveniente dalle attività illecite di Cosa nostra, in possesso di soggetti già condannati per associazione mafiosa. Patrimoni che il Tribunale ha ordinato di sequestrare, affidandoli alle mani degli amministratori giudiziari che, d'ora in poi, ne cureranno la gestione per conto dello Stato.
Cemento depotenziato, rinvio a giudizio per otto persone
Gli imputati sono Antonio Raia, Girolamo Traina, Gerlando Spallitta, Salvatore Brucculeri, Fancesco Paolo Scaglione, Francesco Lusco, Marco Campione e Angelo Alletto
„Sono otto i rinviati a giudizio nell'ambito della vicenda sul cemento depotenziato utilizzato per la costruzione dell'ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento. Gli imputati sono Antonio Raia, Girolamo Traina, Gerlando Spallitta, Salvatore Brucculeri, Fancesco Paolo Scaglione, Francesco Lusco, Marco Campione e Angelo Alletto. L'inchiesta portò nell'estate del 2009 al sequestro della struttura. Adesso si attende la prima udienza fissata per il prossimo 2 aprile.“
Uccisero pregiudicato arrestati 4 della Scu
BRINDISI – In un’operazione compiuta all’alba dagli agenti della Squadra mobile di Brindisi e del commissariato di Mesagne della polizia di Stato sono stati arrestati quattro esponenti di rilievo della criminalità organizzata mesagnese, tra i quali uno dei capi storici della Sacra Corona Unita, Massimo Pasimeni: sono accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso e dell’omicidio del pregiudicato Giancarlo Salati, ucciso a 62 anni il 16 giugno 2009 nella sua abitazione a bastonate.
Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere emessi dal gip del Tribunale di Lecce Valerio Brancato su richiesta del capo della direzione distrettuale antimafia di Lecce Cataldo Motta e dei pm della distrettuale Alberto Santacatterina e Valeria Farina Valori.
Secondo l’accusa, su mandato di Pasimeni gli altri tre si recarono a casa di Salati e lo colpirono ripetutamente con un bastone, tanto da causarne la morte. Le indagini sono state compiute anche sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.
Secondo quanto è risultato dalle indagini, Pasimeni nutriva un risentimento personale nei confronti della vittima, anche per il fatto che Salati aveva relazioni sessuali con minorenni.
Particolari sull'operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si svolgerà in questura, a Brindisi, alle 11. Parteciperanno il procuratore della direzione distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta, il procuratore di Brindisi, Marco Di Napoli, e il questore, Alfonso Terribile.
Vittima fu uccisa a sprangate
BRINDISI – Fu ucciso a sprangate, con una mazza di ferro, il 16 giugno 2009 per punirlo del fatto che aveva relazioni sessuali con ragazzine, e soprattutto per aver violentato una di loro, una quindicenne, mettendola anche incinta. Questo, secondo gli investigatori, il movente che scatenò l’uccisione di Giancarlo Salati, 62 anni, compiuta nella sua abitazione, nel centro storico di Mesagne (Brindisi) con una violenza della quale restarono tracce in tutta la piccola casa.
Salati aveva precedenti penali per furti, ma anche per sfruttamento della prostituzione, avrebbe anche avuto una relazione sentimentale con l’attuale moglie del boss della Scu Massimo Pasimeni, e ne sarebbe stato anche il «protettore» quando la donna si prostituiva. Anche per questo motivo Pasimeni avrebbe ordinato di uccidere Salati, oltre che per il fatto che l’uomo frequentava minorenni e avrebbe violentato una quindicenne, lasciandola incinta.
L'aggressione avvenne nel tardo pomeriggio del 16 giugno 2009. Giancarlo Salati stava nella casetta nel centro storico dove viveva da solo, in via Mauro Capodieci: fu colpito con violenza, a quanto constatarono i medici, almeno 16 volte, anche sulla testa, fino a rompergliela. Fu lasciato in fin di vita e fu lui stesso a chiedere aiuto, chiamando la figlia alla quale mormorò di essere caduto per le scale. L’uomo morì dopo un giorno e mezzo di coma nell’ospedale Perrino di Brindisi, dove era stato ricoverato per politrauma contusivo e emorragia cerebrale.
I presunti assassini di Salati sarebbero stati ingaggiati da Pasimeni attraverso Ercole penna, attuale collaboratore di giustizia. Si tratta di Francesco Gravina, Vito Stano e Cosimo Giovanni Guarini, arerstati insieme a Pasimeni, al quale il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere dov'era già detenuto. I quattro sono accusati di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di ordinanze di custodia cautelare in carcere emessi dal gip del Tribunale di Lecce Valerio Brancato su richiesta del capo della direzione distrettuale antimafia di Lecce Cataldo Motta e dei pm della distrettuale Alberto Santacatterina e Valeria Farina Valori.
Secondo l’accusa, su mandato di Pasimeni gli altri tre si recarono a casa di Salati e lo colpirono ripetutamente con un bastone, tanto da causarne la morte. Le indagini sono state compiute anche sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.
Secondo quanto è risultato dalle indagini, Pasimeni nutriva un risentimento personale nei confronti della vittima, anche per il fatto che Salati aveva relazioni sessuali con minorenni.
Particolari sull'operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si svolgerà in questura, a Brindisi, alle 11. Parteciperanno il procuratore della direzione distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta, il procuratore di Brindisi, Marco Di Napoli, e il questore, Alfonso Terribile.
Vittima fu uccisa a sprangate
BRINDISI – Fu ucciso a sprangate, con una mazza di ferro, il 16 giugno 2009 per punirlo del fatto che aveva relazioni sessuali con ragazzine, e soprattutto per aver violentato una di loro, una quindicenne, mettendola anche incinta. Questo, secondo gli investigatori, il movente che scatenò l’uccisione di Giancarlo Salati, 62 anni, compiuta nella sua abitazione, nel centro storico di Mesagne (Brindisi) con una violenza della quale restarono tracce in tutta la piccola casa.
Salati aveva precedenti penali per furti, ma anche per sfruttamento della prostituzione, avrebbe anche avuto una relazione sentimentale con l’attuale moglie del boss della Scu Massimo Pasimeni, e ne sarebbe stato anche il «protettore» quando la donna si prostituiva. Anche per questo motivo Pasimeni avrebbe ordinato di uccidere Salati, oltre che per il fatto che l’uomo frequentava minorenni e avrebbe violentato una quindicenne, lasciandola incinta.
L'aggressione avvenne nel tardo pomeriggio del 16 giugno 2009. Giancarlo Salati stava nella casetta nel centro storico dove viveva da solo, in via Mauro Capodieci: fu colpito con violenza, a quanto constatarono i medici, almeno 16 volte, anche sulla testa, fino a rompergliela. Fu lasciato in fin di vita e fu lui stesso a chiedere aiuto, chiamando la figlia alla quale mormorò di essere caduto per le scale. L’uomo morì dopo un giorno e mezzo di coma nell’ospedale Perrino di Brindisi, dove era stato ricoverato per politrauma contusivo e emorragia cerebrale.
I presunti assassini di Salati sarebbero stati ingaggiati da Pasimeni attraverso Ercole penna, attuale collaboratore di giustizia. Si tratta di Francesco Gravina, Vito Stano e Cosimo Giovanni Guarini, arerstati insieme a Pasimeni, al quale il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere dov'era già detenuto. I quattro sono accusati di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Tangenti da 20 euro per anticipare visite arrestato infermiere
MOLFETTA (BARI) – Avrebbe chiesto danaro per anticipare gli appuntamenti delle visite mediche specialistiche, obbligatorie e gratuite, alle quali i marittimi devono sottoporsi annualmente se vogliono imbarcarsi: per questo un infermiere di Molfetta, Ignazio Brattoli, di 53 anni, è stato posto agli arresti domiciliari per concussione.
Dalle indagini svolte dai carabinieri di Bari e Molfetta, coordinati dalla procura di Trani, è emerso che Brattoli ha avviato l’attività illecita oltre 25 anni fa. L’uomo chiedeva 20 euro per anticipare la visita medica presso il laboratorio in cui lavorava, struttura del Servizio sanitario nazionale unica in Puglia. Poi segnava ogni cosa, nome, riferimento e data su una agenda di colore rosso. Le indagini dei militari si sono avvalse di intercettazioni e videoriprese. Gli accertamenti sono partiti da una segnalazione al ministero della Salute di un marittimo di Mola di Bari, stanco di subire le richieste di denaro dell’infermiere.
'Ndrangheta, 5 arresti tra cui un imprenditore di Reggio e tre finanzieri
Arresti, perquisizioni e sequestri di immobili disposti dal Gip del Tribunale di Milano, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, a Milano da parte della Polizia di Stato
Operazione questa mattina della Polizia di Stato nell'ambito dell’indagine che il 30 novembre scorso ha riguardato il clan 'ndranghetista Valle-Lampada, in più città italiane. Coinvolti «pubblici ufficiali» ritenuti «fiancheggiatori» della cosca. Le precedenti indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini (in foto) e dai pm Paolo Storari e Alessandra Dolci, avevano al centro il clan Valle-Lampada, già decimato nel luglio del 2010.
Erano stati arrestati Giulio Lampada, ritenuto «il regista di tutte le operazioni» e il fratello Francesco, gestori di bar e locali, e veri e propri imprenditori nel settore dei giochi di azzardo, la moglie di quest’ultimo, Maria Valle (ai domiciliari), suo fratello Leonardo, il presidente delle misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio, il cugino medico Vincenzo, il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli (Pdl), l’avvocato Vincenzo Minasi, il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli e un 'fedelissimo', Raffaele Fermino.
Nell’ordinanza si facevano poi i nomi di due funzionari che avrebbero "mostrato di intrattenere relazioni di speciale privilegio e compiacenza con i Lampada": il direttore di un’agenzia Unicredit di Milano e quello di un’agenzia di Paullo del Credito Bergamasco.
Nell’ambito delle indagini che nei mesi scorsi avevano già portato in carcere un avvocato, un politico e un magistrato calabrese, era emerso che il gip del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, solo indagato, si faceva pagare viaggi ed escort dagli uomini del clan Lampada.
Tra le persone arrestate dunque, anche tre uomini della Guardia di Finanza del gruppo di via Valtellina, sui quali hanno indagato i loro stessi colleghi. I tre si sarebbero fatti corrompere con 40mila euro al mese per consentire agli affiliati al clan di evitare controlli.
I tre finanzieri, in particolare marescialli sono accusati di aver omesso i controlli su alcuni videopoker del clan Lampada. In cambio, secondo l’accusa avrebbero intascato dai 40 ai 60 mila euro ogni mese. Si tratta di Michele Noto di 39 anni, Luciano Russo di 36 anni e Michele Di Dio di 34 anni.
Oltre a tre finanzieri, accusati di corruzione, il direttore del lussuoso Hotel Brun in via Novara a Milano, accusato di favoreggiamento personale. In carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa anche Domenico Gattuso, ritenuto dagli inquirenti uno dei soci 'chiave' del clan dei Lampada. Gattuso è stato arrestato a Reggio Calabria e sarà portato in carcere a Milano. L’uomo, secondo l’accusa, avrebbe aperto numerose società per conto dei Lampada, avrebbe gestito contatti istituzionali e avrebbe avuto un ruolo nella fuga di notizie riguardo a un’indagine della magistratura calabrese, la cosiddetta operazione 'Meta'.
LE ACCUSE CONTESTATE AGLI ARRESTATI DI OGGI
Oltre ai tre marescialli della guardia di finanza, i provvedimenti emessi questa mattina hanno colpito anche Domenico Gattuso, nato a Reggio Calabria, di 36 anni e Vincenzo Moretti, nato a Foligno, di 69 anni. L’accusa per entrambi è concorso esterno in associazione mafiosa. Gattuso è stato arrestato, Moretti è agli arresti domiciliari. A Domenico Gattuso, imprenditore, viene contestato di aver fornito un apporto all’associazione mafiosa «incontrando e fornendo informazioni a Francesco e Giulio Lampada, con i quali si sarebbe visto periodicamente in Calabria e a Milano». Gli viene contestato anche di aver contribuito «a far ottenere al sodalizio criminoso mutui, finanziamenti, apertura di conti correnti, costituzione di società». Avrebbe anche aiutato Giulio Lampada e Leonardo Valle a pianificare una strategia per eludere i servizi di pedinamento della Squadra Mobile di Milano e Reggio Calabria, adottando «precauzioni tipiche delle associazioni criminali». A Vincenzo Moretti viene contestato, in qualità di direttore del Grand Hotel Brun di via Novara a Milano, di aver aiutato alcuni membri del clan ad eludere i controlli delle autorità. Moretti avrebbe consentito soggiorni nell’albergo di personaggi vicini al clan, «soggiorni le cui spese erano pagate in contanti o con assegni di conti correnti intestati alle società facenti capo al sodalizio da Giulio Lampada».
PRIMA FASE DELL'INCHIESTA
L'AVVOCATO MINASI PARLA DELL'IMPRENDITORE GATTUSO
«Poteva guardare il computer dei carabinieri ma non poteva guardare il computer dello Sco e della polizia e quindi non poteva sapere chi c'era dietro all’indagine». Così l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato il primo dicembre dello scorso anno nella prima fase dell’inchiesta della Dda milanese sulla cosca Lampada, parla dell’imprenditore Domenico Gattuso, di 36 anni, arrestato stamani dalla squadra mobile nella prosecuzione delle indagini. La circostanza si rileva dall’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano. Parlando della fuga di notizie dell’inchiesta Meta della Dda di Reggio Calabria, Minasi, che ha anche riferito che Gattuso, socio dei Lampada in varie attività, assumeva le informazioni da un colonnello del Ros amico del padre, ha poi sostenuto di avere saputo da Gattuso, verso aprile/maggio, che gli atti erano stati trasferiti a Milano. «La notizia che fornisce Gattuso - scrive il gip – è tremendamente esatta e presuppone una conoscenza 'interna' delle sorti del fascicolo, anche dopo la chiusura della indagine».
MINASI: "IL CONTATTO DI MORELLI ERA POLLARI DEL SISMI"
Franco Morelli, l’ex consigliere regionale della Calabria arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sulla cosca Lampada, vantava contatti negli ambienti dei servizi segreti, da cui apprendeva notizie sulle indagini per girarle ai Lampada, e ha anche fatto il nome dell’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari.
A riferirlo è ancora l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato a dicembre, nell’interrogatorio al pm Ilda Boccassini. Parlando di un incontro del dicembre 2009 tra lui, Giulio Lampada e Morelli, Minasi riferisce che parlarono «del procedimento Meta e delle indagini che si stavano svolgendo sia per Lampada sia per i Valle sia per i Condello».
Morelli, dice Minasi, «in quella occasione non portò notizie dalla Calabria, portò notizie da Roma. Nel senso che lui disse 'Sono stato a Roma dai miei amici, i quali mi hanno confermato che c'è l’indagine su Milanò, e fu quella volta che ebbi proprio la conferma della indagine su Milano... Queste furono le notizie che portò Morelli da Roma». Successivamente Minasi ha detto: «Morelli, mi disse che aveva delle buone entrature nei servizi segreti e mi fece il nome di Nicola Pollari. Ora che ho consultato i miei appunti posso dire che l’incontro, se c'è stato ovviamente, con Pollari o qualcun altro dei servizi segreti è da collocare tra il 9 dicembre 2009 e il 21 gennaio 2010. Tenga conto che quando io ho dato i documenti da me falsificati a Giulio Lampada e quest’ultimo li ha portati a Morelli il 18 gennaio, non posso escludere che Morelli abbia mostrato questi documenti a qualcuno dei servizi o comunque allo stesso Pollari dal 18 gennaio al 21 gennaio».
«Naturalmente – scrive il gip – il riferimento ad ambienti dei servizi – riferimento ancora più preciso a proposito del 'Nic..' al quale Morelli si rivolgerà più avanti per mostrare alcuni documenti esibiti da Lampada – è preoccupante. La circostanza va evidentemente approfondita, anche perchè Minasi - pur prendendo per vere le sue dichiarazioni – parla di circostanze apprese da terzi. Peraltro viene quasi naturale accostare queste asserzioni alla 'stranà visita che Giglio Vincenzo farà al capocentro Aisi di Reggio, chiedendo notizie sulla indagine. Difficile pensare di fare certe domande se non si pensa di potere ottenere delle risposte».
Erano stati arrestati Giulio Lampada, ritenuto «il regista di tutte le operazioni» e il fratello Francesco, gestori di bar e locali, e veri e propri imprenditori nel settore dei giochi di azzardo, la moglie di quest’ultimo, Maria Valle (ai domiciliari), suo fratello Leonardo, il presidente delle misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio, il cugino medico Vincenzo, il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli (Pdl), l’avvocato Vincenzo Minasi, il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli e un 'fedelissimo', Raffaele Fermino.
Nell’ordinanza si facevano poi i nomi di due funzionari che avrebbero "mostrato di intrattenere relazioni di speciale privilegio e compiacenza con i Lampada": il direttore di un’agenzia Unicredit di Milano e quello di un’agenzia di Paullo del Credito Bergamasco.
Nell’ambito delle indagini che nei mesi scorsi avevano già portato in carcere un avvocato, un politico e un magistrato calabrese, era emerso che il gip del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, solo indagato, si faceva pagare viaggi ed escort dagli uomini del clan Lampada.
Tra le persone arrestate dunque, anche tre uomini della Guardia di Finanza del gruppo di via Valtellina, sui quali hanno indagato i loro stessi colleghi. I tre si sarebbero fatti corrompere con 40mila euro al mese per consentire agli affiliati al clan di evitare controlli.
I tre finanzieri, in particolare marescialli sono accusati di aver omesso i controlli su alcuni videopoker del clan Lampada. In cambio, secondo l’accusa avrebbero intascato dai 40 ai 60 mila euro ogni mese. Si tratta di Michele Noto di 39 anni, Luciano Russo di 36 anni e Michele Di Dio di 34 anni.
Oltre a tre finanzieri, accusati di corruzione, il direttore del lussuoso Hotel Brun in via Novara a Milano, accusato di favoreggiamento personale. In carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa anche Domenico Gattuso, ritenuto dagli inquirenti uno dei soci 'chiave' del clan dei Lampada. Gattuso è stato arrestato a Reggio Calabria e sarà portato in carcere a Milano. L’uomo, secondo l’accusa, avrebbe aperto numerose società per conto dei Lampada, avrebbe gestito contatti istituzionali e avrebbe avuto un ruolo nella fuga di notizie riguardo a un’indagine della magistratura calabrese, la cosiddetta operazione 'Meta'.
LE ACCUSE CONTESTATE AGLI ARRESTATI DI OGGI
Oltre ai tre marescialli della guardia di finanza, i provvedimenti emessi questa mattina hanno colpito anche Domenico Gattuso, nato a Reggio Calabria, di 36 anni e Vincenzo Moretti, nato a Foligno, di 69 anni. L’accusa per entrambi è concorso esterno in associazione mafiosa. Gattuso è stato arrestato, Moretti è agli arresti domiciliari. A Domenico Gattuso, imprenditore, viene contestato di aver fornito un apporto all’associazione mafiosa «incontrando e fornendo informazioni a Francesco e Giulio Lampada, con i quali si sarebbe visto periodicamente in Calabria e a Milano». Gli viene contestato anche di aver contribuito «a far ottenere al sodalizio criminoso mutui, finanziamenti, apertura di conti correnti, costituzione di società». Avrebbe anche aiutato Giulio Lampada e Leonardo Valle a pianificare una strategia per eludere i servizi di pedinamento della Squadra Mobile di Milano e Reggio Calabria, adottando «precauzioni tipiche delle associazioni criminali». A Vincenzo Moretti viene contestato, in qualità di direttore del Grand Hotel Brun di via Novara a Milano, di aver aiutato alcuni membri del clan ad eludere i controlli delle autorità. Moretti avrebbe consentito soggiorni nell’albergo di personaggi vicini al clan, «soggiorni le cui spese erano pagate in contanti o con assegni di conti correnti intestati alle società facenti capo al sodalizio da Giulio Lampada».
PRIMA FASE DELL'INCHIESTA
L'AVVOCATO MINASI PARLA DELL'IMPRENDITORE GATTUSO
«Poteva guardare il computer dei carabinieri ma non poteva guardare il computer dello Sco e della polizia e quindi non poteva sapere chi c'era dietro all’indagine». Così l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato il primo dicembre dello scorso anno nella prima fase dell’inchiesta della Dda milanese sulla cosca Lampada, parla dell’imprenditore Domenico Gattuso, di 36 anni, arrestato stamani dalla squadra mobile nella prosecuzione delle indagini. La circostanza si rileva dall’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano. Parlando della fuga di notizie dell’inchiesta Meta della Dda di Reggio Calabria, Minasi, che ha anche riferito che Gattuso, socio dei Lampada in varie attività, assumeva le informazioni da un colonnello del Ros amico del padre, ha poi sostenuto di avere saputo da Gattuso, verso aprile/maggio, che gli atti erano stati trasferiti a Milano. «La notizia che fornisce Gattuso - scrive il gip – è tremendamente esatta e presuppone una conoscenza 'interna' delle sorti del fascicolo, anche dopo la chiusura della indagine».
MINASI: "IL CONTATTO DI MORELLI ERA POLLARI DEL SISMI"
Franco Morelli, l’ex consigliere regionale della Calabria arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sulla cosca Lampada, vantava contatti negli ambienti dei servizi segreti, da cui apprendeva notizie sulle indagini per girarle ai Lampada, e ha anche fatto il nome dell’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari.
A riferirlo è ancora l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato a dicembre, nell’interrogatorio al pm Ilda Boccassini. Parlando di un incontro del dicembre 2009 tra lui, Giulio Lampada e Morelli, Minasi riferisce che parlarono «del procedimento Meta e delle indagini che si stavano svolgendo sia per Lampada sia per i Valle sia per i Condello».
Morelli, dice Minasi, «in quella occasione non portò notizie dalla Calabria, portò notizie da Roma. Nel senso che lui disse 'Sono stato a Roma dai miei amici, i quali mi hanno confermato che c'è l’indagine su Milanò, e fu quella volta che ebbi proprio la conferma della indagine su Milano... Queste furono le notizie che portò Morelli da Roma». Successivamente Minasi ha detto: «Morelli, mi disse che aveva delle buone entrature nei servizi segreti e mi fece il nome di Nicola Pollari. Ora che ho consultato i miei appunti posso dire che l’incontro, se c'è stato ovviamente, con Pollari o qualcun altro dei servizi segreti è da collocare tra il 9 dicembre 2009 e il 21 gennaio 2010. Tenga conto che quando io ho dato i documenti da me falsificati a Giulio Lampada e quest’ultimo li ha portati a Morelli il 18 gennaio, non posso escludere che Morelli abbia mostrato questi documenti a qualcuno dei servizi o comunque allo stesso Pollari dal 18 gennaio al 21 gennaio».
«Naturalmente – scrive il gip – il riferimento ad ambienti dei servizi – riferimento ancora più preciso a proposito del 'Nic..' al quale Morelli si rivolgerà più avanti per mostrare alcuni documenti esibiti da Lampada – è preoccupante. La circostanza va evidentemente approfondita, anche perchè Minasi - pur prendendo per vere le sue dichiarazioni – parla di circostanze apprese da terzi. Peraltro viene quasi naturale accostare queste asserzioni alla 'stranà visita che Giglio Vincenzo farà al capocentro Aisi di Reggio, chiedendo notizie sulla indagine. Difficile pensare di fare certe domande se non si pensa di potere ottenere delle risposte».
Truffe sui fondi per i fidi, arrestato consigliere provinciale di Cosenza
Giuseppe Carotenuto, è stato arrestato insieme ad altre due persone, dai carabinieri con l’accusa di associazione a delinquere, truffa e peculato
Giuseppe Carotenuto, dal 2009, è consigliere alla Provincia nel gruppo «Calabria riformista» e questa mattina è stato arrestato questa mattina dai carabinieri con l’accusa di associazione a delinquere, truffa e peculato. Assieme a lui sono finite in manette altre due persone: Gianfranco Vecchione (52) e Giovanni Falanga (56), a cui sono stati concessi gli arresti domiciliari.
Tutti, secondo quanto si è appreso, ricoprono incarichi in due consorzi di garanzia dei fondi fidi che si occupano di fare da garanti presso le banche, grazie a stanziamenti del ministero dell’Economia, per la concessione di fidi a piccole e medie imprese ed a soggetti vittime di usura.
Secondo l’accusa, i tre, si sarebbero appropriati di una parte dei finanziamenti ricevuti dalle aziende, alcune delle quali, senza il loro intervento, non avrebbero potuto beneficiare dei fidi. In alcuni casi, inoltre, si sarebbero fatti pagare delle commissioni non dovute dai beneficiari dei fidi. Complessivamente i tre si sarebbero impossessati di circa 500 mila euro.
Secondo l'accusa Avrebbero assegnato fondi antiusura sulla base di documentazione attestante il rischio finanziario, risultata integralmente contraffatta. I carabinieri hanno anche eseguito perquisizioni nelle abitazioni di alcuni dirigenti di banca. I documenti, secondo l’accusa, consistevano in lettere di istituti di credito con le quali veniva rigettata la richiesta di mutuo.
«I beneficiari – ha detto il procuratore di Cosenza, Dario Granieri illustrando i particolari dell’operazione – erano del tutto arbitrari. Scelti sulla base di criteri di natura prettamente clientelare e del tutto arbitrari. Sono state, inoltre, applicate ed incamerate commissioni non dovute, oscillanti fra il 5 ed il 10% dell’importo garantito. In molti casi i beneficiari dei prestiti hanno dichiarato di avere utilizzato i prestiti antiusura per le ragioni più svariate, fra cui l’investimento per acquisto di immobili, per favori personali o altro. Nulla di più lontano dalle difficoltà finanziarie richieste per legge».
«In un contesto quale è quello di Cosenza – ha aggiunto Granieri – dove più dell’80% degli operatori commerciali hanno denunciato, come si evince da un’indagine della Confcommercio, di avvertire il peso soffocante dell’usura, la strumentalizzazione dei fondi antiusura per fini privati integra non solo precise condotte criminose, ma rappresenta un grave vulnus alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni».
Le indagini condotte dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura sono scattate in seguito a segnalazioni pervenute dal Ministero delle Finanze e riguardano l'utilizzazione, negli anni 2009 e 2010, dei fondi antiusura previsti dal legislatore e destinati dal Ministero dell’Economia alle piccole e medie imprese ad elevato rischio finanziario.
Giuseppe Carotenuto, dal 2009, è consigliere alla Provincia nel gruppo «Calabria riformista» e questa mattina è stato arrestato questa mattina dai carabinieri con l’accusa di associazione a delinquere, truffa e peculato. Assieme a lui sono finite in manette altre due persone: Gianfranco Vecchione (52) e Giovanni Falanga (56), a cui sono stati concessi gli arresti domiciliari.
Tutti, secondo quanto si è appreso, ricoprono incarichi in due consorzi di garanzia dei fondi fidi che si occupano di fare da garanti presso le banche, grazie a stanziamenti del ministero dell’Economia, per la concessione di fidi a piccole e medie imprese ed a soggetti vittime di usura.
Secondo l’accusa, i tre, si sarebbero appropriati di una parte dei finanziamenti ricevuti dalle aziende, alcune delle quali, senza il loro intervento, non avrebbero potuto beneficiare dei fidi. In alcuni casi, inoltre, si sarebbero fatti pagare delle commissioni non dovute dai beneficiari dei fidi. Complessivamente i tre si sarebbero impossessati di circa 500 mila euro.
Secondo l'accusa Avrebbero assegnato fondi antiusura sulla base di documentazione attestante il rischio finanziario, risultata integralmente contraffatta. I carabinieri hanno anche eseguito perquisizioni nelle abitazioni di alcuni dirigenti di banca. I documenti, secondo l’accusa, consistevano in lettere di istituti di credito con le quali veniva rigettata la richiesta di mutuo.
«I beneficiari – ha detto il procuratore di Cosenza, Dario Granieri illustrando i particolari dell’operazione – erano del tutto arbitrari. Scelti sulla base di criteri di natura prettamente clientelare e del tutto arbitrari. Sono state, inoltre, applicate ed incamerate commissioni non dovute, oscillanti fra il 5 ed il 10% dell’importo garantito. In molti casi i beneficiari dei prestiti hanno dichiarato di avere utilizzato i prestiti antiusura per le ragioni più svariate, fra cui l’investimento per acquisto di immobili, per favori personali o altro. Nulla di più lontano dalle difficoltà finanziarie richieste per legge».
«In un contesto quale è quello di Cosenza – ha aggiunto Granieri – dove più dell’80% degli operatori commerciali hanno denunciato, come si evince da un’indagine della Confcommercio, di avvertire il peso soffocante dell’usura, la strumentalizzazione dei fondi antiusura per fini privati integra non solo precise condotte criminose, ma rappresenta un grave vulnus alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni».
Le indagini condotte dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura sono scattate in seguito a segnalazioni pervenute dal Ministero delle Finanze e riguardano l'utilizzazione, negli anni 2009 e 2010, dei fondi antiusura previsti dal legislatore e destinati dal Ministero dell’Economia alle piccole e medie imprese ad elevato rischio finanziario.
Confartigianato: sospeso chi non denuncia il pizzo
Varato il codice etico, espulsione per i collusi. Un ruolo chiave è affidato ai dirigenti e ai candidati alle cariche associative che non devono avere subito condanne
PALERMO. Da oggi gli imprenditori associati a Confartigianato che pagano il pizzo senza denunciarlo saranno sospesi, mentre saranno espulsi quanti continuano a essere collusi con organizzazioni criminali.
Sono le principali novità del codice etico presentato oggi alla Camera di commercio di Palermo. Quattro articoli che stabiliscono, tra le altre cose, di "segnalare tempestivamente agli organi competenti abusi e pressioni da parte di organizzazioni illegali e mafiose; supportare chi denuncia il racket e diffondere la cultura della legalità attraverso iniziative sul territorio".
"Un ruolo chiave è affidato ai dirigenti e ai candidati alle cariche associative - ha detto Giorgio Guerrini, presidente nazionale di Confartigianato - che non devono avere subito condanne per reati dolosi contro lo Stato, l'Ue e il patrimonio, né avere procedimenti penali in corso. Devono inoltre dimostrare con i certificati di avere fedina penale pulita".
Interpellato sul 'ritardo' rispetto al codice varato qualche anno fa da Confindustria Sicilia, Guerrini ha risposto: "Prima d'ora in Sicilia non c'era un gruppo dirigente sensibile. Oggi la rappresentanza siciliana guidata dal presidente regionale Filippo Ribisi è credibile". "La vera novità del codice sta nel voler fornire un esempio alla pubblica amministrazione e alla classe politica regionale - ha detto Ribisi -, non è possibile che oggi siamo rappresentati da un parlamento regionale composto da 27 indagati su 90. La politica e le pubbliche amministrazioni si devono dotare di un codice etico".
"Affermare che è illegale subire l'imposizione del pizzo - ha detto il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo - è un atto di forte eticità". "Siamo lieti che questi esempi partano dalla Sicilia - ha aggiunto Roberto Bertola, presidente commissione Abi Sicilia - per portare altrove una sensibilità al fenomeno mafioso che è ancora sottovalutata". "Alcuni anni fa ho denunciato i miei estortori - ha detto Valeria Grasso imprenditrice palermitana che vive sotto scorta - Che ora sono stati arrestati, ma dal carcere hanno continuato a creare problemi nel lavoro e nel maggio scorso sono stata portata in una località protetta. Al ministro Cancellieri e al nuovo governo chiediamo di essere pronti ad accogliere le richieste di aiuto lanciate dagli imprenditori. E' importante far capire che a differenza di prima non vale più il principio malsano per cui pagare il pizzo costituisce il rischio minore".
PALERMO. Da oggi gli imprenditori associati a Confartigianato che pagano il pizzo senza denunciarlo saranno sospesi, mentre saranno espulsi quanti continuano a essere collusi con organizzazioni criminali.
Sono le principali novità del codice etico presentato oggi alla Camera di commercio di Palermo. Quattro articoli che stabiliscono, tra le altre cose, di "segnalare tempestivamente agli organi competenti abusi e pressioni da parte di organizzazioni illegali e mafiose; supportare chi denuncia il racket e diffondere la cultura della legalità attraverso iniziative sul territorio".
"Un ruolo chiave è affidato ai dirigenti e ai candidati alle cariche associative - ha detto Giorgio Guerrini, presidente nazionale di Confartigianato - che non devono avere subito condanne per reati dolosi contro lo Stato, l'Ue e il patrimonio, né avere procedimenti penali in corso. Devono inoltre dimostrare con i certificati di avere fedina penale pulita".
Interpellato sul 'ritardo' rispetto al codice varato qualche anno fa da Confindustria Sicilia, Guerrini ha risposto: "Prima d'ora in Sicilia non c'era un gruppo dirigente sensibile. Oggi la rappresentanza siciliana guidata dal presidente regionale Filippo Ribisi è credibile". "La vera novità del codice sta nel voler fornire un esempio alla pubblica amministrazione e alla classe politica regionale - ha detto Ribisi -, non è possibile che oggi siamo rappresentati da un parlamento regionale composto da 27 indagati su 90. La politica e le pubbliche amministrazioni si devono dotare di un codice etico".
"Affermare che è illegale subire l'imposizione del pizzo - ha detto il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo - è un atto di forte eticità". "Siamo lieti che questi esempi partano dalla Sicilia - ha aggiunto Roberto Bertola, presidente commissione Abi Sicilia - per portare altrove una sensibilità al fenomeno mafioso che è ancora sottovalutata". "Alcuni anni fa ho denunciato i miei estortori - ha detto Valeria Grasso imprenditrice palermitana che vive sotto scorta - Che ora sono stati arrestati, ma dal carcere hanno continuato a creare problemi nel lavoro e nel maggio scorso sono stata portata in una località protetta. Al ministro Cancellieri e al nuovo governo chiediamo di essere pronti ad accogliere le richieste di aiuto lanciate dagli imprenditori. E' importante far capire che a differenza di prima non vale più il principio malsano per cui pagare il pizzo costituisce il rischio minore".
Alleanza Casalesi-mafia per il monopolio nei trasporti
Una ditta vicina alla Camorra aveva la possibilità di vendere i prodotti ortofrutticoli provenienti dalla Sicilia in regime esclusivo sui mercati campani e del basso Lazio. Arrestato un “elemento” del clan dei Casalesi e della famiglia Riina-Messina Denaro segnalato nell'ambito della protesta dei "forconi" in Sicilia
CASERTA. La squadra mobile di Caserta e il Centro Operativo Dia di Roma hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di elementi di spicco del clan dei Casalesi-gruppo Schiavone e della famiglia mafiosa Riina-Messina Denaro. I reati contestati sono associazione mafiosa, illecita concorrenza, intestazione fittizia di beni e traffico di armi. Tra i destinatari delle misure restrittive figurano Nicola Schiavone, figlio di Francesco, soprannominato "Sandokan", capo indiscusso dei Casalesi, e Gaetano Riina, fratello di Salvatore, capo dei capi di Cosa Nostra. Le indagini hanno evidenziato la strategica alleanza conclusa tra la camorra casertana ed imprenditori siciliani organici alla cosca Riina-Messina Denaro, al fine di conquistare il controllo monopolistico dei trasporti su gomma e della commercializzazione all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli sull'asse Sicilia-Campania-Lazio, sulle tratte da e per i mercati dell'isola verso quelli campani e verso lo strategico mercato di Fondi (Latina).
MONOPOLIO NEI TRASPORTI. Secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile di Caserta e del centro operativo Dia di Roma, coordinate dalla Procura Antimafia di Napoli, il clan dei Casalesi, in cambio del monopolio dei trasporti in favore di una ditta appartenente a elementi di vertice dell'organizzazione, garantivano a imprenditori del commercio all'ingrosso organici alla mafia, la possibilità di vendere i prodotti ortofrutticoli provenienti dalla Sicilia in regime esclusivo sui mercati campani e del basso Lazio, profondamente condizionati attraverso la forza di intimidazione della camorra.
Svelato anche un ingente traffico di armi, acquistate nell'Est Europa dai Casalesi, realizzato utilizzando gli autotreni delle imprese di trasporto controllate e gestite dalle organizzazioni camorristiche.
IN ORDINANZE ANCHE ELEMENTO SEGNALATO PROTESTA DEI FORCONI. Secondo quanto si è appreso uno dei sei destinatari delle ordinanze eseguite stamani nei confronti di elementi del clan dei Casalesi e della famiglia mafiosa Riina-Messina Denaro sarebbe stato segnalato nell'ambito della protesta dei "forconi" in Sicilia. Nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, aveva lanciato l'allarme sull'infiltrazione di elementi legati alla criminalità organizzata nel movimento agricolo dei "Forconi".
CASERTA. La squadra mobile di Caserta e il Centro Operativo Dia di Roma hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di elementi di spicco del clan dei Casalesi-gruppo Schiavone e della famiglia mafiosa Riina-Messina Denaro. I reati contestati sono associazione mafiosa, illecita concorrenza, intestazione fittizia di beni e traffico di armi. Tra i destinatari delle misure restrittive figurano Nicola Schiavone, figlio di Francesco, soprannominato "Sandokan", capo indiscusso dei Casalesi, e Gaetano Riina, fratello di Salvatore, capo dei capi di Cosa Nostra. Le indagini hanno evidenziato la strategica alleanza conclusa tra la camorra casertana ed imprenditori siciliani organici alla cosca Riina-Messina Denaro, al fine di conquistare il controllo monopolistico dei trasporti su gomma e della commercializzazione all'ingrosso di prodotti ortofrutticoli sull'asse Sicilia-Campania-Lazio, sulle tratte da e per i mercati dell'isola verso quelli campani e verso lo strategico mercato di Fondi (Latina).
MONOPOLIO NEI TRASPORTI. Secondo quanto emerso dalle indagini della squadra mobile di Caserta e del centro operativo Dia di Roma, coordinate dalla Procura Antimafia di Napoli, il clan dei Casalesi, in cambio del monopolio dei trasporti in favore di una ditta appartenente a elementi di vertice dell'organizzazione, garantivano a imprenditori del commercio all'ingrosso organici alla mafia, la possibilità di vendere i prodotti ortofrutticoli provenienti dalla Sicilia in regime esclusivo sui mercati campani e del basso Lazio, profondamente condizionati attraverso la forza di intimidazione della camorra.
Svelato anche un ingente traffico di armi, acquistate nell'Est Europa dai Casalesi, realizzato utilizzando gli autotreni delle imprese di trasporto controllate e gestite dalle organizzazioni camorristiche.
IN ORDINANZE ANCHE ELEMENTO SEGNALATO PROTESTA DEI FORCONI. Secondo quanto si è appreso uno dei sei destinatari delle ordinanze eseguite stamani nei confronti di elementi del clan dei Casalesi e della famiglia mafiosa Riina-Messina Denaro sarebbe stato segnalato nell'ambito della protesta dei "forconi" in Sicilia. Nei giorni scorsi il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, aveva lanciato l'allarme sull'infiltrazione di elementi legati alla criminalità organizzata nel movimento agricolo dei "Forconi".
Guerra di mafia a Catania, 11 fermi
I carabinieri del Ros hanno sventato una azione di fuoco già pianificata e riconducibile a tensioni nella famiglia etnea, tra la componente dei Mirabile e quella di Giuseppe Ercolano e Benedetto Santapaola
CATANIA. Carabinieri del Ros di Catania hanno fermato undici indagati per associazione mafiosa che apparterrebbero a due gruppi dello stesso clan che stavano per dare vita a una nuova sanguinosa guerra criminale. I provvedimenti sono stati emessi dalla Dda della Procura catanese.
Al centro delle indagini dinamiche interne a Cosa nostra etnea, con particolare riferimento ad imminenti azioni di fuoco già pianificate e riconducibili a tensioni nella 'famiglia' di Catania, tra la componente dei Mirabile e quella di Giuseppe Ercolano e Benedetto Santapaola.
I fermati durante l'operazione, denominata 'Efesto', sono Antonino Santapaola, figlio del boss detenuto Benedetto; i fratelli Francesco, Carmelo e Pietro Mirabile, figli dell'ergastolano Giuseppe Mirabile; il nipote di quest'ultimo, Paolo Mirabile, e Michele Schillaci, Salvatore Guglielmino, Daniele Nizza, Lorenzo Saitta, Roberto Vacante e Angelo Mirabile.
CATANIA. Carabinieri del Ros di Catania hanno fermato undici indagati per associazione mafiosa che apparterrebbero a due gruppi dello stesso clan che stavano per dare vita a una nuova sanguinosa guerra criminale. I provvedimenti sono stati emessi dalla Dda della Procura catanese.
Al centro delle indagini dinamiche interne a Cosa nostra etnea, con particolare riferimento ad imminenti azioni di fuoco già pianificate e riconducibili a tensioni nella 'famiglia' di Catania, tra la componente dei Mirabile e quella di Giuseppe Ercolano e Benedetto Santapaola.
I fermati durante l'operazione, denominata 'Efesto', sono Antonino Santapaola, figlio del boss detenuto Benedetto; i fratelli Francesco, Carmelo e Pietro Mirabile, figli dell'ergastolano Giuseppe Mirabile; il nipote di quest'ultimo, Paolo Mirabile, e Michele Schillaci, Salvatore Guglielmino, Daniele Nizza, Lorenzo Saitta, Roberto Vacante e Angelo Mirabile.
Pedopornografia online, da Palermo parte il blitz: sei arresti
Perquisizioni in tredici regioni d’Italia: altre 25 persone denunciate. Dalle analisi dei file illeciti acquisiti la polizia postale spera di poter identificare i minori coinvolti e abusati
PALERMO. E' in corso, in tutta Italia, una operazione della polizia postale di Palermo con la supervisione del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma contro la pedopornografia online, che ha già portato a sei arresti e una trentina di denunce per detenzione di materiale pedopornografico.
Alcune centinaia di uomini e donne della Polizia di Stato hanno eseguito fin dall'alba una trentina di perquisizioni in 13 regioni: Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia, Toscana, Veneto e Puglia.
Durante le perquisizioni sono stati rinvenuti e sequestrati numerosi computer, cellulari, video-camere, macchine-fotografiche e migliaia di supporti informatici ritenuti particolarmente utili per il prosieguo delle indagini: dalle analisi dei file illeciti acquisiti, infatti, la polizia spera di poter identificare i minori coinvolti e abusati.
L'operazione della Polizia Postale palermitana rappresenta il frutto di una complessa indagine durata un anno e mezzo, ed alla quale è stato dato il nome di "Fabulinus", una divinità romana protettrice dei bambini, attraverso la quale gli specialisti della "Postale" hanno individuato una rete di soggetti che, tramite il network eDonkey e il programma emule (software applicativo "open source", conosciuto in tutto il mondo), diffondevano e scaricavano materiale pedopornografico consistente in video ed immagini a carattere sessuale di bambini in tenera età, definiti "raccapriccianti" dagli inquirenti.
PALERMO. E' in corso, in tutta Italia, una operazione della polizia postale di Palermo con la supervisione del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma contro la pedopornografia online, che ha già portato a sei arresti e una trentina di denunce per detenzione di materiale pedopornografico.
Alcune centinaia di uomini e donne della Polizia di Stato hanno eseguito fin dall'alba una trentina di perquisizioni in 13 regioni: Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sicilia, Toscana, Veneto e Puglia.
Durante le perquisizioni sono stati rinvenuti e sequestrati numerosi computer, cellulari, video-camere, macchine-fotografiche e migliaia di supporti informatici ritenuti particolarmente utili per il prosieguo delle indagini: dalle analisi dei file illeciti acquisiti, infatti, la polizia spera di poter identificare i minori coinvolti e abusati.
L'operazione della Polizia Postale palermitana rappresenta il frutto di una complessa indagine durata un anno e mezzo, ed alla quale è stato dato il nome di "Fabulinus", una divinità romana protettrice dei bambini, attraverso la quale gli specialisti della "Postale" hanno individuato una rete di soggetti che, tramite il network eDonkey e il programma emule (software applicativo "open source", conosciuto in tutto il mondo), diffondevano e scaricavano materiale pedopornografico consistente in video ed immagini a carattere sessuale di bambini in tenera età, definiti "raccapriccianti" dagli inquirenti.
Donna picchia a sangue l'ex convivente poi fugge con l'auto e lo lascia in strada
SALERNO - Ha aggredito l'ex convivente con calci e pugni fino a lasciarlo sanguinante sull'asfalto. La vicenda è accaduta in via delle Calabrie nei pressi del distributore di carburante Esso. La donna, una 33enne di Salerno, si è fatta accompagnare da un amico (che non ha avuto nessun ruolo nell'aggressione lasciandola sul posto dell'appuntamento) e, non appena scorto l'ex convivente, ha iniziato a litigare con lui. I due, a quanto pare, avevano un contenzioso economico in sospeso: dalle parole si è passati ai fatti e la donna ha picchiato a sangue l'uomo lasciandolo a terra.
Poi si è impossessata dell'auto di quest'ultimo, dove c'erano anche il telefono cellulare, soldi e documenti, ed è fuggita via. Alcuni passanti, accortisi delle condizioni dell'uomo, hanno allertato il 118 che ha inviato sul posto un'ambulanza. Trasportato in ospedale, i medici del pronto soccorso hanno riscontrato ferite guaribili in trenta giorni.
Dopo un po' la donna, forse preoccupata della violenza con la quale aveva colpito l'ex convivente, ha raggiunto il San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona per riconsegnare al malcapitato l'autovettura e tutto ciò che c'era all'interno.
Nel frattempo era giunta una pattuglia della sezione Volanti, agli ordini del vicequestore Rossana Trimarco, che ha denunciato la donna a piede libero per esercizio arbitrario delle proprie ragioni e lesioni personali.
La vicenda a livello processuale poteva avere, per la donna, ripercussioni più gravi se quest'ultima si fosse impossessata dell'auto o di qualche oggetto di proprietà dell'ex compagno. La donna, invece, riconsegnando tutto ha dimostrato una sorta di pentimento per l'aggressione messa in atto nei confronti dell'ex convivente. Ora saranno le indagini della polizia a portare alla luce i motivi che hanno indotto la donna a picchiare a sangue la persona che, in passato, era stato il compagno.
Appare probabile che i due abbiano litigato per questioni economiche: sembra che la donna avesse chiesto dei soldi dall'ex convivente (forse la restituzione di un precedente prestito) ma quest'ultimo aveva sempre rifiutato. Fino a mercoledì sera quando con l'appuntamento si sperava di chiarire la situazione in modo pacifico ma non è stato così e la donna, presa da un vero e proprio raptus, ha aggredito con inaudita violenza l'uomo mandandolo in ospedale.
mercoledì 25 gennaio 2012
Tir, corsa alle provviste in tutta Italia gli agricoltori: prezzi del cibo a +200%
I prodotti scarseggiano e si fa largo la speculazione Il governo annuncia la linea dura contro i blocchi dei tir, ma i presidi restano e nei supermercati è corsa alle provviste.
ROMA
Panico d'acquisto delle provviste alimentari. Molti prodotti cominciano a sparire dagli scaffali e la speculazione si sta facendo largo, con prezzi che rispetto a sabato oggi sono aumentati anche del 200% sopratutto per ortaggi, verdure e frutta. Un danno ingente per le famiglie italiane, che in pochi giorni spenderanno il 15-20% in più e per le stesse aziende agricole che non riescono a trasportare le loro produzioni fresche. È l'allarme lanciato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, fortemente preoccupata per uno scenario che rischia di avere effetti deleteri per le tasche ma anche per la salute dei cittadini perché nella corsa all'accaparramento c'è il rischio che si vadano a comprare prodotti, soprattutto quelli trasformati, scaduti.
Frutta e verdura presi d'assalto dagli speculatori. Le zucchine, che poco meno di una settimana fa venivano vendute al dettaglio a 3 euro al chilo, hanno toccato quota 7,50. Stesso discorso per le insalate, passate da 2 euro/kg a 4,30 euro/kg, per le melanzane, da 2,50 euro/kg a 3,50 euro/kg, per i cavolfiori da 1,50 euro/kg a 2,50 euro/kg. Stessa cosa per la frutta di stagione come le arance che sono rincarate del 100% (da 1 euro/kg a 2 euro/kg), le mele da 1,20 euro/kg a 2,10 euro/kg e le pere da 1,30 euro/kg a 2,30 euro/kg. I pochi agricoltori che riescono a trasportate le loro produzione vendono alle stesse quotazione di un mese fa.
Un'altra giornata di stop allo stabilimento Fiat. La fabbrica di Piedimonte San Germano, a Cassino, nel Frusinate resterà ferma oggi per il secondo giorno consecutivo, causa lo sciopero dei tir che sta creando mille disagi nell'intera provincia di Frosinone. Il blocco degli autotrasportatori ha impedito la consegna dei componenti provocando il fermo delle linee di produzione. Anche oggi, dunque, i 3900 lavoratori restano a casa. Oltre alla fabbrica di Piedimonte San Germano si annunciano, di conseguenza, nuovi stop in molte fabbriche dell'indotto.
Coldiretti: frutta gratis contro gli speculatori. Da Roma (piazzale Flaminio e Pointe Lungo) a Bologna, ma anche a Catania e Milano. La Coldiretti ha distribuito gratis diversi quintali di frutta e verdura contro gli speculatori. «Il blocco dei tir ha già causato un danno un centinaio di milioni di danno ai nostri agricoltori - dice il presidente Coldiretti Sergio Marini - Abbiamo pensato che proprio in questo momento di difficoltà è meglio regalarlo, il prodotto, che gettarlo. Un modo per darsi una mano tra di noi, per avvicinare l’agricoltura alla gente, per dare una mano alle famiglie più bisognose. Auspichiamo che il blocco possa interrompersi oggi».
Roma: i taxi si riforniscono nei depositi dell’Atac. Taxi fermo ma questa volta per mancanza di benzina. Il Campidoglio metterà a disposizione da domani 26 gennaio le pompe nei depositi dell’Atac di Grottarossa e Magliana, dalle ore 9.30 alle ore 13.30 e dalle ore 15 alle ore 19.
Benzina a Napoli: riforniti 70 distributori, autobotti scortate. Sono 70 i distributori di benzina già riforniti in provincia di Napoli. Il piano di rifornimento è stato disposto dal prefetto di Napoli che ha previsto anche un piano di scorta delle autobotti da parte delle forze dell’ordine. Secondo quanto si apprende il piano proseguirà anche nelle prossime ore.
Coop Adriatica: ripresi rifornimenti regolari. Dopo i ritardi degli ultimi giorni nella consegna delle merci, sono ripresi la notte scorsa i rifornimenti regolari in ipercoop e supermercati di Coop Adriatica: 171 punti tra Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Abruzzo. Sono disponibili tutti i prodotti confezionati, gli alimentari freschi, la carne e latticini, mentre è meno completo l’assortimento di frutta e verdura. Si registra però un calo di circa il 20% delle forniture.
Sbloccate completamente le barriere A21 e A30. Migliora la situazione della viabilità con la completa fruibilità sia della barriera autostradale di Villanova d’Asti (autostrada A21 Torino-Piacenza-Brescia nei pressi di Torino) sia della barriera di Mercato San Severino (autostrada A30 Caserta-Salerno nei pressi di Salerno). Sulla viabilità ordinaria sono ancora presenti in alcuni punti manifestanti che, ad eccezione della SS130 “Cagliari Iglesias” in Sardegna dove il traffico è bloccato al km 36 ed al km 47, non ostacolano la circolazione degli utenti. Sul fronte dei rifornimenti, è in via di miglioramento la situazione delle aree di servizio che avevano segnalato carenza di carburanti. Le forze di polizia sotto il coordinamento delle prefetture locali sono intervenute per favorire, ove necessario, un rapido movimento delle autocisterne per il ripristino dell’erogazione.
ROMA
Panico d'acquisto delle provviste alimentari. Molti prodotti cominciano a sparire dagli scaffali e la speculazione si sta facendo largo, con prezzi che rispetto a sabato oggi sono aumentati anche del 200% sopratutto per ortaggi, verdure e frutta. Un danno ingente per le famiglie italiane, che in pochi giorni spenderanno il 15-20% in più e per le stesse aziende agricole che non riescono a trasportare le loro produzioni fresche. È l'allarme lanciato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, fortemente preoccupata per uno scenario che rischia di avere effetti deleteri per le tasche ma anche per la salute dei cittadini perché nella corsa all'accaparramento c'è il rischio che si vadano a comprare prodotti, soprattutto quelli trasformati, scaduti.
Frutta e verdura presi d'assalto dagli speculatori. Le zucchine, che poco meno di una settimana fa venivano vendute al dettaglio a 3 euro al chilo, hanno toccato quota 7,50. Stesso discorso per le insalate, passate da 2 euro/kg a 4,30 euro/kg, per le melanzane, da 2,50 euro/kg a 3,50 euro/kg, per i cavolfiori da 1,50 euro/kg a 2,50 euro/kg. Stessa cosa per la frutta di stagione come le arance che sono rincarate del 100% (da 1 euro/kg a 2 euro/kg), le mele da 1,20 euro/kg a 2,10 euro/kg e le pere da 1,30 euro/kg a 2,30 euro/kg. I pochi agricoltori che riescono a trasportate le loro produzione vendono alle stesse quotazione di un mese fa.
Un'altra giornata di stop allo stabilimento Fiat. La fabbrica di Piedimonte San Germano, a Cassino, nel Frusinate resterà ferma oggi per il secondo giorno consecutivo, causa lo sciopero dei tir che sta creando mille disagi nell'intera provincia di Frosinone. Il blocco degli autotrasportatori ha impedito la consegna dei componenti provocando il fermo delle linee di produzione. Anche oggi, dunque, i 3900 lavoratori restano a casa. Oltre alla fabbrica di Piedimonte San Germano si annunciano, di conseguenza, nuovi stop in molte fabbriche dell'indotto.
Coldiretti: frutta gratis contro gli speculatori. Da Roma (piazzale Flaminio e Pointe Lungo) a Bologna, ma anche a Catania e Milano. La Coldiretti ha distribuito gratis diversi quintali di frutta e verdura contro gli speculatori. «Il blocco dei tir ha già causato un danno un centinaio di milioni di danno ai nostri agricoltori - dice il presidente Coldiretti Sergio Marini - Abbiamo pensato che proprio in questo momento di difficoltà è meglio regalarlo, il prodotto, che gettarlo. Un modo per darsi una mano tra di noi, per avvicinare l’agricoltura alla gente, per dare una mano alle famiglie più bisognose. Auspichiamo che il blocco possa interrompersi oggi».
Roma: i taxi si riforniscono nei depositi dell’Atac. Taxi fermo ma questa volta per mancanza di benzina. Il Campidoglio metterà a disposizione da domani 26 gennaio le pompe nei depositi dell’Atac di Grottarossa e Magliana, dalle ore 9.30 alle ore 13.30 e dalle ore 15 alle ore 19.
Benzina a Napoli: riforniti 70 distributori, autobotti scortate. Sono 70 i distributori di benzina già riforniti in provincia di Napoli. Il piano di rifornimento è stato disposto dal prefetto di Napoli che ha previsto anche un piano di scorta delle autobotti da parte delle forze dell’ordine. Secondo quanto si apprende il piano proseguirà anche nelle prossime ore.
Coop Adriatica: ripresi rifornimenti regolari. Dopo i ritardi degli ultimi giorni nella consegna delle merci, sono ripresi la notte scorsa i rifornimenti regolari in ipercoop e supermercati di Coop Adriatica: 171 punti tra Emilia-Romagna, Veneto, Marche e Abruzzo. Sono disponibili tutti i prodotti confezionati, gli alimentari freschi, la carne e latticini, mentre è meno completo l’assortimento di frutta e verdura. Si registra però un calo di circa il 20% delle forniture.
Sbloccate completamente le barriere A21 e A30. Migliora la situazione della viabilità con la completa fruibilità sia della barriera autostradale di Villanova d’Asti (autostrada A21 Torino-Piacenza-Brescia nei pressi di Torino) sia della barriera di Mercato San Severino (autostrada A30 Caserta-Salerno nei pressi di Salerno). Sulla viabilità ordinaria sono ancora presenti in alcuni punti manifestanti che, ad eccezione della SS130 “Cagliari Iglesias” in Sardegna dove il traffico è bloccato al km 36 ed al km 47, non ostacolano la circolazione degli utenti. Sul fronte dei rifornimenti, è in via di miglioramento la situazione delle aree di servizio che avevano segnalato carenza di carburanti. Le forze di polizia sotto il coordinamento delle prefetture locali sono intervenute per favorire, ove necessario, un rapido movimento delle autocisterne per il ripristino dell’erogazione.
Maxi risarcimento di un milione di euro chiesto dalla sexy prof
MONTERONI - Maxi risarcimento da un milione di euro per aver diffuso su internet il video che ritrae la sexy prof di Monteroni. Lo ha chiesto ieri davanti al giudice del Tribunale monocratico Fabrizio Malagnino l’avvocato Francesca Conte, che assiste l’insegnante condannata a due anni di reclusione per atti sessuali con minorenni.
Ieri mattina si è aperto il processo che vede come imputati i due giovani che avrebbero diffuso il secondo video ( datato febbraio 2006) su Youtube. Si tratta di Paolo De Nadai, 23enne di Padova, e di Francesco Nazari Fusetti, 24 anni, residente a Dolo, in provincia di Venezia.
Il filmato, che portò il caso della professoressa alla ribalta delle cronache nazionali, ritraeva la docente mentre si lasciava accarezzare il fondoschiena da un suo studente. Immagini che però segnarono irrimediabilmente la vita professionale e privata della docente. Il file finì all’attenzione dell’allora pubblico ministero Maria Cristina Rizzo, che avviò un’inchiesta conclusasi con un patteggiamento nel maggio del 2009. Anche la sua carriera di docente di matematica, però, è stata compromessa. All’epoca dei fatti la prof venne sospesa per due mesi, per poi essere reintegrata dal Tar. Ma nell’ottobre del 2010 il Provveditorato agli studi emise un provvedimento a causa del quale la donna venne estromessa dai ruoli dell’insegnamento. In altre parole, per lei era impossibile tornare dietro una cattedra anche come supplente in tutta la regione. Una decisione contro la quale la professoressa ha proposto appello, che però è stato respinto nel maggio scorso dal giudice della sezione lavoro Mario Benfatto. A breve dovrebbe instaurarsi un nuovo processo per la decisione nel merito.
Tornando alla vicenda, invece, è in corso anche un altro processo in cui un alunno chiede alla prof un risarcimento di 250mila euro.
Operazione «Light in the woods», 30 arresti in manette l'ex sindaco di Gerocarne
I 30 arresti della Squadra Mobile di Catfra, compiuti tra Calabria, Piemonte e Toscana. Svelati secondo gli investigatori, i risvolti di una faida ventennale che ha insanguinato i boschi vibonesi
Con l'operazione della squadra mobile di Catanzaro, sono stati ricostruiti anni di faide ed estorsioni, cambi al vertice delle organizzazioni criminali, ma anche sequestri di persona e omicidi; tutto, passando per il controllo delle amministrazioni pubbliche.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip Tiziana Macrì, riguardano trenta persone, tutte accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, oltre che, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento ed estorsione, reati in materia di armi ed esplosivi, turbativa dei pubblici incanti per gli appalti riferiti al Comune di Gerocarne. Tra gli arrestati infatti, figura anche l’ex sindaco della cittadina in provincia di Vibo Valentia, Michele Altamura, 41 anni, nipote del presunto boss Antonio Altamura, 65 anni, già detenuto.
Le indagini, che hanno coperto un lasso di tempo molto ampio, hanno permesso di ricostruire l’evoluzione della faida nata all’interno del locale di Gerocarne, che controllava anche i centri del comprensorio, con la guerra di mafia che ha interessato le famiglie Maiolo e Loielo, quindi l’ascesa di Bruno Emanuele.
Le indagini sono state incentrate sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, su intercettazioni telefoniche e ambientali: «la storia del locale di Gerocarne – ha detto il procuratore Vincenzo Antonio Lombardo – con continue scissioni all’interno, numerosi omicidi e collegamenti di rilievo con le cosche del Reggino e del Catanzarese». Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione di Mico Oppedisano, storico boss del Reggino, a un funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche gli interessi malavitosi sui sequestri di persona degli anni Novanta. Tra questi, quello di Carlo Celadon, figlio di un noto imprenditore di Vicenza, avvenuto nel 1988, e di un altro imprenditore pugliese di Massafra. I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, ha spiegato il capo della Mobile, Rodolfo Ruperti, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal carcere usufruendo di vari permessi, nel 1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi. L'avvio della faida è stata aggravata anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino ai Loielo, nel tentativo di guadagnare nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del 2002, per il quale lo scorso anno è stato arrestato proprio Emanuele.
In mezzo alla faida, estorsioni, appalti truccati, minacce e tanto altro, tra cui la bomba fatta esplodere sotto l’autovettura dell’allora sindaco di Arena, Giosuele Schinella, a gennaio 2009, reo di non avere concesso un’autorizzazione per l’apertura di una sala giochi ed a cui era interessata la cosca. Per il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, «l'operazione è sintomatica di quello che avviene sul territorio, con la nascita di una 'ndrina che cerca di farsi spazio e che poi entra in fibrillazione».
Soddisfazione è stata espressa, nel corso della conferenza stampa che si è svolta stamani in Questura, dal procuratore generale, Santi Consolo, e dal procurato distrettuale, Vincenzo Antonio Lombardo (nella foto), che si è anche soffermato sul fatto che nelle carte dell’inchiesta «c'è anche traccia di un meeting mafioso tenuto a Serra San Bruno». Per il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, «l'indagine trae origine nella storia della 'ndrangheta Vibonese, dando seguito ad altre operazioni che negli anni hanno permesso di fare piena luce su diversi omicidi di mafia».
MACCARI (COISP): "PLAUSO ALLA POLIZIA DI CATANZARO"
Il Segretario Generale del COISP, Franco Maccari, fino a ieri in Calabria per partecipare a diverse iniziative si è congratulato per l’operazione condotta dalla Squadra Mobile di Catanzaro: “Rivolgo un plauso ai colleghi catanzaresi – dice il Segretario del Sindacato Indipendente di Polizia – per la brillante operazione condotta contro le cosche mafiose delle Pre-Serre Vibonesi, che ha portato in carcere 30 persone accusate di efferati delitti, dagli omicidi alle estorsioni, fino ai sequestri di persona, oltre a colpire alcuni ex amministratori locali accusati di complicità con le cosche nell’assegnazione illecita di appalti pubblici. Le continue e fruttuose operazioni delle Forze dell’Ordine e della magistratura contro la criminalità in Calabria – prosegue Maccari – dimostrano la necessità di tenere alta la guardia e di non cedere nell’attività di contrasto. A fronte dei successi investigativi, purtroppo, registriamo la grave e perdurante situazione di disagio delle Forze dell’Ordine e degli uffici di Procura, cronicamente carenti dei mezzi e delle risorse necessarie per svolgere al meglio il lavoro di indagine. Situazioni denunciate continuamente non soltanto dal Sindacato di Polizia, ma anche dai vertici della Magistratura inquirente.
E' evidente che i risultati vengono ottenuti esclusivamente grazie alla grande professionalità, alla dedizione, allo spirito di sacrificio degli inquirenti, chiamati a combattere una guerra impari contro le cosche mafiose. Ritengo che il governo debba dedicare attenzione prioritaria alle strutture investigative e giudiziarie calabresi, impegnate nella difficile e delicata azione di contrasto alle più pericolose organizzazioni criminali della regione".
Con l'operazione della squadra mobile di Catanzaro, sono stati ricostruiti anni di faide ed estorsioni, cambi al vertice delle organizzazioni criminali, ma anche sequestri di persona e omicidi; tutto, passando per il controllo delle amministrazioni pubbliche.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip Tiziana Macrì, riguardano trenta persone, tutte accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, oltre che, a vario titolo, di omicidio, danneggiamento ed estorsione, reati in materia di armi ed esplosivi, turbativa dei pubblici incanti per gli appalti riferiti al Comune di Gerocarne. Tra gli arrestati infatti, figura anche l’ex sindaco della cittadina in provincia di Vibo Valentia, Michele Altamura, 41 anni, nipote del presunto boss Antonio Altamura, 65 anni, già detenuto.
Le indagini, che hanno coperto un lasso di tempo molto ampio, hanno permesso di ricostruire l’evoluzione della faida nata all’interno del locale di Gerocarne, che controllava anche i centri del comprensorio, con la guerra di mafia che ha interessato le famiglie Maiolo e Loielo, quindi l’ascesa di Bruno Emanuele.
Le indagini sono state incentrate sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, su intercettazioni telefoniche e ambientali: «la storia del locale di Gerocarne – ha detto il procuratore Vincenzo Antonio Lombardo – con continue scissioni all’interno, numerosi omicidi e collegamenti di rilievo con le cosche del Reggino e del Catanzarese». Come dimostrerebbe, tra l’altro, la partecipazione di Mico Oppedisano, storico boss del Reggino, a un funerale di un componente del locale di Gerocarne. Ma tra le carte sono finiti anche gli interessi malavitosi sui sequestri di persona degli anni Novanta. Tra questi, quello di Carlo Celadon, figlio di un noto imprenditore di Vicenza, avvenuto nel 1988, e di un altro imprenditore pugliese di Massafra. I rapporti tra le famiglie Maiolo e Loielo, ha spiegato il capo della Mobile, Rodolfo Ruperti, si sono incrinati quando i fratelli Vincenzo e Giovanni Loielo sono usciti dal carcere usufruendo di vari permessi, nel 1989, chiedendo di avere la loro parte nella gestione degli affari che prima era comune con i Maiolo. A quel punto, è scattato il primo tentato omicidio di uno dei fratelli, seguito dalla latitanza di entrambi. L'avvio della faida è stata aggravata anche dagli interessamenti sempre crescenti di Bruno Emanuele, prima vicino ai Loielo, nel tentativo di guadagnare nuovi spazi. Fino al duplice omicidio dei fratelli Loielo, avvenuto ad aprile del 2002, per il quale lo scorso anno è stato arrestato proprio Emanuele.
In mezzo alla faida, estorsioni, appalti truccati, minacce e tanto altro, tra cui la bomba fatta esplodere sotto l’autovettura dell’allora sindaco di Arena, Giosuele Schinella, a gennaio 2009, reo di non avere concesso un’autorizzazione per l’apertura di una sala giochi ed a cui era interessata la cosca. Per il questore di Catanzaro Vincenzo Roca, «l'operazione è sintomatica di quello che avviene sul territorio, con la nascita di una 'ndrina che cerca di farsi spazio e che poi entra in fibrillazione».
Soddisfazione è stata espressa, nel corso della conferenza stampa che si è svolta stamani in Questura, dal procuratore generale, Santi Consolo, e dal procurato distrettuale, Vincenzo Antonio Lombardo (nella foto), che si è anche soffermato sul fatto che nelle carte dell’inchiesta «c'è anche traccia di un meeting mafioso tenuto a Serra San Bruno». Per il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli, «l'indagine trae origine nella storia della 'ndrangheta Vibonese, dando seguito ad altre operazioni che negli anni hanno permesso di fare piena luce su diversi omicidi di mafia».
MACCARI (COISP): "PLAUSO ALLA POLIZIA DI CATANZARO"
Il Segretario Generale del COISP, Franco Maccari, fino a ieri in Calabria per partecipare a diverse iniziative si è congratulato per l’operazione condotta dalla Squadra Mobile di Catanzaro: “Rivolgo un plauso ai colleghi catanzaresi – dice il Segretario del Sindacato Indipendente di Polizia – per la brillante operazione condotta contro le cosche mafiose delle Pre-Serre Vibonesi, che ha portato in carcere 30 persone accusate di efferati delitti, dagli omicidi alle estorsioni, fino ai sequestri di persona, oltre a colpire alcuni ex amministratori locali accusati di complicità con le cosche nell’assegnazione illecita di appalti pubblici. Le continue e fruttuose operazioni delle Forze dell’Ordine e della magistratura contro la criminalità in Calabria – prosegue Maccari – dimostrano la necessità di tenere alta la guardia e di non cedere nell’attività di contrasto. A fronte dei successi investigativi, purtroppo, registriamo la grave e perdurante situazione di disagio delle Forze dell’Ordine e degli uffici di Procura, cronicamente carenti dei mezzi e delle risorse necessarie per svolgere al meglio il lavoro di indagine. Situazioni denunciate continuamente non soltanto dal Sindacato di Polizia, ma anche dai vertici della Magistratura inquirente.
E' evidente che i risultati vengono ottenuti esclusivamente grazie alla grande professionalità, alla dedizione, allo spirito di sacrificio degli inquirenti, chiamati a combattere una guerra impari contro le cosche mafiose. Ritengo che il governo debba dedicare attenzione prioritaria alle strutture investigative e giudiziarie calabresi, impegnate nella difficile e delicata azione di contrasto alle più pericolose organizzazioni criminali della regione".
Lavello. Addio al celibato con prostitute anche in Calabria, chiusa un'agenzia
Diversi i filmati di incontri con prostitute, dopo le feste di addio al celibato. Chiusa la "Divina Agency" di Lavello (Pz)
Non sarebbero certo felici le mogli se sapessero che il proprio promesso sposo la notte prima delle nozze, ha trascorso una serata veramente "particolare" con una delle tante ragazze che, oltre al solito spogliarello, hanno offerto prestazioni sessuali al "festeggiato". A Lavello, in provincia di Potenza infatti, un’agenzia specializzata nell’organizzazione di spettacoli e soprattutto di addii al celibato – e anche qualche addio al nubilato – avrebbe organizzato e fornito prestazioni extra con giovani prostitute in Basilicata, Calabria, Campania e Puglia. L'agenzia è stata chiusa dai Carabinieri, che hanno notificato anche la misura dell’obbligo di dimora a un uomo e due donne (una delle quali è la titolare stessa dell’agenzia).
I militari, inoltre, hanno sequestrato un computer, materiale pornografico (in diversi filmati si tratta degli incontri delle prostitute, dopo l’addio al celibato), schede telefoniche, bancomat postali per effettuare i pagamenti e sette siti internet attraverso cui era possibile contattare l’agenzia.
Dal luglio dello scorso anno, quando sono cominciate le indagini dei Carabinieri, partite da Lavello a seguito di alcune «voci» sulla reale attività della «Divina agency» e da qualche confidenza di mogli e fidanzate indispettite dal comportamento dei loro partner, i tre indagati hanno organizzato fino a cinque-sei «feste» alla settimana, nelle quattro regioni. Queste feste «regolari» (con tanto di spogliarello) costavano 500 euro: per appartarsi con le prostitute (giovani donne italiane e dei Paesi dell’Est europeo) i clienti pagavano fra 80 e 100 euro.
I militari stanno indagando per chiarire perchè gli incontri con le prostitute sono stati filmati e per fare chiarezza sui documenti sequestrati nella sede dell’agenzia (dove hanno trovato un «registro» con i nomi delle donne che si prostituivano).
L'accusa nei confronti delle tre persone, è di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento, induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
Non sarebbero certo felici le mogli se sapessero che il proprio promesso sposo la notte prima delle nozze, ha trascorso una serata veramente "particolare" con una delle tante ragazze che, oltre al solito spogliarello, hanno offerto prestazioni sessuali al "festeggiato". A Lavello, in provincia di Potenza infatti, un’agenzia specializzata nell’organizzazione di spettacoli e soprattutto di addii al celibato – e anche qualche addio al nubilato – avrebbe organizzato e fornito prestazioni extra con giovani prostitute in Basilicata, Calabria, Campania e Puglia. L'agenzia è stata chiusa dai Carabinieri, che hanno notificato anche la misura dell’obbligo di dimora a un uomo e due donne (una delle quali è la titolare stessa dell’agenzia).
I militari, inoltre, hanno sequestrato un computer, materiale pornografico (in diversi filmati si tratta degli incontri delle prostitute, dopo l’addio al celibato), schede telefoniche, bancomat postali per effettuare i pagamenti e sette siti internet attraverso cui era possibile contattare l’agenzia.
Dal luglio dello scorso anno, quando sono cominciate le indagini dei Carabinieri, partite da Lavello a seguito di alcune «voci» sulla reale attività della «Divina agency» e da qualche confidenza di mogli e fidanzate indispettite dal comportamento dei loro partner, i tre indagati hanno organizzato fino a cinque-sei «feste» alla settimana, nelle quattro regioni. Queste feste «regolari» (con tanto di spogliarello) costavano 500 euro: per appartarsi con le prostitute (giovani donne italiane e dei Paesi dell’Est europeo) i clienti pagavano fra 80 e 100 euro.
I militari stanno indagando per chiarire perchè gli incontri con le prostitute sono stati filmati e per fare chiarezza sui documenti sequestrati nella sede dell’agenzia (dove hanno trovato un «registro» con i nomi delle donne che si prostituivano).
L'accusa nei confronti delle tre persone, è di associazione per delinquere finalizzata al reclutamento, induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
Venticinque euro e ottanta centesimi per tre cappuccini e tre brioche
Conto salato per un turista in un bar-gioielleria, non è la prima volta
Il costo di tre cappuccini e tre brioche in un bar vicino alla stazione di Pisa? Venticinque euro e ottanta centesimi. Troppo, anche per una città turistica come quella toscana. E immaginatevi l'espressione stranita del malcapitato turista spagnolo. Che chiede spiegazioni, immagina che ci sia un errore. Ma il barista è inflessibile: "Nessun errore".
Il cliente allora paga, ma mette in tasca lo scontrino e appena uscito dal bar-gioielleria va dritto dritto dai vigili urbani a mostrare il conto di una colazione troppo salata. Gli agenti, basiti, si recano presso il bar indicato dal turista: all'interno nessuna tabella indica i prezzi delle consumazioni, come prevede la legge. Una mancanza che fa scattare immediatamente una multa di 1000 euro ai danni del titolare, che in passato - hanno poi appurato i vigili - aveva già ricevuto sanzioni per lo stesso motivo.
Del resto, non è la prima volta che i “furbetti del cappuccino” vengono denunciati dai turisti. In passato, un episodio simile era accaduto anche in un bar di Firenze. In quel caso, era stato presentato un conto eccessivo per il gelato: un cono a 27 euro.
Il costo di tre cappuccini e tre brioche in un bar vicino alla stazione di Pisa? Venticinque euro e ottanta centesimi. Troppo, anche per una città turistica come quella toscana. E immaginatevi l'espressione stranita del malcapitato turista spagnolo. Che chiede spiegazioni, immagina che ci sia un errore. Ma il barista è inflessibile: "Nessun errore".
Il cliente allora paga, ma mette in tasca lo scontrino e appena uscito dal bar-gioielleria va dritto dritto dai vigili urbani a mostrare il conto di una colazione troppo salata. Gli agenti, basiti, si recano presso il bar indicato dal turista: all'interno nessuna tabella indica i prezzi delle consumazioni, come prevede la legge. Una mancanza che fa scattare immediatamente una multa di 1000 euro ai danni del titolare, che in passato - hanno poi appurato i vigili - aveva già ricevuto sanzioni per lo stesso motivo.
Del resto, non è la prima volta che i “furbetti del cappuccino” vengono denunciati dai turisti. In passato, un episodio simile era accaduto anche in un bar di Firenze. In quel caso, era stato presentato un conto eccessivo per il gelato: un cono a 27 euro.
martedì 24 gennaio 2012
Droga, blitz contro il clan dei Casamonica vedette come a Scampia
Trentanove arresti, beni sequetrati. Sistema "a pedaggio" per il ritiro delle dosi. Vivevano in ville lussuose
ROMA - Maxi operazione di polizia e carabinieri a Roma contro il clan dei Casamonica: 39 arresti, beni sequestrati da centinaia di uomini del comando provinciale dei carabinieri e della Questura. L'accusa è di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Il quartiere generale del clan era il quartiere Romanina: telecamere, vedette sui tetti per gestire il traffico di droga. Vivevano in ville molto lussuose. Con i soldi della droga acquistavano ville, auto, oro.
Sistema a pedaggio per lo spaccio. Per la distribuzione delle dosi era stato organizzato un vero e proprio sistema "a pedaggio", con check point per pagamento e ritiro dosi, che si articolava su due strade parallele nella zona sud-est della Capitale. Nell'operazione è stato anche effettuato il sequestro di beni.
Al supermarket della droga. Il gruppo aveva costruito una sorta di enclave al quartiere Romanina, tra via Devers e vicolo Barzilai trasformate in un fortino da dove spacciare indisturbati. Lo spaccio era gestito dal clan dei Casamonica e da famiglie collegate, accusati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Il modus operandi era sempre lo stesso e ben collaudato: le strade dove si trovavano le case supermarket venivano ristrette usando delle fioriere in modo da poter controllare gli accessi. Controlli che erano svolti anche da vedette poste sui tetti. Lo spaccio al dettaglio di cocaina e hashish era affidato alle donne.
Acquirenti giovanissimi. Clienti erano giovani tra i 18 e i 25 anni (anche alcuni minorenni) che giungevano non solo dalla Capitale ma dalla provincia, in particolare dalla zona dei Castelli. Gli acquirenti arrivavano in auto davanti alla casa supermarket dove si trovava una donna. Una volta chiesta la dose, il cliente faceva il giro dell'isolato, mentre un'altra donna all'interno dell'abitazione (dove era sempre acceso un caminetto dove gettare la sostanza stupefacente in caso di blitz delle forze dell'ordine) provvedeva a preparare quanto chiesto. Chi era fuori dall'abitazione comunicava con una grata e non aveva la chiave di accesso. Ciò sempre per rallentare l'eventuale accesso di agenti o carabinieri. Gli illeciti guadagni, frutto del traffico di droga, venivano reinvestiti per ulteriori rifornimenti di cocaina ma soprattutto nell'acquisto di immobili, di autovetture di grossa cilindrata e per finanziare la lucrosa attività dell'usura.
Ville di lusso e usura. L'Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro preventivo dei beni riconducibili agli arrestati per cinque milioni di euro complessivamente. Si tratta di beni immobili (ville, terreni, 16 abitazioni), 36 autovetture, 20 orologi di pregio, un borsa piena d'oro, 135mila euro in contanti, 28mila euro in titoli, e conti correnti, depositi bancari e postali.
Vedette e telecamere come a Scampia. Il quartiere romano della Romanina, quartier generale della famiglia dei Casamonica, era stato militarizzato per permettere lo spaccio con un sistema video sorveglianza e vedette sui tetti. In particolare nelle case, spesso sfarzose, il camino era sempre acceso per potersi disfare della droga in caso di arrivo di uomini delle forze dell'ordine.
Centinaia di investigatori impegnati. «Oggi raccogliamo i frutti di indagini complesse che hanno visto impegnati per oltre un anno centinaia di investigatori ai quali rivolgo tutta la mia gratitudine» ha detto il Questore di Roma Francesco Tagliente. Il comandante provinciale dei carabinieri, Maurizio Mezzavilla ha spiegato: «Si tratta di un'operazione particolarmente significativa che colpisce il clan Casamonica, clan storico romano, accusati di gestire il traffico di droga, soprattutto cocaina, anche attraverso donne». «Con gli arresti di oggi - ha affermato il reggente della Procura di Roma Giancarlo Capaldo - abbiamo dato un segnale di efficienza e di volontà a reagire a fenomeni criminali che godono di apparente impunità». Il colonnello Castello ha aggiunto che «abbiamo restituito alla Capitale una fetta di territorio. Oggi gli abitanti erano felici nel vederci operare».
Reazioni politiche. «Plauso alle forze dell'ordine» da parte del sindaco Gianni Alemanno, del presidente della provincia Nicola Zingaretti, del presidente della Regione Renata Polverini. Zingaretti ha invitato a «non abbassare mai la guardia», Alemanno e Polverini hanno ricordato l'impegno delle amministrazioni con il Patto Roma sicura.
Vibo, operazione "Diesel" Scoperta truffa da 9mln di euro
Nell’inchiesta della Procura di Vibo Valentia sono indagate 15 persone. La truffa avrebbe provocato un'evasione fiscale da 9 milioni di euro
Operazione denominata "Diesel", questa mattina, dei militari della Guardia di finanza, che hanno scoperto una truffa sulla vendita del gasolio agevolato che ha provocato una evasione fiscale da 9 milioni di euro. Le indagini hanno consentito di sgominare un’associazione a delinquere dedita al traffico illecito di prodotti petroliferi e di segnalare all’autorità giudiziaria 15 persone. L'operazione «Diesel», condotta del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinata dalla procura della Repubblica di Vibo Valentia nel settore del commercio di gasolio agricolo, ha consentito di fare emergere un sistema criminoso finalizzato a destinare fraudolentemente il prodotto petrolifero, soggetto ad accisa agevolata, ad usi diversi da quelli consentiti.
«In particolare - hanno spiegato il procuratore della Repubblica Mario Spagnuolo ed il sostituto Santi Cotroneo che unitamente ai vertici della Guardia di Finanza hanno tenuto una conferenza stampa (nella foto) – è emerso il ruolo centrale di una importante società catanzarese operante nel settore che, allo scopo di evadere le connesse imposte, ha simulato vendite di gasolio agevolato a soggetti formalmente autorizzati ma, di fatto, non operanti,con sede nell’alto cosentino (Malvito, Spezzano della Sila e San Donato di Ninea) ponendo in essere artificiosamente documentazione fittizia».
Le attività di controllo hanno consentito di appurare che le autocisterne di proprietà della società e di altri operatori economici in realtà scaricavano il prodotto presso aziende compiacenti, ubicate in diverse province calabresi, che non avevano titolo a ricevere e consumare il prodotto petrolifero oggetto di transazione. Nell’ambito dell’operazione dono state sequestrate 20 autocisterne ed una ingente documentazione fiscale. Inoltre, l'organizzazione delinquenziale – secondo l’accusa – si sarebbe resa responsabile di un’evasione fiscale pari a 6 milioni e mezzo di euro di accisa e di circa 2 milioni e mezzo di iva, con un consumo in frode di circa 19 milioni di litri di gasolio agricolo agevolato.
Operazione denominata "Diesel", questa mattina, dei militari della Guardia di finanza, che hanno scoperto una truffa sulla vendita del gasolio agevolato che ha provocato una evasione fiscale da 9 milioni di euro. Le indagini hanno consentito di sgominare un’associazione a delinquere dedita al traffico illecito di prodotti petroliferi e di segnalare all’autorità giudiziaria 15 persone. L'operazione «Diesel», condotta del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinata dalla procura della Repubblica di Vibo Valentia nel settore del commercio di gasolio agricolo, ha consentito di fare emergere un sistema criminoso finalizzato a destinare fraudolentemente il prodotto petrolifero, soggetto ad accisa agevolata, ad usi diversi da quelli consentiti.
«In particolare - hanno spiegato il procuratore della Repubblica Mario Spagnuolo ed il sostituto Santi Cotroneo che unitamente ai vertici della Guardia di Finanza hanno tenuto una conferenza stampa (nella foto) – è emerso il ruolo centrale di una importante società catanzarese operante nel settore che, allo scopo di evadere le connesse imposte, ha simulato vendite di gasolio agevolato a soggetti formalmente autorizzati ma, di fatto, non operanti,con sede nell’alto cosentino (Malvito, Spezzano della Sila e San Donato di Ninea) ponendo in essere artificiosamente documentazione fittizia».
Le attività di controllo hanno consentito di appurare che le autocisterne di proprietà della società e di altri operatori economici in realtà scaricavano il prodotto presso aziende compiacenti, ubicate in diverse province calabresi, che non avevano titolo a ricevere e consumare il prodotto petrolifero oggetto di transazione. Nell’ambito dell’operazione dono state sequestrate 20 autocisterne ed una ingente documentazione fiscale. Inoltre, l'organizzazione delinquenziale – secondo l’accusa – si sarebbe resa responsabile di un’evasione fiscale pari a 6 milioni e mezzo di euro di accisa e di circa 2 milioni e mezzo di iva, con un consumo in frode di circa 19 milioni di litri di gasolio agricolo agevolato.
Favoreggiatori di Gerlandino Messina, due condanne
I processo nei confronti di 4 persone di Favara accusate di aver favorito la latitanza del boss empedoclino. Tre anni e due mesi per Carmelo Bellavia, due anni e quattro mesi per Antonino Costa. Assolte Gerlanda Cutaia e Veronica Costa
AGRIGENTO. Due condanne e due assoluzioni. Il gup del tribunale di Palermo, Ferdinando Nicastro, a conclusione del processo celebratosi con il rito abbreviato, ha emesso la sentenza nei confronti delle quattro persone di Favara accusate d'aver favorito la latitanza del boss empedoclino Gerlandino Messina. Si tratta di Carmelo Bellavia, padre del ventenne Calogero, arrestato con Messina il 23 ottobre del 2010, che è stato condannato a 3 anni e 2 mesi; Antonio Costa, proprietario dell'immobile di via Stati Uniti dove si nascondeva l'ex capo mafia agrigentino, condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Per entrambi è stata esclusa l'aggravante di aver agevolato Cosa nostra. Assolte, invece, le due donne coinvolte nella vicenda: Gerlanda Cutaia, madre di Calogero Bellavia, che era accusata d'aver preparato i pasti per il boss, e la fidanzata del giovane faccendiere, Veronica Costa, ritenuta importante anello di collegamento tra il proprio fidanzato ed il padre. Il pm, Emanuele Ravaglioli, aveva chiesto 3 anni per Bellavia e 2 anni e 6 mesi per gli altri imputati.
AGRIGENTO. Due condanne e due assoluzioni. Il gup del tribunale di Palermo, Ferdinando Nicastro, a conclusione del processo celebratosi con il rito abbreviato, ha emesso la sentenza nei confronti delle quattro persone di Favara accusate d'aver favorito la latitanza del boss empedoclino Gerlandino Messina. Si tratta di Carmelo Bellavia, padre del ventenne Calogero, arrestato con Messina il 23 ottobre del 2010, che è stato condannato a 3 anni e 2 mesi; Antonio Costa, proprietario dell'immobile di via Stati Uniti dove si nascondeva l'ex capo mafia agrigentino, condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Per entrambi è stata esclusa l'aggravante di aver agevolato Cosa nostra. Assolte, invece, le due donne coinvolte nella vicenda: Gerlanda Cutaia, madre di Calogero Bellavia, che era accusata d'aver preparato i pasti per il boss, e la fidanzata del giovane faccendiere, Veronica Costa, ritenuta importante anello di collegamento tra il proprio fidanzato ed il padre. Il pm, Emanuele Ravaglioli, aveva chiesto 3 anni per Bellavia e 2 anni e 6 mesi per gli altri imputati.
Lecce, torna ubriaco e uccide il figlio col coltello da cucina
GUAGNANO - Un fendente al costato e l’ennesima lite in famiglia si trasforma in tragedia. E un padre diventa assassino. Giovanni Caretto, di 33 anni, è morto in un lago di sangue sul pavimento della stanza da letto. Il padre, Enzo, di 70 anni, forse ancora annebbiato dall’alcol di cui era spesso schiavo, si è ritirato in cucina e lì lo hanno arresttato i carabinieri del paese.
La lite, l’ennesima, in una famiglia provata oltremodo dalla vita, sì è consumata nella tarda serata in un modesto appartamento delle case popolari di via Carlo Alberto Dalla Chiesa, una traversa della strada per San Pancrazio Salentino.
Stando alle prime informazioni raccolte, il teatro della tragedia sarebbe stata la camera da letto. Enzo Caretto, ex operaio dell’allora Fiat Hitaci stava litigando ad alta voce con la moglie, pensionata disabile. Il figlio Enzo, dipendente della multisala di Surbo, che dormiva nella stanza accanto, è intervenuto per riportare la calma. Ma il padre, travolto dall’ira, lo ha colpito poco sotto l’ascella. Un colpo solo, violentissimo, che dovrebbe aver perforato il polmone. La morte, per dissanguamento, è giunta nel volgere di pochi istanti.
Una scena terrificante. La madre Anna Martena , di 68 anni, ha immediatamente informato i carabinieri del paese che, agli ordini del maresciallo Matteo De Luca sono immediatamente giunti sul posto. Enzo Caretto è stato bloccato e trasferito a bordo di un’auto di servizio, che più tardi lo ha condotto all’ospedale di Copertino. Lì il pensionato è stato sottoposto ad alcuni accertamenti per stabilirne le condizioni fisiche e mentali.
Nel frattempo, nell’abitazione sono confluiti gli specialisti dell’Arma e gli ufficiali: il maggiore Saverio Lombardi, il capitano Simone Puglisi e il tenente Giovanni Carlo Porta. Più tardi è intervenuto anche il medico legale.
Sotto choc, manco a dirlo, Anna Martena e la figlia, invalida civile, che vive in famiglia.
Una famiglia, provata, si diceva, seguita dai Servizi sociali del Comune, in cui le liti erano all’ordine del giorno.
Linda Cappello
Salento, blitz anti-mafia arrestati 49 affiliati Scu
LECCE – Agenti della Squadra Mobile di Lecce stanno eseguendo una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 49 presunti affiliati alla Sacra Corona unita che avrebbero operato nelle province di Lecce e Brindisi. I destinatari del provvedimento, tra i quali anche una donna, sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, tentata estorsione e tentata rapina.
L'operazione, denominata Cinemastore, è scattata dopo tre anni di indagini, che presero il via nel 2009 in seguito ad un attentato ad una videoteca di Lecce. L’inchiesta ha riguardato anche un omicidio, quello di Antonio Giannone. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati tre chilogrammi di cocaina e due chili di hascisc.
La presunta organizzazione criminale, sgominata dalla Squadra mobile di Lecce, faceva capo a Pasquale Briganti, di 43 anni, e ai fratelli Giuseppe e Roberto Nisi, di 52 e 60 anni. Secondo gli investigatori, il gruppo, per esercitare il controllo sul territorio di Lecce e comuni limitrofi e gestire le attività illecite (produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, tentata rapina, tentata estorsione, riciclaggio e detenzione di armi comune da sparo), si sarebbe avvalso della forza d’intimidazione degli affiliati e del regime di omertà al suo interno.
Dall’attività investigativa è emerso che Briganti ricopriva il ruolo di responsabile dell’organizzazione. A lui gli affiliati avrebbero fatto riferimento anche per risolvere eventuali controversie interne e garantire il rispetto delle regole imposte dall’affiliazione. Giuseppe e Roberto Nisi, al pari di Briganti, avrebbero assunto su Lecce il controllo delle attività illecite, in particolare il traffico di sostanze stupefacenti, la riscossione forzata dei crediti, la gestione del gioco d’azzardo, le estorsioni e la riscossione del cosiddetto 'puntò, ossia una tangente sul commercio della droga. Questa riguardava soggetti non inseriti nell’organizzazione, ma che erano tenuti al pagamento di una tassa nei confronti dell’organizzazione detentrice del controllo del territorio. Nell’ambito dell’inchiesta sono stati acquisiti gravi indizi anche sulla esistenza di legami tra il gruppo leccese e la criminalità organizzata brindisina.
Beni per un milione sottratti dalla Dia nell'Agrigentino
Il provvedimento riguarda in particolare la confisca di proprietà riconducibili all'imprenditore Biagio Smeraglia, di Ribera, e il sequestro di quelli nella disponibilità di Pasquale Alaimo di Favara
PALERMO. La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento, ha sottratto un patrimonio alla mafia agrigentina per un valore di oltre un milione di euro. Il provvedimento, emesso dal tribunale di Agrigento su proposta della Dda di Palermo, riguarda in particolare la confisca dei beni riconducibili all'imprenditore BIAGIO SMERAGLIA, 49 anni, di Ribera, e il sequestro di quelli nella disponibilità di PASQUALE ALAIMO, 43 anni, di Favara.
I due imprenditori sono ritenuti vicini alle cosche mafiose agrigentine: il primo alla "famiglia" Capizzi di Ribera; il secondo a quella di Favara detta "code piatte". Alaimo, indicato come favoreggiatore di alcuni boss mafiosi latitanti poi catturati, come Giuseppe Falsone e Maurizio Di Gati, è attualmente dopo essere stato condannato a 13 anni di reclusione dalla Corte d'Appello di Palermo.
Tra i beni colpiti dai provvedimenti della magistratura vi sono immobili, conti correnti, veicoli, polizze assicurative, quote di società ed altro. L'operazione è stata coordinata dal centro operativo della Dia di Palermo, diretto dal colonnello Giuseppe D'Agata.
PALERMO. La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento, ha sottratto un patrimonio alla mafia agrigentina per un valore di oltre un milione di euro. Il provvedimento, emesso dal tribunale di Agrigento su proposta della Dda di Palermo, riguarda in particolare la confisca dei beni riconducibili all'imprenditore BIAGIO SMERAGLIA, 49 anni, di Ribera, e il sequestro di quelli nella disponibilità di PASQUALE ALAIMO, 43 anni, di Favara.
I due imprenditori sono ritenuti vicini alle cosche mafiose agrigentine: il primo alla "famiglia" Capizzi di Ribera; il secondo a quella di Favara detta "code piatte". Alaimo, indicato come favoreggiatore di alcuni boss mafiosi latitanti poi catturati, come Giuseppe Falsone e Maurizio Di Gati, è attualmente dopo essere stato condannato a 13 anni di reclusione dalla Corte d'Appello di Palermo.
Tra i beni colpiti dai provvedimenti della magistratura vi sono immobili, conti correnti, veicoli, polizze assicurative, quote di società ed altro. L'operazione è stata coordinata dal centro operativo della Dia di Palermo, diretto dal colonnello Giuseppe D'Agata.
lunedì 23 gennaio 2012
Sposa sexy moda Berlino
Una sposa sexy in passerella alla settimana della moda di Berlino dove lo stilista Kaviar Gauche ha osato oltre ogni limite. Coperta solo da un lungo velo, la modella indossava solo la lingerie in un gioco provocante di nude look. Unico vezzo provocante dello stilista che per gli altri abiti ha scelto delle linee più tradizionali.
A rendere l’abito ancora più provocante (e assurdo, oseremmo dire) è una striscia di stoffa che ricorda una freccia.
A Foggia sette parenti dell'ex rettore Muscio assunti dall'Università
Striscia la notizia continua il filone parentopoli nelle università pugliesi. Dopo la storia dell'Università di Bari, dove il direttore amministrativo Antonio De Santis, annovera una dozzina di parenti assunti nell'Ateneo barese, stamattina è toccato a Foggia, in particolare all'ex rettore Antonio Muscio (attualmente professore agraria), finito nel mirino dell'inviato del tg satirico, Mingo. Questa volta i parenti sono sette: otto compreso l'ex rettore, appunto.
Al docente, al posto del "quadro di famiglia" consegnato a De Santis, è stato donato una grata con tanti "lucchetti" quanti sonoi parenti assunti, evocando così la tradizione degli innamorati del ponte Milvio a Roma.
Un regalo che testimonia l'attaccamento della famiglia all'Università.
Mingo ha raffreddato il blitz con una battuta simpatica: "Ma la mattina, quando lei arriva all'università, per vedere se ci sono tutti i parenti, fa l'appello?"
L'ex rettore Muscio, dopo aver preso "atto" della ricostruzione dell'albero geneaologico, prima ha cercato di glissare, infine ha "accettato" il dono.
ANTONIO MUSCIO: ex rettore
1 - AURELIA EROLI: moglie
2 - ROSSANA MUSCIO:figlia
3 - ALESSANDRO MUSCIO:figlio
4 - JANINE LAVERSE: nuora
5 - IVAN CINCIONE: genero
6 - PAMELA CINCIONE: sorella del genero
7 - ELIANA EROLI: nipote
News
Patti, 4 medici indagati per la morte di un giornalista
L'inchiesta è nata dall'esposto della moglie di William Castro, 37 anni, deceduto il 25 dicembre scorso nell'ospedale Romeo, dopo essere stato ricoverato d'urgenza per una gastroenterite
MESSINA. Quattro sanitari sono indagati per la morte del giornalista William Castro, 37 anni, deceduto il 25 dicembre scorso nell'ospedale Romeo di Patti (Me) dove era stato trasferito dai medici del nosocomio di S. Agata Militello. L'inchiesta è stata aperta dopo un esposto della moglie di Castro che fu ricoverato d'urgenza per una gastroenterite. La Procura di Patti ha iscritto nel regsitro degli indagati tre medici e un infermiere dell'ospedale di S. Agata Militello.
Molestie sessuali su un sedicenne: parroco condannato a Palermo
Un anno e sei mesi per padre Aldo Nuvola, ex parroco nella chiesa Regina Pacis
PALERMO. Padre Aldo Nuvola, ex parroco nella chiesa Regina Pacis di Palermo, è stato condannato a un anno e sei mesi, pena sospesa, per avere tentato di ottenere prestazioni sessuali da un ragazzo di 16 anni. Secondo il Pm Caterina Malagoli, che aveva chiesto due anni e otto mesi, don Nuvola nel 2008 avrebbe chiesto ripetutamente favori sessuali al garzone di un bar, presentandosi come un professore di filosofia di liceo. E' stato il ragazzo a denunciare le molestie alla polizia. Il prete è stato difeso dagli avvocati Mario Zito e Nino Caleca.
L'inchiesta è nata dall'esposto della moglie di William Castro, 37 anni, deceduto il 25 dicembre scorso nell'ospedale Romeo, dopo essere stato ricoverato d'urgenza per una gastroenterite
MESSINA. Quattro sanitari sono indagati per la morte del giornalista William Castro, 37 anni, deceduto il 25 dicembre scorso nell'ospedale Romeo di Patti (Me) dove era stato trasferito dai medici del nosocomio di S. Agata Militello. L'inchiesta è stata aperta dopo un esposto della moglie di Castro che fu ricoverato d'urgenza per una gastroenterite. La Procura di Patti ha iscritto nel regsitro degli indagati tre medici e un infermiere dell'ospedale di S. Agata Militello.
Molestie sessuali su un sedicenne: parroco condannato a Palermo
Un anno e sei mesi per padre Aldo Nuvola, ex parroco nella chiesa Regina Pacis
PALERMO. Padre Aldo Nuvola, ex parroco nella chiesa Regina Pacis di Palermo, è stato condannato a un anno e sei mesi, pena sospesa, per avere tentato di ottenere prestazioni sessuali da un ragazzo di 16 anni. Secondo il Pm Caterina Malagoli, che aveva chiesto due anni e otto mesi, don Nuvola nel 2008 avrebbe chiesto ripetutamente favori sessuali al garzone di un bar, presentandosi come un professore di filosofia di liceo. E' stato il ragazzo a denunciare le molestie alla polizia. Il prete è stato difeso dagli avvocati Mario Zito e Nino Caleca.
sabato 21 gennaio 2012
Crotone, 19enne muore dopo il cesareo indagate dieci persone
Ieri il decesso della giovane madre, Gessica Rita Spina all'ospedale di Crotone. Una undicesima posizione è al vaglio degli inquirenti
Dieci persone, tra medici ed infermieri dell’ospedale di Crotone, sono indagate per omicidio colposo, nell’inchiesta sulla morte di Jessica Rita Spina, la ragazza di 19 anni morta ieri mattina dopo un parto cesareo. La Procura di Crotone ha deciso di sottoporre ad indagine tutti coloro che hanno avuto in cura la ragazza dal momento del suo ricovero e fino alla morte. Una undicesima posizione è al vaglio degli inquirenti. Intanto questa mattina, gli agenti della squadra mobile di Crotone hanno effettuato l’acquisizione di nuovi documenti nell’ospedale di Crotone dove è stata ricoverata la ragazza.
L’attività investigativa è diretta dal sostituto procuratore Enrico Colagreco e viene seguita personalmente dal Procuratore della Repubblica, Raffaele Mazzotta. La Procura già ieri ha disposto l’acquisizione della cartella clinica e gli agenti della squadra mobile hanno sentito tutti i medici che hanno avuto in cura la ragazza morta. Per consentire la nuova acquisizione dei documenti e la notifica dell’avviso di garanzia ai medici ed infermieri indagati la Procura ha deciso di rinviare a mercoledì mattina lo svolgimento dell’autopsia che sarà svolta dal medico legale dell’Università di Catanzaro, Pietrantonio Ricci.
L'ASP DI CROTONE NOMINA UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL CASO
l'Azienda sanitaria provinciale di Crotone ha nominato una commissione d’inchiesta interna sulla morte della giovane mamma all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone. «In seguito al decesso del paziente Gessica Rita Spina – si legge in una nota firmata dal direttore sanitario dell’ospedale, Angelo Carcea – dopo attenta valutazione della documentazione sanitaria, al momento non sarebbero emerse responsabilità dirette dei sanitari che hanno avuto in carica il paziente. Ulteriori approfondimenti verranno effettuati da una Commissione d’inchiesta interna appositamente costituita».
La commissione, che sarà coordinata dallo stesso Carcea, vedrà la partecipazione di Pasquale Mungari, primario del pronto soccorso e direttore del dipartimento di medicina d’urgenza; ne fanno parte anche Umberto Corapi, dirigente del dipartimento di maternità infantile; Domenico Tedesco, dirigente di medicina legale e Piero Vrenna, dirigente del Sita, che rappresenta gli infermieri.
La nomina di questa commissione è stata preceduta da una riunione con i rappresentanti dei vari reparti del nosocomio interessati al caso, ieri mattina, presso la direzione sanitaria del nosocomio, per fare il punto della situazione. All’incontro in questione ha partecipato anche il direttore sanitario dell’Asp di Crotone, Francesco Paravati.
Sentito in merito, il direttore sanitario Carcea ha sottolineato che «da una prima analisi della documentazione non sembrano emergere responsabilità dirette dei sanitari. Tutti gli esami di laboratorio e strumentali - ha detto ancora Carcea - sono rientrati nella normalità. C’è un’alta probabilità - ha continuato ancora il responsabile sanitario del presidio ospedaliero - che si possa trattare di un caso di embolia polmonare». Un caso, dunque, che per Carcea «non poteva essere prevedibile, come si evidenzia dalla letteratura su casi analoghi».
Ha ribadito, poi, che «da una valutazione sommaria non sembrano essere emerse responsabilità. In ogni caso - ha proseguito Carcea - così come gli inquirenti stanno svolgendo la loro indagini e si sono riservati le conclusioni, anche noi ci, come ospedale, ci riserviamo le conclusioni in base a quello che accerterà la commissione che abbiamo nominato e che indagherà sul caso».
IL MINISTRO BALDUZZI DISPONDE UN'ISPEZIONE AL SAN GIOVANNI DI DIO
Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha disposto un’ispezione urgente presso l’Ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone dopo il decesso della studentessa Gessica Rita Spina, avvenuto ieri dopo il parto cesareo. Gli ispettori, presumibilmente, arriveranno martedì prossimo. Inoltre, lo stesso ministro ha annunciato come di «imminente pubblicazione» le nuove linee guida sul taglio cesareo, per la redazione delle quali era stato incaricato l’Istituto superiore di sanità. Presentando il testo, il ministro Balduzzi rileva che «nel nostro Paese il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto livelli estremamente elevati e, nonostante il problema sia da diversi anni al centro del dibattito politico-sanitario, non si è ancora registrata alcuna significativa inversione di tendenza».
Era stato Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare sugli errori sanitari, a chiedere una relazione sul caso della giovane donna morta a Crotone: «Ancora una volta - scrive Orlando - ci troviamo di fronte ad un parto finito in tragedia. Episodi drammatici come questo ci ricordano che è necessario chiarire se vi siano state eventuali responsabilità personali, ma anche analizzare le possibili criticità che ne hanno favorito il verificarsi. Senza pregiudizio per le indagini in corso – conclude Orlando – abbiamo pertanto chiesto al presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, una dettagliata relazione sul caso».
La Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, attraverso il suo presidente, Ignazio Marino, ha chiesto «al nucleo locale dei carabinieri del Nas di intervenire subito e di acquisire la cartella clinica della paziente, per approfondire il caso.
LA MADRE DELLA GIOVANE, DISTRUTTA DAL DOLORE: "ME L'HANNO AMMAZZATA"
Familiari, compagni di classe, tutti vogliono giustizia. Maria Carolina Scigliano, madre di Gessica (insieme nella foto) la 19enne morta di parto ieri mattina ieri stringeva tra le braccia il piccolo Antonio, che piangeva: «Voglio che paghino - trova così la forza di parlare, nonostante sia distrutta dal dolore - Mia figlia era sana come un pesce. Chiamavo i medici di giorno e notte ma me l'hanno trattata come un cane. Il primario scappava. Era una ragazza piena di vita e adesso è nell'obitorio. Come si può stare zitti?».
All'obitorio i familiari, l'amica del cuore, il fidanzato, un fiume di persone.
Lo zio, Pino Scigliano, presidente dell'associazione Ask, il club delle auto d'epoca che periodicamente sfilano per la città, è durissimo: «Dopo il parto non riusciva ad urinare e abbiamo atteso 24 ore i medici. Gessica aveva un blocco renale e un polmone collassato. Sono disposto a incatenarmi all'ospedale per avere giustizia, non lo faccio solo per Gessica ma per tutte le coppie che vogliono avere un figlio. Hanno distrutto per sempre i sogni di due ragazzi, che avevano comprato culla e passeggino e volevano farsi una vita insieme».
Andrea, il fidanzato, occhi lucidi e piercing: «L'unica cosa che contava era andare a vivere con Gessica. Ho seguito passo dopo passo la gravidanza. Il bimbo sta bene, ma lei è morta. La diagnosi? Non si capisce». La zia Olimpia, moglie di Pino, vigile urbano, è affranta dietro una porta del pronto soccorso: «Dicevano che è tutto normale. Ma non urinava da due giorni. Ho fatto presente agli infermieri che nel catetere c'era sangue. Ma era normale, secondo loro. Poi l'ho vista intubata».
L'amica del cuore, la sua compagna di banco della classe V “B” del liceo Gravina, indirizzo socio-biologico, Paola Scalise, così legata a Gessica che le due sono insieme nella foto del profilo su Facebook: «Noi queste cose le studiamo a scuola, aveva la pressione alta perché non urinava. Gessica era una ragazza così solare, non riesco a credere che sia lì».
La sua prof. di filosofia, Donatella Calvo, spiega che durante i mesi di gravidanza «Gessica ha cercato di frequentare assiduamente perché sapeva che al momento del parto sarebbe mancata. Negli ultimi tempi usciva cinque minuti prima degli altri per non trovarsi nella ressa. Per evitare di accumulare assenze ha cercato di assentarsi soltanto il necessario, giusto i giorni delle analisi, perché con molta determinazione voleva finire l'anno». Che tipo era? «Una ragazza con un grande sorriso che esprimeva una grande voglia di vivere. E aveva una grande passione, quella per gli animali». Lo dimostra il profilo su Fb pieno di link animalisti. E ancora: «una grande personalità, molto spirito critico, idee chiare; studiava con amore quello che le piaceva, magari non tutte le materie». Tutti ora però chiedono l'accertamento della verità.
L’attività investigativa è diretta dal sostituto procuratore Enrico Colagreco e viene seguita personalmente dal Procuratore della Repubblica, Raffaele Mazzotta. La Procura già ieri ha disposto l’acquisizione della cartella clinica e gli agenti della squadra mobile hanno sentito tutti i medici che hanno avuto in cura la ragazza morta. Per consentire la nuova acquisizione dei documenti e la notifica dell’avviso di garanzia ai medici ed infermieri indagati la Procura ha deciso di rinviare a mercoledì mattina lo svolgimento dell’autopsia che sarà svolta dal medico legale dell’Università di Catanzaro, Pietrantonio Ricci.
L'ASP DI CROTONE NOMINA UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SUL CASO
l'Azienda sanitaria provinciale di Crotone ha nominato una commissione d’inchiesta interna sulla morte della giovane mamma all’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone. «In seguito al decesso del paziente Gessica Rita Spina – si legge in una nota firmata dal direttore sanitario dell’ospedale, Angelo Carcea – dopo attenta valutazione della documentazione sanitaria, al momento non sarebbero emerse responsabilità dirette dei sanitari che hanno avuto in carica il paziente. Ulteriori approfondimenti verranno effettuati da una Commissione d’inchiesta interna appositamente costituita».
La commissione, che sarà coordinata dallo stesso Carcea, vedrà la partecipazione di Pasquale Mungari, primario del pronto soccorso e direttore del dipartimento di medicina d’urgenza; ne fanno parte anche Umberto Corapi, dirigente del dipartimento di maternità infantile; Domenico Tedesco, dirigente di medicina legale e Piero Vrenna, dirigente del Sita, che rappresenta gli infermieri.
La nomina di questa commissione è stata preceduta da una riunione con i rappresentanti dei vari reparti del nosocomio interessati al caso, ieri mattina, presso la direzione sanitaria del nosocomio, per fare il punto della situazione. All’incontro in questione ha partecipato anche il direttore sanitario dell’Asp di Crotone, Francesco Paravati.
Sentito in merito, il direttore sanitario Carcea ha sottolineato che «da una prima analisi della documentazione non sembrano emergere responsabilità dirette dei sanitari. Tutti gli esami di laboratorio e strumentali - ha detto ancora Carcea - sono rientrati nella normalità. C’è un’alta probabilità - ha continuato ancora il responsabile sanitario del presidio ospedaliero - che si possa trattare di un caso di embolia polmonare». Un caso, dunque, che per Carcea «non poteva essere prevedibile, come si evidenzia dalla letteratura su casi analoghi».
Ha ribadito, poi, che «da una valutazione sommaria non sembrano essere emerse responsabilità. In ogni caso - ha proseguito Carcea - così come gli inquirenti stanno svolgendo la loro indagini e si sono riservati le conclusioni, anche noi ci, come ospedale, ci riserviamo le conclusioni in base a quello che accerterà la commissione che abbiamo nominato e che indagherà sul caso».
IL MINISTRO BALDUZZI DISPONDE UN'ISPEZIONE AL SAN GIOVANNI DI DIO
Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha disposto un’ispezione urgente presso l’Ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone dopo il decesso della studentessa Gessica Rita Spina, avvenuto ieri dopo il parto cesareo. Gli ispettori, presumibilmente, arriveranno martedì prossimo. Inoltre, lo stesso ministro ha annunciato come di «imminente pubblicazione» le nuove linee guida sul taglio cesareo, per la redazione delle quali era stato incaricato l’Istituto superiore di sanità. Presentando il testo, il ministro Balduzzi rileva che «nel nostro Paese il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto livelli estremamente elevati e, nonostante il problema sia da diversi anni al centro del dibattito politico-sanitario, non si è ancora registrata alcuna significativa inversione di tendenza».
Era stato Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare sugli errori sanitari, a chiedere una relazione sul caso della giovane donna morta a Crotone: «Ancora una volta - scrive Orlando - ci troviamo di fronte ad un parto finito in tragedia. Episodi drammatici come questo ci ricordano che è necessario chiarire se vi siano state eventuali responsabilità personali, ma anche analizzare le possibili criticità che ne hanno favorito il verificarsi. Senza pregiudizio per le indagini in corso – conclude Orlando – abbiamo pertanto chiesto al presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, una dettagliata relazione sul caso».
La Commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, attraverso il suo presidente, Ignazio Marino, ha chiesto «al nucleo locale dei carabinieri del Nas di intervenire subito e di acquisire la cartella clinica della paziente, per approfondire il caso.
LA MADRE DELLA GIOVANE, DISTRUTTA DAL DOLORE: "ME L'HANNO AMMAZZATA"
Familiari, compagni di classe, tutti vogliono giustizia. Maria Carolina Scigliano, madre di Gessica (insieme nella foto) la 19enne morta di parto ieri mattina ieri stringeva tra le braccia il piccolo Antonio, che piangeva: «Voglio che paghino - trova così la forza di parlare, nonostante sia distrutta dal dolore - Mia figlia era sana come un pesce. Chiamavo i medici di giorno e notte ma me l'hanno trattata come un cane. Il primario scappava. Era una ragazza piena di vita e adesso è nell'obitorio. Come si può stare zitti?».
All'obitorio i familiari, l'amica del cuore, il fidanzato, un fiume di persone.
Lo zio, Pino Scigliano, presidente dell'associazione Ask, il club delle auto d'epoca che periodicamente sfilano per la città, è durissimo: «Dopo il parto non riusciva ad urinare e abbiamo atteso 24 ore i medici. Gessica aveva un blocco renale e un polmone collassato. Sono disposto a incatenarmi all'ospedale per avere giustizia, non lo faccio solo per Gessica ma per tutte le coppie che vogliono avere un figlio. Hanno distrutto per sempre i sogni di due ragazzi, che avevano comprato culla e passeggino e volevano farsi una vita insieme».
Andrea, il fidanzato, occhi lucidi e piercing: «L'unica cosa che contava era andare a vivere con Gessica. Ho seguito passo dopo passo la gravidanza. Il bimbo sta bene, ma lei è morta. La diagnosi? Non si capisce». La zia Olimpia, moglie di Pino, vigile urbano, è affranta dietro una porta del pronto soccorso: «Dicevano che è tutto normale. Ma non urinava da due giorni. Ho fatto presente agli infermieri che nel catetere c'era sangue. Ma era normale, secondo loro. Poi l'ho vista intubata».
L'amica del cuore, la sua compagna di banco della classe V “B” del liceo Gravina, indirizzo socio-biologico, Paola Scalise, così legata a Gessica che le due sono insieme nella foto del profilo su Facebook: «Noi queste cose le studiamo a scuola, aveva la pressione alta perché non urinava. Gessica era una ragazza così solare, non riesco a credere che sia lì».
La sua prof. di filosofia, Donatella Calvo, spiega che durante i mesi di gravidanza «Gessica ha cercato di frequentare assiduamente perché sapeva che al momento del parto sarebbe mancata. Negli ultimi tempi usciva cinque minuti prima degli altri per non trovarsi nella ressa. Per evitare di accumulare assenze ha cercato di assentarsi soltanto il necessario, giusto i giorni delle analisi, perché con molta determinazione voleva finire l'anno». Che tipo era? «Una ragazza con un grande sorriso che esprimeva una grande voglia di vivere. E aveva una grande passione, quella per gli animali». Lo dimostra il profilo su Fb pieno di link animalisti. E ancora: «una grande personalità, molto spirito critico, idee chiare; studiava con amore quello che le piaceva, magari non tutte le materie». Tutti ora però chiedono l'accertamento della verità.
Infiltrazioni Mafiose, sciolti i consigli comunali di Briatico e Samo
Con poche righe in coda al comunicato stampa che annuncia i provvedimenti adottati oggi, il Consiglio dei Ministri ha decretato lo scioglimento dei consigli comunali di Briatico e Samo
Poche righe, come del resto accade normalmente in questi casi, posti in coda al comunicato stampa per annunciare i provvedimenti adottati nella seduta odierna, queste le informazioni riservate dal Consiglio dei Ministri che ha decretato lo scioglimento dei consigli comunali di Briatico, in provincia di Vibo Valentia, e Samo, in provincia di Reggio Calabria.
La decisione giunte al termine dell'analisi dell'operato delle commissioni di accesso agli atti per la verifica dell'eventuale esistenza di infiltrazioni della criminalità organizzata che, evidentemente, hanno riscontrato elementi non congruenti e indicativi di un possibile condizionamento dell'operato del consiglio comunale da parte di organizzazioni criminali.
Nell'arco dei prossimi giorni saranno inviati nei due comuni calabresi i commissari straordinari che reggeranno le sorti dei due comuni per i prossimi 18 mesi quando la sospensione del normale sistema democratico di elezione del consiglio comunale verrà rimossa e i cittadini potranno tornare alle urne per eleggere il nuovo sindaco e i nuovi consiglieri comunali.
Poche righe, come del resto accade normalmente in questi casi, posti in coda al comunicato stampa per annunciare i provvedimenti adottati nella seduta odierna, queste le informazioni riservate dal Consiglio dei Ministri che ha decretato lo scioglimento dei consigli comunali di Briatico, in provincia di Vibo Valentia, e Samo, in provincia di Reggio Calabria.
La decisione giunte al termine dell'analisi dell'operato delle commissioni di accesso agli atti per la verifica dell'eventuale esistenza di infiltrazioni della criminalità organizzata che, evidentemente, hanno riscontrato elementi non congruenti e indicativi di un possibile condizionamento dell'operato del consiglio comunale da parte di organizzazioni criminali.
Nell'arco dei prossimi giorni saranno inviati nei due comuni calabresi i commissari straordinari che reggeranno le sorti dei due comuni per i prossimi 18 mesi quando la sospensione del normale sistema democratico di elezione del consiglio comunale verrà rimossa e i cittadini potranno tornare alle urne per eleggere il nuovo sindaco e i nuovi consiglieri comunali.
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