martedì 31 agosto 2010

Gheddafi a Roma minaccia l'Europa


Gheddafi a Roma minaccia l'Europa
"Datemi 5 miliardi o diventerà nera"


Il Colonnello: "Senza soldi non
fermaremo i flussi di immigrati".
Lezione sul Corano alle hostess:
"In Libia le donne più rispettate"

ROMA

Terzo show in due giorni del leader libico Muhammar Gheddafi che si spinge fino a chiedere 5 miliardi di euro all’Unione europea per contrastare una «pericolosa» immigrazione che può far diventare «nera» l’Europa.

È stato un intervento fiume di oltre quaranta minuti quello del colonnello, tutto incentrato sulla pagina del colonialismo e su inquietanti scenari disegnati dall’avanzata dell’immigrazione africana. Un lunghissimo discorso pronunciato di fronte al premier e a una folta delegazione del governo presso la caserma ’Salvo D’Acquistò, teatro delle celebrazioni per il secondo anniversario del Trattato di Amicizia italo-libico. Non appena presa la parola, Gheddafi ha subito fatto presente «i drammi e le sofferenze» subite dal popolo libico a causa dell’invasione italiana, drammi rtuttora presenti tra la popolazione del Paese.

Anche Berlusconi, ha raccontato il Colonnello, si è oggi commosso «al punto di piangere» alla visione delle fotografie «ufficiali» esposte nella mostra inaugurata oggi pomeriggio dai due leader e che documentano la dolorosa pagina del colonialismo italiano. Era un’altra Italia, ha aggiunto Gheddafi. Oggi c’è il Trattato di amicizia e nuove sfide da affrontare insieme, prima fra tutte, quella della «pericolosa» immigrazione africana che spetta alla Libia, «ponte» privilegiato tra l’Africa e l’Europa, contrastare con l’aiuto economico dell’Unione europea. Cinque miliardi di euro è la cifra richiesta da Gheddafi per impedire che «l’Europa - così ha prospettato il colonnello - un domani potrebbe non essere più europea e diventare addirittura nera perchè - ha spiegato - in milioni vogliono venire in Europa».

«Attualmente - ha affermato dipingendo uno scenario fosco - subiamo una immigrazione dall’Africa verso l’Europa ma in questo momento si tratta di una cosa molto pericolosa: non sappiamo che cosa succederà, quale sarà la reazione degli europei bianchi e cristiani di fronte a questo movimento di africani affamati e non istruiti». «Non sappiamo - ha insistito Gheddafi - se l’Europa resterà un continente avanzato e coeso o se si distruggerà come avvenne con le invasioni barbariche». «Dobbiamo immaginare che questo possa succedere - ha sottolineato a sostegno del proposta da lui stesso avanzata - e prima che succeda dobbiamo lavorare insieme, fermare l’immigrazione sulle frontiere libiche». «L’Europa - ha scandito - ci deve ascoltare» mentre tocca all’Italia sostenere in sede europea la richiesta di Gheddafi di fare della Libia l’avamposto chiave nel contrasto all’immigrazione clandestina.

Berlusconi da parte sua ha ricordato come con la stipulazione del Trattato di amicizia fra i due Paesi si sia «voltato pagina» e chiuso per sempre la pagina nera del colonialismo. Gheddafi lo ha più volte lodato menzionando il «grande coraggio» del presidente del Consiglio per le scuse presentate dal premier per il passato coloniale italiano in Libia, «un errore - ha sottolineato il Colonnello - commesso dall’Italia fascista, non dall’Italia». Da qui anche la richiesta avanzata alla comunità internazionale affinchè sia l’Italia ad avere un seggio al consiglio permanente di sicurezza dell’Onu. Un «diritto» dell’Italia, secondo Gheddafi, che ha avuto, al contrario della Germania, la forza e il coraggio di liberarsi da sola del fascismo «impiccando Mussolini per le strade». Nell’Italia di oggi poi, il leader libico, ha incoraggiato ad investire i suoi stessi connazionali che dispongono di risorse economiche e finanziarie.


Lo show di Gheddafi era già iniziato nel pomeriggio con una nuova lezione a 200 ragazze hostess sul Corano. Lezione che ha innescato le dure critiche dei finiani e dell'opposizione. Di fronte alle duecenti giovani arruolate e pagate per scoltarlo, Gheddafi si era esibito in una una vera e propria lezione sulla Libia, dove la donna «è libera ed è più rispettata che in occidente». Alle partecipanti, tutte rigorosamente donne, Gheddafi aveva donato il Corano e il libro Verde della rivoluzione. Ed aveva raccontato che nel Paese da lui guidato da oltre quarant’anni, la donna gode di totale libertà. Anzi, in confronto all’Europa e agli Stati Uniti è più rispettata e non è costretta a lavori «non consoni al suo fisico». Frasi che hanno contribuito ad alimentare le polemiche che hanno accompagnato la visita del "Colonnello" in Italia. Le duecento ragazze, eleganti e non volgari, in gran parte vestite con camicetta bianca e gonna nera, sono uscite dall’incontro soddisfatte. Hanno ascoltato il colonnello per più di un’ora. «Non ha chiesto di convertirci nè ha fatto alcun tentativo per convincerci» ad abbracciare l’Islam, hanno assicurato le ragazze.

News Mafia


News Mafia

Truffe, sequestrati due Bed & Breakfast a CittanovaL’indagine della Guardia di finanza è stata diretta dalla Procura della Repubblica di Palmi

31/08/2010 La Guardia di finanza ha sequestrato a Cittanova due Bed & Breakfast per la realizzazione dei quali sarebbe stata commessa una truffa. Nell’ambito della stessa indagine i finanzieri hanno denunciato in stato di libertà 12 persone, tra le quali la coppia di coniugi titolari dei due bed & breakfast, alcuni parenti ed altre persone fornitrici di beni e servizi.
Per la realizzazione delle strutture turistiche i coniugi denunciati hanno ricevuto dalla Regione Calabria, secondo l'accusa, due contributi di 63 mila e 91 mila euro che avrebbero ottenuto, in diverse tranche, attestando spese risultate false. L’indagine della Guardia di finanza che ha portato al sequestro dei due bed & breakfest ed alle 12 denunce è stata diretta dalla Procura della Repubblica di Palmi.

Ambiente, due arresti a Bianco
per trasporto di rifiuti pericolosiStavano per scaricare un ingente quantitivo di rifiuti speciali pericolosi, ma sono stati bloccati dalle fiamme gialle


31/08/2010 Due persone M.M., di 39 anni, e A.P. di 21, sono state arrestate dalla Guardia di finanza a Bianco con l’accusa di trasporto e conferimento illegale di rifiuti. I due, che sono stati individuati in flagranza di reato mentre trasportavano un ingente quantitivo di rifiuti speciali pericolosi, hanno tentato di disfarsi del carico ma sono stati bloccati dai finanzieri. I riscontri successivi hanno permesso di accertare che M.M. e A.P. erano sprovvisti delle previste autorizzazioni. Giudicati per direttissima, a seguito del patteggiamento, a M.M. è stata irrogata una pena di 9 mesi e 15 mila euro di multa mentre ad A.P. otto mesi e 10 mila euro.


Licata Sindaco

LICATA (AGRIGENTO) - Il sindaco di Licata, Angelo Graci, ha nominato tre nuovi assessori per sostituire altrettanti dimissionari. Si tratta di Ivana Minnella, Paolo Licata e Giuseppe Arnone, quest'ultimo, ex assessore provinciale della giunta provinciale di Eugenio D'Orsi, nominato vicesindaco.

Graci, arrestato nei mesi scorsi per corruzione, dopo aver scontato i domiciliari adesso vive a San Leone, località marina di Agrigento, per via del divieto di dimora imposto dalla magistratura.

Questa mattina il sindaco ha parlato della sua vicenda giudiziaria spiegando di non avere pensato alle dimissioni e di avere la "coscienza pulita. I licatesi - ha detto - devono sapere che non hanno votato un criminale ma una persona per bene".

Il pentito Spatuzza ricorre al Tar

ROMA - I difensori di Gaspare Spatuzza hanno presentato ricorso al Tar contro la delibera della commissione ministeriale che ha bocciato il programma di protezione per il pentito. Lo scrive oggi il Corriere della Sera, aggiungendo che il ricorso è stato depositato sabato nella cancelleria del Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

Secondo i legali del collaboratore di giustizia, Valeria Maffei, Adriano Tolomeo e Sergio Luceri, il presidente della commissione, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, doveva astenersi da ogni pronuncia perchè in precedenza aveva già "bocciato" il collaboratore di giustizia.

Mantovano, aggiungono gli avvocati di Spatuzza, aveva accusato pubblicamente i magistrati di "palese violazione di legge" raccogliendo le dichiarazioni dell'ex mafioso sul conto di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri oltre il limite dei sei mesi dal primo verbale imposto dalla legge.

Mantovano ha firmato il 15 giugno scorso il provvedimento di esclusione di Spatuzza dal programma di protezione, proprio con la motivazione delle accuse fuori tempo massimo.

Palermiti, ucciso tra la folla


Palermiti, ucciso tra la folla
ferito anche il figlio di 10 anni


Meno di una settimana fa l'omicidio plateale in spiaggia, in mezzo ai bagnanti di Soverato mentre la scorsa notte l’agguato, tra la folla di una festa religiosa, a Palermiti

30/08/2010 E' stato ucciso con una pistola silenziata, Rocco Catroppa, di 38 anni. Nell'agguato è rimasto ferito anche il figlio di dieci anni della vittima. Un'altra vittima nella guerra tra le cosche che operano nella fascia jonica al confine tra le province di Catanzaro e Reggio Calabria e la zona delle Serre vibonesi. L’ultimo episodio ha avuto per bersaglio un panettiere di 38 anni di Vallefiorita (centro poco distante), ex sorvegliato speciale e pregiudicato per reati associativi.
Catroppa, che assieme ai suoi familiari dopo il concerto di un gruppo musicale assisteva allo spettacolo di fuochi pirotecnici in onore della Madonna della Luce, è stato assassinato in mezzo alla folla. Il sicario, secondo la ricostruzione degli inquirenti, si sarebbe avvicinato alla vittima sparandogli alla nuca per poi allontanarsi mischiandosi nel fuggi fuggi generale.
Uno dei proiettili diretti a Catroppa, però, ha colpito anche il figlio dell’uomo, un bimbo di soli dieci anni che si trovava vicino a lui. Il piccolo, mentre il padre si è accasciato a terra in una pozza di sangue scatenando il panico tra i presenti, è stato soccorso è trasportato nell’ospedale di Soverato. Sottoposto ad un intervento chirurgico la prognosi non è grave.
Sul luogo dell’agguato i carabinieri della compagnia di Girifalco, assieme agli uomini del comando provinciale dell’Arma e agli investigatori della squadra mobile di Catanzaro. Le indagini sono rivolte in più direzioni anche se, secondo gli investigatori, l’episodio criminale si inserirebbe nello scontro tra cosche, nato sulla scia della cosiddetta faida dei boschi.
In ogni caso, le modalità dell’omicidio confermano l’alto livello dello scontro raggiunto. Sull'omicidio di Catroppa indagherà la Dda di Catanzaro. La faida in atto ha preso inizialmente le mosse dai contrasti intervenuti nei decenni scorsi nella gestione degli interessi sul disboscamento ma nel tempo ha subito una mutazione riguardando più in generale il controllo del territorio e delle attività illecite.
Nell’arco degli ultimi due anni la guerra tra le cosche ha provocato una ventina di omicidi. Il punto più alto, secondo gli inquirenti, è stato l’omicidio di Damiano Vallelunga, di Serra San Bruno (Vv) assassinato il 27 settembre dello scorso anno a Riace (Rc), ma nell’elenco delle ultime vittime c'è anche Giovanni Bruno, di 55 anni, ritenuto il boss di Vallefiorita, lo stesso paese di Catroppa, ucciso lo scorso 16 maggio davanti alla propria abitazione.

domenica 29 agosto 2010

Tentato omicidio nel Ragusano


Tentato omicidio nel Ragusano

Ferito a colpi di arma da fuoco a Vittoria un pregiudicato di 39 anni. I killer gli hanno sparato mentre stava tornando a casa


VITTORIA. Tentato omicidio, la notte scorsa, a Vittoria (Rg). La vittima è un pregiudicato di 39 anni, T.G., ch è stato ferito da alcuni colpi di arma da fuoco che gli hanno spappolato un rene. In quel momento (erano le 2.50 del mattino) l'uomo stava rientrando a casa. Davanti all'uscio, forse, lo attendevano i killer. L'uomo è stato soccorso dai familiari e trasportato in ospedale. Nella notte è stato sottoposto ad intervento chirurgico per l'asportazione del rene e non corre pericolo di vita.
La polizia, avvertita da una telefonata anonima, si è recata in ospedale e poi sul luogo della sparatoria, in via Roberto Battaglia, nel quartiere Forcone. Non ci sono testimoni e l'uomo, finora, non ha potuto essere interrogato dagli inquirenti. I familiari, invece, sono stati sentiti, ma finora non sono emersi particolari. La vittima è un pregiudicato, ha alcuni precedenti per reati contro il patrimonio e contro la persona, è stato anche sorvegliato speciale. Lavora in campagna nel montaggio delle serre.

Gela, scoperta piantagione con telecamere e pc: due arresti


Gela, scoperta piantagione con telecamere e pc: due arresti

In una zona nelle montagne di Riesi trovate più di mille piante coltivate per un potenziale valore di 900 mila euro. In manette due incensurati


GELA. Una piantagione di canapa indiana, dotata di un sistema di videosorveglianza con 5 telecamere e un hard disk che monitoravano tutti i punti di accesso all'area coltivata, è stata scoperta e sequestrata dai carabinieri del reparto territoriale di Gela, in una zona impervia delle montagne di Riesi. Più di mille le piante coltivate, giunte ormai a maturazione, del potenziale valore commerciale di 900 mila euro.

All'alba, i carabinieri hanno fatto scattare il loro blitz approfittato proprio del momento in cui gli addetti alla piantagione avevano abbandonato i monitor per dedicarsi alla raccolta e all'essiccazione del prodotto. Si tratta di due insospettabili incensurati, Daniele Fantauzza, di 28 anni, e Calogero Altovino, di 29, per i quali è scattato l'arresto in flagranza di reato. Sono accusati entrambi di produzione e coltivazione di sostanza stupefacente. Fantauzza disponeva anche di un porto d'armi e di due fucili da caccia, legalmente detenuti, che gli sono stati sequestrati.

Napoli, spacciatori fermati in Tangenziale


Napoli, spacciatori fermati in Tangenziale
Calci e pugni ad agenti per evitare arresto


NAPOLI (29 agosto) - Fermato sulla tangenziale di Napoli da pattuglia motomontata della polizia stradale prima reagisce colpendo con calci e pugni gli agenti e poi cerca di darsi alla fuga insieme al passeggero che viaggiava con lui dopo avergli lanciato un sacchetto contenente eroina e cocaina.


Un 40enne e un 32enne di Battipaglia, Gaetano Bruno e Bruno Falcone, con precedenti penali in materia di sostanze stupefacenti, sono stati arrestati ieri pomeriggio sulla tangenziale di Napoli con l'accusa di detenzione di sostanza stupefacente. I due viaggiavano a bordo di una Lancia Y quando sono stati fermati dalla polizia nei pressi dell'uscita Doganella.

Nei confronti di Falcone pende anche l'accusa di violenza e resistenza a pubblico ufficiale mentre Bruno è stato ritenuto responsabile anche di violazione dell'obbligo del divieto di ritorno nel Comune di Napoli e di guida senza avere conseguito la patente. Nella busta di cellophane recuperata dagli agenti della polizia stradale c'erano 66 cilindretti in plastica contenenti grammi 66 di

La Ue e «l'ergastolo ingiusto per Setola»


La Ue e «l'ergastolo ingiusto per Setola»
Il capo della Polizia: si difenda in Italia
Saviano: serve legge antimafia europea


di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (29 agosto) - Sul ricorso alla Corte europea di Setola si muovono due protagonisti della lotta alla mafia in Italia. In campo, il capo della polizia Antonio Manganelli, uno degli autori del cosiddetto modello Caserta - guerra alla camorra senza soluzione di continuità - e lo scrittore Roberto Saviano, che con il suo «Gomorra» ha il merito di attirare i riflettori sui crimini dei casalesi.

Espressioni differenti, linguaggio diverso, ma contenuti che viaggiano in parallelo: in Italia tutti i cittadini sono garantiti dinanzi alla legge - fa capire Manganelli -, anche chi è accusato di stragi e decine di omicidi.

Se ci sono elementi nuovi da portare in un processo - è il ragionamento del numero uno della polizia -, saranno valutati dall’ordinamento giuridico nazionale e dalle convenzioni internazionali recepite nel nostro paese, ci sarà un nuovo processo e una nuova valutazione. Niente sconti, né verdetti a buon mercato, dunque. Chiara anche la posizione del giornalista scrittore, che chiede dal canto suo sensibilità comune nella lotta alla mafia. Un terreno comunitario fondato sugli stessi cardini giuridici ma anche sulla condivisione delle stesse emergenze.

Per Saviano, il ricorso svolto da Setola contro la giustizia italiana deve far riflettere, deve spingere a ragionare: «Le mafie usano da anni le contraddizioni e i cavilli del diritto europeo per avere vantaggi anche sul piano economico. Basti pensare che in Europa quasi nessuno Stato ha il reato di associazione mafiosa. È il tempo di una giurisprudenza antimafia condivisa altrimenti l’Europa rischia di diventare un’occasione di banchetto per le mafie».

Setola contro l’Italia, il caso resta aperto. Dopo aver incassato una condanna all’ergastolo in via definitiva, Setola sostiene di essere vittima di pregiudizi, tanto da ritenere «aberrante» la sentenza che lo inchioda al primo ergastolo definitivo della sua carriera di detenuto. A cosa punta Setola? Indagato per ben 18 omicidi, perché si affida ai lontani giudici di Strasburgo? Per lanciare messaggi ai suoi - come ipotizza il pm anticamorra Antonello Ardituro - o perché realmente convinto di aver subito un torto?

Spiega al Mattino il capo della polizia Manganelli: «Io credo che al pregiudicato Giuseppe Setola, come a qualsiasi altro cittadino, vadano riconosciuti tutti i diritti previsti dall’ordinamento giuridico nazionale e dalle convenzioni internazionali recepite dal nostro Paese. Per quanto riguarda il caso specifico, peraltro, va sottolineato che il suo ricorso è stato soltanto ricevuto, non anche accolto, dalla Giustizia Europea e che l’approfondimento di una vicenda processuale italiana in un consesso di esperti di tutti i Paesi dell’Unione è comunque un fatto di civiltà giuridica».

Il capo della polizia Manganelli aggiunge: «Nel nostro Paese le sentenze passano in giudicato dopo ben tre gradi di giudizio, che danno le necessarie garanzie all’imputato e a chi lo accusa; le valutazioni della Giustizia Europea difformi dalla sentenza italiana comunque non la modificano; anche dopo la sentenza definitiva che ha stabilito la colpevolezza di un imputato, il nostro ordinamento, di fronte ad elementi nuovi che vengano da lui portati per dimostrare la propria innocenza, prevede che il processo possa essere riaperto. Credo, quindi, che gli imputati abbiano sufficienti garanzie nel nostro sistema, anche quelli che hanno seminato sangue e terrore nella terra dove vivono i veri Casalesi.

Già, perché per Casalesi si devono intendere gli abitanti di una bella cittadina del Casertano, persone oneste e giovani straordinari, da anni assai sensibili ai temi della giustizia e della legalità e non certo i delinquenti parassiti che ne hanno sporcato l’immagine». Chiaro il ragionamento: fare ricorso è un diritto di ogni cittadino, ma in Italia e in Europa i delitti non sempre restano impuniti.

Lite in sala parto, cinque indagati


Lite in sala parto, cinque indagati

Scambi d'accuse tra i medici
Mamma e figlio migliorano

MESSINA

Mentre migliorano le condizioni di salute della puerpera Laura Salpietro, 30 anni, e del figlio uscito dal coma farmacologico indotto dopo due arresti cardiaci, ci sono i primi cinque indagati nell’inchiesta della Procura di Messina che sta valutando se la lite nella sala parto del Policlinico tra due ginecologi abbia determinato un ritardo nel taglio cesareo, come ha denunciato il marito della donna. Per fare il punto sulla vicenda, assieme al direttore generale del nosocomio Giuseppe Pecoraro, che parla di un reparto «con problemi di organizzazione», domani arriverà a Messina il ministro della Salute, Ferruccio Fazio.

Nel registro degli indagati il pm Francesca Rende, che coordina l’inchiesta condotta dai carabinieri, ha iscritto due ginecologi, già sospesi dopo la lite, Antonio De Vivo e Vincenzo Benedetto; il direttore dell’unità operativa di ostetricia e ginecologia, il prof. Domenico Granese, e altri due medici, probabilmente i ginecologi che hanno poi operato la paziente.

Gli investigatori stanno accertando se i due medici che hanno litigato abbiano avuto dissapori anche in passato per gelosie professionali, come riferito da alcuni testimoni. Entrambi i camici bianchi svolgono anche attività privata; in particolare De Vivo, il ginecologo di fiducia che ha seguito Laura Salpietro durante la gravidanza, è titolare di un rinomato laboratorio, attrezzato con apparecchiature all’avanguardia, tra cui una macchina per le ecografie in 3D. L’altro ginecologo, Vincenzo Benedetto, smentisce però i presunti attriti col collega: «Abbiamo entrambi un’attività privata, come consentito dalla legge, e nessuno dei due ha mai interferito sui pazienti dell’altro», assicura il medico.

I Nas, inviati dalla commissione di inchiesta sul servizio sanitario nazionale, e gli ispettori del ministero, oggi hanno acquisito le cartelle cliniche e i documenti sanitari. «I due medici - spiega il primario Granese - hanno litigato perchè il collega più giovane non ha avvertito quello più anziano, facendo l’induzione al travaglio di parto. Poi uno ha spinto l’altro. Si sono comportati come due teste calde».

Dal canto loro i due sanitari si scambiano reciproche accuse. «Non ho aggredito nessuno», si difende il prof. Vincenzo Benedetto, che lancia sospetti sull’altro ginecologo riguardo le procedure adottate sulla paziente e l’uso di un gel «per la stimolazione che con la presenza di patologie può essere nocivo». La lite sarebbe cominciata quando Benedetto, che era di guardia, avrebbe chiesto spiegazioni al collega su quello che stava facendo, avendo notato delle anomalie sulla macchina del cardio-topografo. «A quel punto lui comincia a insultarmi e mi getta una sedia contro, che sbatte sulla scrivania e cade sul pavimento - sostiene Benedetto -. Poi, prima di andare via, dà un pugno alla vetrata e si fa male». Accuse che De Vivo respinge: «Dico soltanto che io in questa vicenda sono parte lesa e sono stato aggredito. Sono tranquillo. Ho piena fiducia nella magistratura, sono convinto che la verità verrà alla luce».

Ma il ministro Fazio ammonisce: «Sono fatti che non devono più accadere. Nella mia lunga carriera medica - dice - non ho mai assistito a un caso del genere». In molti chiedono una reazione severa, alla luce dei problemi di salute della puerpera, alla quale è stato asportato l’utero, e del bimbo che nei prossimi giorni sarà sottoposto a esami per verificare eventuali danni cerebrali. «Lunedì ci sarà una riunione straordinaria con la commissione disciplinare, non sappiamo ancora se i due medici saranno radiati», avverte il presidente dell’Ordine dei medici di Messina, Giacomo Caudo.

Intanto, Leoluca Orlando, presidente della commissione sugli errori sanitari, annuncia che, avuti gli elementi della vicenda, riferirà in Parlamento. I medici del Policlinico però ribadiscono: «Non c’è nesso tra la lite e i problemi di salute dei pazienti»; mentre il marito della donna, Matteo Molonia, chiede giustizia: «Mia moglie - dice - stava bene prima del parto».

Al via il festival dell'antimafia


Al via il festival dell'antimafia

Comincia oggi negli spazi dello splendido «Castello incantato» la proiezione dei documentari

Sabato 28 Agosto 2010 Agrigento

Comincia oggi negli spazi del «Castello incantato» di Sciacca la prima edizione del «Festival del documentario antimafia». E' un'idea di Nico Miraglia, presidente della fondazione intestata al padre Accursio, un modo per tenere viva la memoria dei morti per mano della mafia e per stimolare le autorità a non dimenticare chi è morto servendo lo Stato e non mettere fine alle indagini che nella gran parte dei casi non hanno permesso di individuare i colpevoli. In due giorni, verranno proiettati documentari e cortometraggi dedicati a Ninni Cassarà, Accursio Miraglia, Giuliano Guazzelli, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rosario Livatino, Cesare Terranova, Antonino Saetta, Pio la Torre,Vincenzo Vaccaro Notte, Salvatore Vaccaro Notte, Peppino Impastato e tanti altri. L'iniziativa è proposta con la collaborazione della cooperativa «Agorà», dell'associazione «L'altrasciacca» e del «Movimento 25 aprile». La vita e le opere dei morti di mafia verranno analizzate attraverso dibattiti e confronti, con unico scopo quello di di non distogliere l'attenzione sul fenomeno mafioso e non dimenticare quanti hanno pagato con la loro vita la battaglia costante contro la criminalità organizzata. La fondazione Miraglia sta lavorando per la realizzazione di un dossier con tutti i documenti che serviranno, alle generazioni future, per avere sempre presente i valori della libertà, della democrazia e della Costituzione. «Tutto ciò - afferma il presidente Nico Miraglia - vuole essere un momento di riflessione e di unità di intenti nello stimolare le tante amministrazioni pubbliche che spesso dimenticano le reali difficoltà ed i problemi del nostro popolo». Il programma della prima giornata prevede alle ore 19.30 la presentazione a cura di Lorenzo Malvagio del Club Unisco, del libro «100 per cento sbirro»: è la testimonianza della «vita da sbirro» di un poliziotto della sezione Catturandi della Squadra mobile di Palermo,m con la prefazione di Giancarlo Caselli. Domani, oltre ai documentari, verrà presentato il libro «Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia.», di Giuseppe Casarrubea, nel quale ci si interroga sul ruolo che svolsero i servizi segreti americani nell'Italia degli anni '43-'47, sulle gerarchie vaticane che avrebbero spinto per una svolta antidemocratica in risposta alla minaccia comunista.

sabato 28 agosto 2010

Scontro frontale nel Nisseno, 4 morti e 3 feriti


Scontro frontale nel Nisseno, 4 morti e 3 feriti

Tragico incidente questa mattina lungo la statale che collega Porto Empedocle a Caltanissetta. Tutte agrigentine le vittime. Tra queste anche Giovanni Messina, vice questore aggiunto della polizia stradale di Palermo

CALTANISSETTA. E' di 4 morti e 3 feriti il bilancio provvisorio di un incidente stradale avvenuto alle 2 di questa notte, in contrada Grottarossa, sulla SS 640 Porto Empedocle-Caltanissetta, nel territorio di quest'ultimo comune. Tutte agrigentine le vittime. Tra di loro anche Giovanni Messina, vice questore aggiunto della polizia stradale di Palermo, ed il padre Alfonso, entrambi originari di Castrofilippo, che gli sedeva accanto sulla Peugeot 405 condotta dal dirigente della Polstrada. Le altre vittime, in corso di identificazione, sono Gioacchino Castellana, di 24 anni e Gianpiero Campardo, di 28 anni, di Canicattì e viaggiavano su una Bmw 120.
I feriti sono Antonia Croce moglie di Giovanni Messina e sua madre Melchiorra Furno. C'é anche un'altro ferito di cui non si conosce ancora l'identità.
L'incidente si è verificato in un tratto rettilineo: uno scontro frontale tra i due mezzi di grossa cilindrata con la Bmw 120 su cui viaggiavano quattro persone, tra cui una ragazza. Lo scontro è stato violentissimo e gli occupanti dei posti anteriori sono morti sul colpo. Una quinta vittima è deceduta dopo i primi soccorsi in ospedale. Il traffico nella zona è rimasto bloccato. I mezzi sono stati posti sotto sequestro e rimossi solo dopo le 6 di questa mattina. Gli accertamenti sono stati compiuti della polizia stradale e dei carabinieri di Caltanissetta che hanno eseguito anche prelievo di campione di sangue su tutte le persone coinvolte nel sinistro per accertare l'uso di sostanze stupefacenti o alcoliche.

Sparatoria a Catania: un morto


Agguato a Catania: un morto e due feriti

Una sparatoria nella notte in via delle Medaglie d'Oro. La vittima è un ventunenne incensurato, Luigi Giustolisi. Gli altri sono in ospedale, ma non in pericolo di vita


CATANIA. Un ventunenne è morto e altri due giovani sono rimasti feriti in maniera non grave in una sparatoria avvenuta la notte scorsa in via delle Medaglie d'Oro a Catania. La vittima si chiamava Luigi Giustolisi ed era incensurato. Era su uno scooter insieme a Michele Beninato, di 23 anni, che è riuscito a sfuggire ai due sicari che avevano sparato contro loro due, trovando rifugio nella casa di una persona che gli ha aperto la porta alla quale lui aveva incessantemente bussato chiedendo aiuto.
I due killer hanno creduto di riconoscerlo in una terza persona, completamente estranea alla vicenda, Michele Di Mauro, 30 anni, incensurato che stava rientrando a casa, e gli hanno esploso contro diversi colpi di pistola ferendolo.
I due feriti sono in altrettanti ospedali, al Garibaldi Nuovo e al Vittorio Emanuele, ma non sono in pericolo di vita.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri che stanno cercando di ricostruire le personalità dei due obiettivi dell'agguato: Giustolisi e Beninato. Secondo i primi accertamenti non avrebbero collegamenti con la criminalità e la sparatoria è escluso al momento, che abbia collegamenti con la mafia.

Anche il sindaco di Corigliano indagato nell’inchiesta 'Santa Tecla'


Anche il sindaco di Corigliano indagato nell’inchiesta 'Santa Tecla'

Pasqualina Straface sarebbe indagata nell’ambito dell’inchiesta che ha già portato in carcere i suoi due fratelli Mario e Franco, accusati di forti collusioni con la 'ndrangheta


27/08/2010 Anche Pasqualina Straface, sindaco di Corigliano Calabro (Cosenza), sarebbe indagata nell’ambito dell’inchiesta «Santa Tecla», che ha già portato in carcere i suoi due fratelli Mario e Franco, accusati di forti collusioni con la 'ndrangheta. La notizia si legge oggi su «il Quotidiano della Calabria», che specifica che il sindaco sarebbe stata iscritta nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, insieme ad un altro centinaio di persone. Il tutto nell’ambito di un secondo troncone dell’inchiesta, che riserverebbe molte sorprese. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sta infatti profondamente scavando negli intrecci presunti tra mafia e politica. La Straface – secondo le ipotesi di accusa – avrebbe ricevuto decisi aiuti dalle cosche nelle due ultime competizioni elettorali, come si evincerebbe da alcune intercettazioni e dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. Proprio per questo pomeriggio è previsto a Corigliano Calabro il primo consiglio comunale dopo gli arresti. Il sindaco Pasqualina Straface si è sempre dichiarata estranea alle vicende addebitate ai fratelli e nei giorni scorsi, in una conferenza stampa, ha allontanato qualsiasi ipotesi di dimissioni dall’incarico.

Bomba a Reggio: il fascicolo dell’inchiesta passa alla procura a Catanzaro


Bomba a Reggio: il fascicolo dell’inchiesta passa alla procura a Catanzaro

E' atteso in Procura a Catanzaro il fascicolo dell’inchiesta sulla bomba che nella notte tra mercoledì e giovedì è esplosa davanti alla casa del procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro

27/08/2010 E' atteso per le prossime ore, in Procura a Catanzaro, il fascicolo dell’inchiesta sulla bomba che nella notte tra mercoledì e giovedì è esplosa davanti alla casa del procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro. Del caso si occuperà il procuratore vicario Salvatore Murone, titolare degli altri fascicoli che riguardano magistrati in servizio nella città dello Stretto.
«Abbiamo già preso contatti con la Questura di Reggio Calabria che sta conducendo le indagini – ha detto a «Gazzetta del Sud» il procuratore capo di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo – e appena avremo l’informativa inizieremo e fare il punto della situazione e avvieremo le necessarie attività». Lombardo già nella giornata di ieri è stato a Reggio Calabria. «Ho incontrato il procuratore Di Landro – ha affermato – e sono stato sul luogo dell’esplosione dell’ordigno e mi sono reso conto di quello che è successo. Per quanto ci riguarda procederemo tenendo presente tutto quello che già abbiamo e che riguarda il procuratore Di Landro. Al momento non so se quello che è successo è collegabile ad altri avvenimenti del passato. Quando sarà stilata l’informativa e gli inquirenti ci diranno cosa pensano dell’accaduto e quali fatti sono contenuti nel documento – ha concluso il procuratore Lombardo – vedremo il da farsi».
LE INDAGINI - Elementi utili alle indagini potrebbero venire dal'esame delle tracce di esplosivo trovate sul luogo in cui è stata collocata la bomba. La polizia, che sta svolgendo le indagini, ha confermato che per confezionare l’ordigno collocato davanti il portone dell’edificio in cui abita il magistrato, nel Parco Caserta, è stato utilizzato circa mezzo chilogrammo di tritolo. Il primo elemento che si sta tentando di accertare è se l’esplosivo utilizzato è lo stesso dell’attentato fatto il 3 gennaio scorso contro il palazzo in cui ha sede la Procura generale. Gli artificieri della Polizia di Stato concluderanno a breve i loro accertamenti e riferiranno i risultati alla Squadra mobile. Un altro elemento di comparazione tra i due episodi è rappresentato dalle modalità di esecuzione degli attentati. In questo senso potrebbero rivelarsi utili le riprese effettuate dalla telecamera di un negozio ubicato poco distante, anche se in una strada diversa, dal luogo in cui è stato compiuto l'attentato. Nelle immagini, che sono comunque confuse e di difficile decifrazione, si vedono, tra l’altro, due persone con casco che transitano a bordo di una moto. Un elemento che potrebbe essere rilevante ai fini investigativi per il fatto che anche l’attentato del 3 gennaio fu compiuto da due persone che giunsero sul posto su una moto. Nel caso dell’intimidazione ai danni di Di Landro, però, non c'è alcuna certezza che i due individui che nelle immagini si vedono transitare in moto abbiano a che fare con l’episodio.
IL SIT IN - Alcune centinaia di persone ieri hanno voluto testimoniare la loro solidarietà al procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, con un sit-in davanti all’abitazione del magistrato. All’iniziativa, promossa da Libera, hanno partecipato esponenti di varie associazioni. Numerosi i cartelli di solidarietà per il magistrato tra i quali quello di Libera, “La libertà non ha pizzo», e quello di Legambiente, «No allo smog mafioso». Alcuni giovani hanno esposto lo striscione con la scritta «basta isolamento ed indifferenza. Sì ad una Reggio vicina e solidale che non tace». Il procuratore Di Landro è sceso in strada per ringraziare personalmente i partecipanti all’iniziativa ed è stato accolto da un lungo applauso.
LE REAZIONI - «Il livello di intimidazioni si è alzato. C'è una spirale di violenza iniziata otto mesi fa con la bomba alla Procura generale». A dirlo è stato il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, al termine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. «Una violenza iniziata – ha aggiunto – in particolare verso il procuratore Di Landro perchè ha adottato interventi a livello di gestione degli uffici e dell’attività della Procura generale che hanno infastidito e continueranno ad infastidire i gruppi criminali. Adesso dobbiamo valutare se l’attentato della notte scorsa sia da attribuire a un unico gruppo criminale o se c'è un’intesa tra più gruppi. In quest’ultimo caso la vicenda sarebbe più delicata». «Quando c'è un avvicendamento, in qualsiasi ufficio – ha sostenuto Varratta – il nuovo responsabile imposta l’attività come ritiene più opportuno. Probabilmente, visto che la strategia intimidatrice ha un carattere personalistico, bisogna andare a vedere gli atti compiuti da Di Landro, perchè può avere dato fastidio. Un altro elemento di preoccupazione e che desta allarme è quello dei bulloni della sua auto svitati nel parcheggio della Procura. Stiamo già rivedendo il sistema di vigilanza. Di sicuro si è alzato il livello di intimidazione: prima la bomba alla Procura generale, poi la manomissione dell’auto di Di Landro e adesso l’attentato all’abitazione».
«Esprimo tutta la mia piena solidarietà al Procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, per il nuovo e grave atto intimidatorio subito. Le ripetute intimidazioni ai danni della Procura reggina confermano il grande impegno profuso dal Procuratore generale e da quanti sono in prima linea ogni giorno, in una regione difficile, per combattere la 'ndrangheta e tutte le mafie che si annidano sul territorio» ha affermato il vicepresidente del Senato, Domenico Nania.
«Esprimo solidarietà e vicinanza al dottor Di Landro per il vile atto perpetrato ai suoi danni» ha detto il consigliere regionale Santi Zappalà. «Di fronte a questi gesti si resta costernati, sia dal livello dello scontro raggiunto che dalla violenza e dall’ arroganza di soggetti che hanno interessi occulti e che poco hanno a che fare con una città che vuole rialzare la testa e rendersi protagonista del proprio futuro. Nel rinnovare sentimenti di stima al procuratore Di Landro lo invito a proseguire nell’opera fin qui intrapresa cosciente che troverà sempre nelle persone oneste sostegno pieno e convinto».
«Rispetto al gravissimo attentato contro Salvatore Di Landro si ritorna prepotentemente in Calabria ad affrontare il tema della sicurezza. Abbiamo l'esigenza in un territorio particolare come il nostro di avvertire in maniera più incisiva la presenza dello Stato e la sicurezza a coloro i quali operano in tutti quei settori delicati della giustizia e che sono spesso vessati da azioni di questo tipo» han affermato Antonio Castorina, della segreteria nazionale dei Giovani Democratici. «Nel manifestare la totale solidarietà alla magistratura e alle forze dell’ordine riteniamo importante che si professi una cultura alla legalità fin dalle nuove generazioni, perchè solo così possiamo lanciare un segnale di cambiamento,solo così possiamo imprimere nel tessuto sociale il principio per il quale progresso del territorio ed esigenza di legalità siano due binari paralleli che creano ricchezza ed equa distribuzione delle risorse».

giovedì 26 agosto 2010

La Polizia cerca 1600 agenti


Polizia di Stato
26.08.2010
La Polizia cerca 1600 agenti

Il concorso pubblico, per titoli ed esami, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il termine per presentare la domanda scade il 23 settembre


Per il reclutamento di 1.600 allievi agenti della Polizia di Stato è stato pubblicato un concorso sulla IV serie speciale del 24 agosto 2010 della Gazzetta Ufficiale.

Il bando è riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno, o in rafferma annuale che, se in servizio, abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda, almeno sei mesi in tale stato o se collocati in congedo abbiano concluso la ferma di un anno.

C'è tempo fino al 23 settembre 2010 per presentare o spedire, esclusivamente alla questura della provincia di residenza del candidato e tramite il modulo allegato, la domanda di partecipazione al concorso.

Tutte le informazioni in dettaglio sul sito internet della Polizia di Stato

Esplode una bomba sotto casa del procuratore generale di Reggio Calabria


Bomba contro la casa del procuratore
Reggio Calabria, la sfida delle cosche


L'ordigno è esploso nella notte
davanti al portone della casa
di Salvatore Di Landro


REGGIO CALABRIA
Un ordigno è stato fatto esplodere davanti al portone dell’abitazione del procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro. L’esplosione ha mandato in frantumi i vetri delle finestre della casa del magistrato, che abita in un condominio, e di altre abitazioni vicine. Al momento della deflagrazione Di Landro si trovava in casa insieme alla moglie. Nessuno è rimasto ferito. Sul luogo dell’esplosione sono giunti, per le indagini, carabinieri e polizia di Stato, insieme al pm di turno della Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

L’edificio in cui abita Di Landro si affaccia sulla pubblica via e per arrivare al portone, dunque, non bisogna superare alcun cancello. L’esplosione ha provocato danni gravi anche al portone dell’edificio in cui abita Di Landro. Il palazzo, invece, non ha subito danni strutturali. La zona in cui abita il magistrato si chiama Parco Casoria. Nell’edificio davanti al quale è stato fatto esplodere l’ordigno abitano, oltre a quella del magistrato, altre quattro famiglie, ma non c’è alcun dubbio, secondo gli investigatori, che l’intimidazione sia diretta contro il procuratore generale. Secondo quanto è emerso dai primi accertamenti, l’ordigno, collegato ad una miccia a lenta combustione, sarebbe stato confezionato con tritolo.

«Lo Stato è vicino al procuratore generale Di Landro e a tutta la magistratura reggina. Questo ultimo ennesimo vile atto intimidatorio conferma la bontà dell’impegno finora profuso nel contrasto all’ndrangheta, ma ci impone di mantenere alto il livello di guardia». Lo dichiara il ministro della Giustizia Angelino Alfano in merito all’ordigno fatto esplodere davanti al portone dell’abitazione del procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro. «Quanto è accaduto - continua il Guardasigilli - rafforza la determinazione del Governo nel portare avanti la lotta alla criminalità mafiosa, cosa che abbiamo fatto finora adottando provvedimenti sempre più incisivi che ci hanno consentito di raggiungere traguardi prestigiosi. La criminalità, come una bestia ferita è in difficoltà, ma proprio per questo siamo consapevoli di quanto possa essere pericolosa».

Ordigno a base di tritolo. Nell'edificio davanti al quale è stato fatto esplodere l'ordigno abitano, oltre a quella del magistrato, altre quattro famiglie, ma non c'è alcun dubbio, secondo gli investigatori, che l'intimidazione fosse diretta contro il procuratore generale. L'ordigno, collegato ad una miccia a lenta combustione, sarebbe stato confezionato con tritolo.

Vertice in Prefettura. Il prefetto di Reggio Calabria, Luigi Varratta, ha convocato d'urgenza il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sulle indagini relative all'attentato ed esaminare le misure di sicurezza cui è sottoposto attualmente il procuratore generale. L'attentato della scorsa notte segue quello del 3 gennaio scorso contro la sede della Procura generale reggina e una serie di intimidazioni nei confronti dei magistrati di Reggio.

L'intimidazione di giugno. L'attentato contro la casa di Di Landro non rappresenta la prima intimidazione effettuata contro il magistrato. Nello scorso mese di giugno persone non identificate sabotarono l'automobile di servizio di Di Landro, allentando i bulloni di una ruota. La vettura si trovava nel parcheggio del Centro direzionale, dove vengono lasciate le vetture di servizio dei magistrati della Dda e della Procura generale di Reggio Calabria. Un atto che, secondo gli investigatori, avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per il magistrato, oggetto anche successivamente di minacce.

Di Landro: vogliono farmela pagare. «Contro di me, a partire dall'attentato a gennaio contro la Procura generale, c'è stata una tensione malevola e delittuosa crescente, da parte della criminalità organizzata, che si è personalizzata - ha detto Di Landro - Vogliono farmela pagare, evidentemente per il fatto che ho sempre e in ogni circostanza fatto il mio dovere di magistrato».

«E' il culmine di una strategia». «Dall'attentato del tre gennaio - ha aggiunto Di Landro - l'attenzione negativa nei miei confronti è aumentata sempre più fino all'attentato della scorsa notte, che rappresenta il culmine di questa strategia. Evidentemente a qualcuno non sta bene che io abbia sempre agito senza infingimenti e sulla base di quella che ritenevo essere la verità, rispettandola fino in fondo. Sono sempre stato in buona fede e ho sempre agito col massimo scrupolo, pur comprendendo che posso sbagliare anch'io, come tutti, ma sempre in buona fede. Una linea di condotta che ha sempre caratterizzato la mia gestione della Procura generale di Reggio Calabria, di cui ho assunto la guida nel novembre del 2009. Sono grato a quanti, soprattutto colleghi, mi stanno chiamando per esprimermi la loro solidarietà. Il mio cellulare e il mio telefono di casa, da quando si è diffusa la notizia, non smettono un attimo di squillare».

Alfano: lo Stato è vicino alle toghe. «Lo Stato è vicino al procuratore generale Di Landro e a tutta la magistratura reggina - assicura il ministro della Giustizia, Angelino Alfano - Questo ultimo ennesimo vile atto intimidatorio conferma la bontà dell'impegno finora profuso nel contrasto alla 'ndrangheta, ma ci impone di mantenere alto il livello di guardia. Quanto è accaduto rafforza la determinazione del governo nel portare avanti la lotta alla criminalità mafiosa».

Grasso: sfida alle istituzioni. «Questo ennesimo grave episodio si inserisce in una lunga scia di intimidazioni e minacce, iniziata lo scorso tre gennaio, nei confronti della magistratura calabrese tutta - ricorda il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso - Certamente Di Landro rappresenta il più alto vertice della magistratura in Calabria, ma non bisogna dimenticare che sono stati messi proiettili sulle macchine di servizio, sottoposte a vigilanza e posteggiate nel Palazzo di giustizia, di altri magistrati a riprova del fatto che si tratta di un piano di intimidazione generale e allargata. E' in corso una sfida alle istituzioni culminata nel ritrovamento di una macchina con armi durante la visita a Reggio Calabria del presidente della
Repubblica. Da una prima valutazione complessiva si può ipotizzare che, oltre all'attacco personalizzato a Di Landro, la criminalità organizzata stia tentando di creare un clima generalizzato di intimidazione nei confronti di tutti i magistrati inquirenti e giudicanti che operano in Calabria».

News Mafia


News Mafia

Belpasso, piantagione di marijuana in agrumeto: un arresto

Salvatore Rapisarda, 39 anni, è stato sorpreso dai carabinieri mentre innaffiava 418 piante di cannabis

BELPASSO. Una piantagione di marijuana realizzata all'interno di un agrumeto è stata scoperta in contrada Fondaco nuovo di Belpasso da carabinieri della compagnia di Paternò. Militari dell'Arma hanno anche arrestato Salvatore Rapisarda, di 39 anni, sorpreso a innaffiare 418 piante di cannabis indica, ciascuna alta circa 1,80 metri, che erano messe a dimora vicino a alberi di arancio e disposte a filari, in modo da rendere più difficoltosa l'individuazione ed il riconoscimento. Durante l'operazione gli investigatori hanno anche sequestrato 35 grammi di marijuana essiccata, attrezzature ed un ingente quantitativo di concime chimico utilizzato per la coltivazione della piantagione.

Sequestrate 500 opere d'arte false: 12 denunce

Le indagini hanno coinvolto molte grandi città tra cui Palermo. I lavori hanno un valore complessivo di sette milioni di euro

ROMA. Maxi-operazione dei carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale: sono oltre cinquecento, per un valore di circa sette milioni di euro, le opere false dei maggiori artisti contemporanei sequestrate in tutta Italia a casa di privati collezionisti che le avevano acquistate, in buona fede, sul web. Dodici le persone denunciate a piede libero. I carabinieri della Sezione falsificazione e arte contemporanea del comando Tpc hanno accertato che i collezionisti, convinti di fare "un buon investimento", avevano acquistato on-line dipinti, disegni, grafiche e cromolitografie dei più importanti artisti moderni e contemporanei. Tra gli altri, Matisse, Magritte, Prampolini, Burri, Fontana, De Chirico, Guttuso, Sironi, Rotella, Migneco, Capogrossi, Gentilini e Boccioni.
Le indagini, nate dal controllo delle transazioni effettuate sui siti Internet più conosciuti e dal continuo confronto con gli archivi e gli storici dell'arte, hanno portato, al termine delle attività investigative, alla denuncia a piede libero di dodici persone per falsificazione e commercializzazione di opere d'arte falsificate e al recupero, grazie alle tracce informatiche, di tutti i beni d'arte falsi posti in vendita dai singoli inserzionisti. Si tratta, spiegano gli investigatori, del risultato di indagini condotte nell'ultimo anno e mezzo, coordinate dalle Procure di Roma, Palermo e Siena. L'autorità giudiziaria romana ha anche emesso un decreto di oscuramento delle aste pubbliche per la vendita di opere d'arte, in quanto riconducibili a due precisi 'nick-name' usati da uno degli indagati. In questo particolare caso, infatti, l'indagato usava il doppio nick-name per attribuirsi anche dei feedback positivi, così da accreditarsi al meglio nei confronti dei possibili acquirenti.

Tra le opere poste sotto sequestro anche due dipinti antichi: un 'San Giovannino', falsamente attribuito a Guido Reni, posto in vendita a 300.000 euro, e un'opera di Teofilo Patini, commercializzata a 600.000,00 euro e proveniente da un furto in un'abitazione. I falsi, riprodotti secondo le tecniche e gli stili dei differenti autori, sono stati giudicati dagli esperti di "buona qualità".

"Emergenza Pizzo"

NISCEMI (CALTANISSETTA) - Il sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino (Pd), lancia l'allarme criminalità e parla di "emergenza pizzo", denunciando in paese una inquietante escalation di incendi dolosi e la diffusione capillare del fenomeno dell'estorsione.

Al prefetto di Caltanissetta, il sindaco ha chiesto la convocazione urgente del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, che si è riunito ieri. È stato deciso di intensificare il controllo del territorio ma soprattutto di monitorare con attenzione gli appalti pubblici a Niscemi.

"Abbiamo investimenti per circa 10 milioni di euro che potrebbero far gola alla mafia - ha detto il sindaco - ecco perchè ho chiesto di applicare i protocolli di legalità e l'informativa antimafia non solo per le imprese appaltatrici ma anche per i fornitori di materie prime, tra cui ferro, cemento e calcestruzzo".

Di Martino ha avviato la procedura per promuovere l'istituzione, a Niscemi, di un'associazione antiracket e antiusura, cui già chiedono di aderire numerosi operatori commerciali del paese, a ricca economia agricola, che conta 35 mila abitanti.

Frode Fiscale

MENFI (AGRIGENTO) - La guardia di finanza ha sequestrato beni mobili ed immobili, per un valore di circa 500 mila euro, ai 5 indagati dell'operazione 'Ghost companies', in relazione ad una presunta associazione finalizzata alla frode fiscale per 10 milioni.

I beni sequestrati appartengono in particolare a Giuseppe Leonardo Di Carlo, imprenditore menfitano, e ad Angelo Di Stefano di Ribera. Nell'inchiesta sono coinvolti anche Giovanni Pujia, Enzo Gulli e Giovanni Grillo. I fatti risalgono al 2005, quando una serie di società edili avrebbero effettuato un reciproco e consistente scambio di fatture.
Il giro è stato scoperto lo scorso 4 giugno, dopo l'arresto dei 5 indagati.

martedì 24 agosto 2010

Catania, in manette "l'inventore" della penna-pistola


Catania, in manette "l'inventore" della penna-pistola

La polizia ha arrestato Guglielmo Ponari, di 63 anni. E' stato sorpreso in casa con 4 armi vere e 21 giocattolo che ben presto avrebbe reso funzionanti


di GERARDO MARRONE
CATANIA. Gli artisti non vanno ne' in ferie, ne' in pensione. E Guglielmo Ponari, catanese di 63 anni, nel suo campo viene davvero considerato un talento assoluto. Lui, che nel 1963 creo' la prima penna-pistola, e' stato arrestato in queste ore dalla polizia nel capoluogo etneo. Lo hanno sorpreso nel suo laboratorio di casa nel quartiere popolare di San Cristoforo in possesso di 4 armi vere e 21 giocattolo che, pero', ben presto il tocco creativo di Ponari avrebbe trasformato rendendole pericolosamente funzionanti. Gli investigatori ora tentano di scoprire i committenti di questo carico di armi che - come spiega il dirigente della Sezione criminalita' organizzata della Squadra mobile Antonio Salvago - avrebbe consentito all'"artigiano" un incasso di oltre 20 mila euro.

Arresto in mare: turisti applaudono


Arresto in mare: turisti applaudono

Vibo, latitante era con la famiglia

Salvatore Facchineri, considerato il nuovo boss del clan di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, è stato arrestato dai carabinieri mentre si godeva il mare di Tropea, in provincia di Vibo Valentia, con moglie e figli. Quando i militari lo hanno bloccato, bagnanti e turisti hanno applaudito i carabinieri dicendo loro "bravi". L'uomo,evaso il 25 febbraio dagli arresti domiciliari, deve scontare in totale 16 anni di reclusione.

La famiglia di Facchineri sembrava una come tante, con l'ombrellone e le sdraio e due bambini piccoli, di cui uno ancora nella culla. I carabinieri però, che si erano mescolati da tempo tra i villeggianti per controllare villaggi turistici, locali e spiagge alla ricerca di tracce e indizi del pregiudicato, hanno aspettato il momento propizio. In due sono entrati in acqua mentre gli altri militari sono rimasti sul bagnasciuga.

L'intervento è scattato quando Facchineri, per rinfrescarsi, ha deciso di fare un tuffo. I militari lo hanno immediatamente bloccato in acqua e lo hanno portato sulla spiaggia per ammanettarlo. Facchineri deve scontare una condanna a 10 anni e 8 mesi di reclusione per il reato di riduzione in schiavitù commesso nei confronti di due cittadini rumeni, che aveva segregato in una baracca e che aveva costretto a lavorare senza alcuna retribuzione.

Inoltre sul suo capo pende un'altra condanna a 6 anni e sei mesi di carcere per due tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, commesse tra marzo e maggio del 2003 a Cittanova e San Giorgio Morgeto, nel reggino, quando era già

Truffa a danno di Sky,nuovi arresti


Truffa a danno di Sky,nuovi arresti

Emilia Romagna, operazione Cc "Full HD"
Nuovi arresti dei carabinieri di Reggio Emilia nell'ambito dell'inchiesta che ha sventato una truffa per oltre 100mila euro ai danni di Sky. Gli indagati sono 41. I nuovi arresti sono stati eseguiti tra Reggio, Piacenza e Cattolica. Agli inizi di luglio i militari avevano dato vita all'operazione "Full HD": con un sistema collaudato gli indagati stipulavano abbonamenti Sky, con abbinato tv Lcd "Full HD", intestati a ignari cittadini o a defunti.

I dati delle persone decedute venivano acquisiti dai necrologi dei quotidiani locali. I carabinieri, proseguendo le indagini, sono riusciti a delineare i ruoli di vertice della banda e ad attribuire l'esatto ruolo del promotore Sky complice, grazie al quale il giro di abbonamenti "taroccati" ha preso piede.

Nel complesso l'indagine ha portato a nove misure restrittive (quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, quattro di arresti domiciliari, un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), 41 persone denunciate, 51 casi di utilizzo fraudolento di carte di credito.

Sono state realizzate 68 truffe attraverso la stipula di contratti "taroccati", con l'utilizzo fraudolento di carte di credito, che hanno portato ad un danno economico di oltre centomila euro a Sky e circa 6mila euro ai danni delle dodici persone risultate intestatarie delle carte di credito indebitamente utilizzate

GdF: "Un mld evaso a San Marino"


GdF: "Un mld evaso a San Marino"

In corso centinaia di verifiche fiscali
Dall'inizio dell'anno la Guardia di Finanza ha avviato un vasto piano d'azione contro l'evasione fiscale internazionale e le frodi Iva poste in essere nei rapporti tra operatori nazionali e della Repubblica di San Marino. Dal mese di gennaio sono state concluse 330 verifiche, con la scoperta di redditi sottratti a tassazione per oltre 850 milioni di euro e un'Iva evasa per circa 240 milioni. Sono attualmente in corso altre 800 verifiche.

Rientra in quest'ambito anche l'operazione di Pesaro, con la scoperta di un imprenditore a cui facevano capo imprese fittizie costituite a San Marino.

Il piano d'azione delle Fiamme Gialle interessa, in particolare, due tipologie di fenomeni: i casi di proventi derivanti da evasione fiscale realizzata da imprese nazionali, individuate a seguito di investigazioni di polizia giudiziaria, che avrebbero veicolato "capitali sporchi" verso società finanziarie di San Marino per poi farli rientrare "puliti" nel territorio nazionale sotto forma di finanziamenti e aperture di credito in favore di imprese affiliate.

E le frodi Iva "carosello" attuate tramite società "cartiere" fittiziamente interposte negli scambi commerciali fra imprese italiane e sammarinesi operanti principalmente nei settori dell'elettronica, della telefonia mobile, degli elettrodomestici, della abbigliamento, delle calzature, della cartoleria e dei prodotti detersivi


Scoperta evasione da 15 milioni

Usate false aziende a San Marino
Società italiane "mascherate" in modo da apparire imprese di San Marino con lo scopo di evadere le tasse. Con questo meccanismo, attraverso tre aziende, un imprenditore marchigiano, attivo nel settore degli integratori alimentari, aveva evaso redditi per 14 milioni di euro e Iva per circa 1,5 milioni, ora recuperati a tassazione. A scoprire la frode sono stati gli uomini della Guardia di Finanza di Urbino. Denunciato un imprenditore di Pesaro.

Le verifiche fiscali hanno riguardato tre aziende: una marchigiana, specializzata nella produzione e nel commercio di prodotti nutrizionali, e due di diritto sammarinese, dedite alla commercializzazione degli stessi prodotti, tra cui anche integratori a base di microalga Klamath, dal nome del lago dell'Oregon.

Anche attraverso lo scambio informativo con gli investigatori sammarinesi, è stato possibile ricostruire le connessioni esistenti tra le società. Secondo la Gdf, l'amministrazione di tutte e tre le imprese è da ricondurre all'imprenditore marchigiano. Il meccanismo di frode messo in atto è quello della "esterovestizione", ossia la localizzazione fittizia all'estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia.

Lo scopo principale della localizzazionee in un paese con un regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale, è ovviamente quella di fare in modo che gli utili siano sottoposti a una minore tassazione. Oltre all'imprenditore denunciato, sono state segnalate all'autorità giudiziaria altre tre persone - due marchigiani e un napoletano - per i reati di omessa dichiarazione e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

lunedì 23 agosto 2010

La marijuana a km zero dei clan


La marijuana a km zero dei clan

La cannabis viene coltivata sui terreni demaniali: il clima del Sud è favorevole e si guadagna di più

ANDREA SALVATI

NAPOLI

Sarà per il microclima, o perché in queste zone è più facile camuffarle. Sta di fatto che le piantagioni di cannabis indica stanno diventando l’oro verde del Meridione, il nuovo business in grado di portare continuamente denaro nelle casse delle organizzazioni criminali. Anche perché il mercato italiano è di quelli che non conosce crisi: stando ai dati del Viminale, nel 2009 si è registrato un incremento dei sequestri di marijuana pari al +211,75%, segno che la domanda è in forte aumento.

Per questo mafia, camorra e ’ndrangheta hanno deciso di coltivarsela in casa per ridurre i costi della filiera e massimizzare i profitti. Un po’ come succede negli Stati Uniti dove, secondo i rapporti dell’Fbi, i trafficanti messicani hanno pensato bene di costruire vere e proprie fattorie nei parchi nazionali del West per coltivare milioni di piante di cannabis da cui ricavare hashish e marijuana. In Italia, invece, si preferiscono i terreni demaniali, così da minimizzare «il rischio d’impresa». Per importare droga dall’estero, infatti, occorre investire soldi in uomini e mezzi che possono andare persi in caso di operazione delle forze dell’ordine. Coltivando la cannabis su terreni demaniali invece, l’unico rischio è quello di perdere il raccolto.

La scena diventa sempre più frequente: un elicottero sorvola una montagna e scopre, in un anfratto, protetta da alberi o camuffata con teli mimetici, la piantagione di cannabis, con piante alte fino a quattro metri. Un’azione che ricorda tanto le operazioni delle forze speciali americane nelle piantagioni dei narcos colombiani. Stando agli esperti delle forze dell’ordine, le piantagioni migliori sarebbero quelle siciliane, tra Palermo e Trapani.

Soprattutto nella stagione estiva, proprio in quella zona della Sicilia si formerebbe la giusta combinazione tra sole e umidità per ottenere la crescita migliore delle piante. Non è un caso che la Sicilia ha il primato (triste) di maggior produttore europeo di cannabis indica. Ma anche i terreni campani, calabresi e pugliesi si prestano a questo tipo di coltivazione, garantendo comunque un prodotto di tutto rispetto, tanto che ormai in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia è stato sequestrato ben l’86,29% del totale delle piantagioni di cannabis individuate in tutta Italia. Per esempio il 17 luglio a Partinico, nel Palermitano, sono state individuate due piantagioni di cannabis estese per oltre 10mila metri quadrati: due agricoltori avevano deciso di riconvertire le loro coltivazioni perché con pomodori e olive non guadagnavano abbastanza.

In Campania a inizio mese è stata scoperta una piantagione di marijuana tra i comuni di Montoro Inferiore e Montoro Superiore nell’Avellinese: la piantagione occupava un terreno demaniale grande quanto due campi di calcio. Due giorni fa sono state individuate dai carabinieri dodici piantagioni di cannabis indica - che contavano oltre mille piante, alcune alte tra i due e i quattro metri - su terreni demaniali tra Gragnano e Lettere nel Napoletano. Per individuare le coltivazioni, è stato necessario sorvolare la zona con gli elicotteri del settimo elinucleo di Pontecagnano. Nel solo 2009, stando ai dati del Viminale, sono state sequestrate 119.182 piante di cannabis e tali operazioni si sono svolte soprattutto in Calabria (con 41.876 piante sotto chiave) e in Campania (35.660), regioni che possono vantare condizioni geoclimatiche adatte a questo tipo di coltivazione.

Nei primi sette mesi del 2010 i sequestri di cannabis sono arrivati a 30.570, con 12.486 piante rinvenute nel solo mese di Giugno. Il record delle piante di cannabis sequestrate si è però avuto nel 2001, quando ne finirono al macero oltre tre milioni di esemplari.

venerdì 20 agosto 2010

Sms in tv per i boss, Grasso: "Il caso non esiste"


Sms in tv per i boss, Grasso: "Il caso non esiste"

Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia che scongiura così qualsiasi allarme sicurezza


ROMA. "Non si è accertato nessun caso concreto in cui sia avvenuta la ricezione, in carcere, di sms 'recapitati' ai detenuti tramite trasmissioni televisive". Così il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso commenta le notizie, risalenti allo scorso maggio, sui 'presunti' sms ai boss.
"E' una ipotesi astrattamente possibile - dice Grasso - segnalataci anni fa dal Dap che ne aveva ricevuto notizia da una fonte confidenziale, interna a un carcere, e rimasta anonima. Per questo non è stato possibile dare alcun seguito a quella segnalazione. Non sappiamo nemmeno se la segnalazione riguardava detenuti al 41bis o detenuti comuni e, comunque, è una cosa vecchia che non desta allarme".

Sms a "Quelli che il calcio": così la mafia parla coi boss in carcere


Sms a "Quelli che il calcio": così
la mafia parla coi boss in carcere


Laq Procura nazionale antimafia:
«I messaggi per eludere il 41 bis».
Alfano: già prese le contromisure


CATANZARO

Alcuni degli sms inviati alla trasmissione "Quelli che il calcio" e pubblicati attraverso il rullo posto in fondo al video sarebbero stati, in realtà, dei messaggi cifrati rivolti a boss mafiosi detenuti in regime di 41 bis. È quanto ha rivelato alla Commissione parlamentare antimafia, nel corso dell’audizione svoltasi l’11 maggio scorso, l’allora procuratore nazionale antimafia aggiunto, Enzo Macrì.

Oggetto del colloquio di Macrì, delegato dal procuratore nazionale, Piero Grasso, con la Commissione antimafia è stata la situazione dei detenuti al 41 bis di cui il magistrato, oggi Procuratore generale ad Ancona, era responsabile per la Dna. «Quello degli sms alle trasmissioni televisive, e nel caso specifico a "Quelli che il calcio" - ha spiegato oggi il magistrato all’agenzia Ansa - è solo uno degli strumenti che vengono utilizzati per inviare messaggi ai detenuti al 41 bis. Messaggi che i boss recepiscono ed interpretano attraverso il loro contenuto ed il mittente. Si tratta di messaggi dal contenuto spesso banale che, in realtà, nascondono importanti "comunicazioni di servizio" ai boss».

Macrì ha riferito che la segnalazione sul possibile utilizzo a beneficio dei boss detenuti degli sms inviati alle trasmissioni televisive era giunta da un carcere, ma non ha rilevato alla Commissione, nè lo ha fatto oggi con i giornalisti, il penitenziario da cui era partito l’input per la Procura nazionale antimafia. Il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intervenendo sulla vicenda, ha precisato che «le informazioni - riferite dalla Procura nazionale antimafia alla Commissione Antimafia nel corso dell’audizione dello scorso maggio - altro non sono se non i contenuti di un’informativa del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria che aveva segnalato il pericolo alla DNA e contestualmente allertato le direzioni degli istituti penitenziari a porre la massima attenzione al fenomeno».

In particolare «la segnalazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - continua la nota del Guardasigilli - poi ripresa dalla Dna e richiamata nelle odierne notizie di stampa, riguarda un episodio del dicembre 2009, relativo ad un singolo detenuto, al quale un familiare, nella corrispondenza sottoposta a censura, preannunciava la possibilità di inviare un messaggio sms durante la trasmissione "Quelli che il calcio". Da qui l’allertamento preventivo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la comunicazione agli organi giudiziari per gli accertamenti e le iniziative di loro competenza». Come dire che quanto riferito da Macrì alla Commissione antimafia erano fatti già noti al Ministero della Giustizia, che aveva già adottato gli opportuni correttivi. In ogni caso, la vicenda ha suscitato clamore. La Rai, in una nota, ha precisato che «Raitrade ha affidato alla società NeoNetwork la gestione del controllo degli sms. Tale società opera il controllo attraverso un software che elimina tutte le espressioni volgari e attraverso un operatore che sceglie, o in base al contesto del programma oppure su indicazione degli autori, gli sms da mandare in onda. Nell’arco della stagione - ha riferito ancora la Rai - arrivano oltre 200 mila messaggi di cui solo lo 0,0010 per cento viene utilizzato. Questi ultimi, poi, vengono storicizzati e conservati per un periodo di sei mesi».

Il senatore Carlo Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, ha detto che «non si capisce perchè i detenuti al carcere duro possano assistere a trasmissioni che prevedano la possibilità, con qualunque mezzo, di partecipazione dei telespettatori». Infine il Dap, da parte sua, ha reso noto, che da quattro anni aveva informato a più riprese il Procuratore nazionale antimafia della possibilità che detenuti sottoposti al regime di carcere duro ricevessero dall’ esterno comunicazioni attraverso gli sms di programmi televisivi.

giovedì 19 agosto 2010

Casoria, lite con ladro d'uva: edicolante ucciso


Casoria, lite con ladro d'uva: edicolante ucciso
La moglie: l'ho riconosciuto, è stato lui


Ieri il litigio con urla e minacce. Oggi all'alba tre colpi secchi di pistola nella schiena
Lascia tre figli gemelli di 14 anni. Caccia all'assassino: parlava napoletano


CASORIA (19 agosto) - Ucciso, in una mattina d'agosto, per una lite nata per un furto d'uva. Tre colpi che ad Antonio Coppola non hanno neanche dato il tempo di chiedere aiuto. È morto così, davanti alla sua edicola, lungo uno stradone di Casoria, comune alle porte di Napoli. L'omicida non è stato ancora preso e le indagini non sono ancora concluse. Ma che il tutto sia stato causato da un folle motivo, per gli inquirenti sembra essere quasi del tutto certo.

Stamattina, come faceva da sei anni, Coppola, 40 anni, incensurato, papà di tre gemelli di 14 anni, era andato ad aprire la sua edicola. La moglie, Rosaria, era all'interno. Lui, era fuori, stava sistemando i giornali. Ad un certo punto tre colpi di pistola, secchi. Un odore di zolfo, forte. E poi un lago di sangue e Antonio proprio lì, morto ammazzato.

La moglie non ha visto chi ha sparato i colpi di pistola. Ma ha visto chi, un attimo dopo, è scappato: aveva in mano l'arma, andava via a piedi. Soprattutto era vestito come l'uomo con il quale Coppola ieri sera aveva litigato, il ladro d'uva. Gli amici lo dicono chiaramente: «Antonio era uno che non si teneva la mosca sul naso». Come dire: «Se vedeva qualcosa di storto interveniva e lo diceva».

E così è stato anche ieri sera. Antonio aveva visto che qualcuno stava prendendo dell'uva in un terreno di proprietà di un conoscente proprio di fronte alla sua edicola. Gli ha chiesto spiegazioni, lo ha redarguito. Scambio di parole, forse anche di minacce. E forse è stato tutto questo a far scattare l'omicidio.

I carabinieri di Casoria indagano e quell'uomo visto dalla moglie della vittima, che parlava in accento locale e che, quindi, forse è della zona, è stato ripreso anche da alcune telecamere di un negozio vicino. Si vede di sfuggita, ma quelle immagini potrebbero essere determinanti.

Un identikit c'è: minuto, magro in volto, alto circa un metro e sessanta. Intanto, sono state le urla della moglie Rosaria, il suo sfogo ad aver segnato una giornata troppo lunga per Casoria. Rosaria, tra le lacrime, urlando, aggrappandosi ai parenti, camminando a stento, stamattina quasi si giustificava: «Non ho visto che lo stavano uccidendo, non ho visto niente, altrimenti gli avrei detto di stare attento».

Poi racconta una vita fatta di sacrifici, niente vacanze, solo due giorni a ferragosto, problemi di salute, e anche la macchina rotta. «Ora poteva godersi la vita, poteva vedere crescere i figli che lo adorano. Loro non erano padre e figli, erano fratelli - dice Rosaria - lui era troppo buono, con tutti. Qualsiasi problema avevamo non faceva che ripetermi 'Rosaria, l'importante è che stiamo insieme' Ed ora, non staremo insieme. Mai più».

E poi ancora le urla, della mamma di Antonio. Stamattina, ore dopo l'omicidio, era ancora in quella edicola. Sbatteva i pugni contro le pareti di lamiere: «Mi hanno strappato il cuore, hanno ucciso una persona onesta».

Che Antonio Coppola fosse una brava persona, qualcuno ha pensato di scriverlo anche su un bigliettino, attaccato ad una rosa: «Ti ricorderemo come una persona disponibile ed affettuosa. Sarai sempre nelle nostre preghiere».

Mafia, sequestrati beni a estorsore agrigentino


Mafia, sequestrati beni a estorsore agrigentino

Nel mirino della Dia immobili per un valore di 900 mila euro di Pasquale Ciaccio, 43 anni. Avrebbe riscosso il pizzo per contro della cosca di Santa Margherita Belice


PALERMO. La direzione investigativa antimafia di Palermo ha sequestrato beni mobili ed immobili per un valore di oltre 900mila euro a Pasquale Ciaccio, 43 anni, in carcere per associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti, Ciaccio avrebbe riscosso il pizzo per conto delle cosca di Santa Margherita Belice (Agrigento). In particolare, Ciaccio avrebbe gestito le estorsioni subite dagli imprenditori che lavoravano nella Valle del Belice. Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Agrigento su proposta della procura di Palermo, che ha rilevato la sproporzione tra i redditi leciti e le disponibilità economiche del detenuto e gli investimenti e gli acquisti da lui fatti.


Catania, arrestato fiancheggiatore del clan Laudani

Si tratta di Antonino Francesco Ventura, 30 anni. Dovrà espiare un anno e un mese di reclusione per concorso continuato e aggravato in associazione mafiosa

CATANIA. Antonino Francesco Ventura, 30 anni, di San Gregorio, è stato arrestato da carabinieri di Catania. Deve espiare un anno e un mese di reclusione di una condanna per concorso continuato e aggravato in associazione mafiosa. Secondo l'accusa sarebbe un fiancheggiatore della cosca Laudani. I reati contestati sarebbero stati commessi nella provincia di Catania prima del 2000. L'arrestato è stato condotto nella casa circondariale di Bicocca.

Cosenza, ricercato in manette per duplice omicidio


Cosenza, ricercato in manette
per duplice omicidio


Era ricercato dal marzo del 2009 per il reato di duplice omicidio. E' stato arrestato dalla polizia di Cosenza

18/08/2010 Un ricercato in campo internazionale, Giuseppe Di Cianni, di 64 anni, è stato arrestato dagli agenti della squadra mobile di Cosenza. L’uomo era ricercato dal marzo del 2009 per il reato di duplice omicidio compiuto a Rozzelle (Sydney).
Il provvedimento di cattura nei suoi confronti era stato emesso dall’autorità giudiziaria australiana. Di Cianni è stato rintracciato dagli agenti della squadra mobile a San Marco Argentano. Di Cianni, che ha un passaporto australiano, è accusato di aver ucciso nel maggio del 2009 i fratelli Albert e Mario Frisoli. Il duplice omicidio, secondo quanto si è appreso, sarebbe legato alle accuse di frode rivolte da Di Cianni ad Albert Frisoli. A Di Cianni è stato notificato un ordine di cattura internazionale emesso dall’autorità giudiziaria australiana.

mercoledì 18 agosto 2010

Maxievasione su televendite d'arte


Maxievasione su televendite d'arte

Venezia,elusi al fisco oltre 90 milioni
Una maxi evasione di 91 milioni di euro è stata scoperta dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, che ha accertato un particolare sistema di frode fiscale realizzato nell'ambito della commercializzazione di opere d'arte attraverso il "sistema delle televendite". Secondo la GdF venivano omesse fatturazioni e dichiarazioni di redditi e Iva ad alcuni dei principali operatori del settore delle vendite in tv di arte.

Oltre ai 91 milioni di euro, anche di altri 55 milioni di Irap e 18 milioni di euro per violazione all'Iva.

Le indagini hanno consentito, tra l'altro, di accertare anche l'omesso versamento alla Siae di oltre 2 milioni di euro. Quattro sono state le verifiche, delle quali una nei confronti di un pensionato "evasore totale" sprovvisto di partita Iva e della documentazione contabile e fiscale dell'attività che, tra il 2004 e il 2009, ha fatto incassare oltre 9 milioni di euro che non sono stati mai dichiarati al fisco.

L'attività dei militari delle fiamme gialle ha portato a individuare nove evasori paratotali. Sono ancora al vaglio le analisi sulle varie operazioni commerciali nei confronti dei clienti e i fornitori sparsi su tutta l'Italia.

martedì 17 agosto 2010

'Ndrangheta. Nuovo arresto per i due boss di Genova


'Ndrangheta. Nuovo arresto per i due boss di Genova

I due sono accusati di essere stati il boss e il luogotenente della 'ndrangheta a Genova

17/08/2010 Il tribunale di Reggio Calabria ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare per Domenico Gangemi, 64 anni, e Domenico Belcastro, di 48 (rispettivamente in foto a destra e sinistra) accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, in particolare di essere stati rispettivamente il boss e il luogotenente della 'ndrangheta a Genova. Gangemi e Belcastro erano stati arrestati all’alba del 15 luglio in esecuzione del maxi-decreto di fermo delle procure di Reggio Calabria e Milano che aveva portato 300 persone in prigione in tutta Italia.
Ai due erano stati contestati, nello specifico, incontri e conversazioni avvenuti a Rosarno e Siderno con i boss Michele Oppedisano e Giuseppe Commisso, risalenti all’agosto del 2009, nei quali si palesava la loro appartenenza all’associazione mafiosa. Dopo gli arresti, il gip Marina Orsini li aveva interrogati e trattenuti in carcere ritenendo esistenti i gravi indizi di colpevolezza a loro carico.
I legali difensori di Gangemi e Belcastro, Maria Montemagno e Pietro Bogliolo, avevano fatto ricorso al Riesame di Genova chiedendone la scarcerazione, ottenendo pronunciamento negativo. Nel frattempo la procura di Genova ha rinviato gli atti a Reggio Calabria per competenza territoriale. Alla fine della scorsa settimana è stata depositata la nuova ordinanza che dispone la custodia cautelare per i due presunti boss.
I loro difensori hanno già presentato ricorso al tribunale del Riesame reggino sostenendo (come avevano fatto a Genova) che le intercettazioni ambientali su cui si imperniano gli arresti non sono state autorizzate dalle procure competenti e dunque sarebbero illegali.

17 agosto 2010, è morto il presidente Cossiga


17 agosto 2010, è morto il presidente Cossiga

Una lunga carriera in politica
e nelle istituzioni

PAOLO FESTUCCIA

La foto della scuola, e poi quelle dell’infanzia. La bandiera italiana, quella americana, targhe, e riconoscimenti. Il mondo di Francesco Cossiga, nella sua casa in via Quirino Visconti, nel centralissimo quartiere di Prati, è tutto questo. Il tempo che scorre, con la storia del Paese, le difficoltà, il potere, ma anche la solitudine degli ultimi mesi. Una solitudine di cui si parlava, si facevano ipotesi, ma anche allusioni preoccupate, in tanti ambienti, per le sue condizioni di salute. Ma Cossiga leggeva i giornali, rifletteva, guardava e si interessava alla vita politica di un Paese, forse troppo lacerato e diviso. Certo, da un po’ evitava commenti - il suo forte per acutezza, prontezza e ironia - interviste, dichiarazioni. Un silenzio misterioso, tanto inatteso quanto allarmante. Poi, la corsa di ieri al policlinico «Gemelli» di Roma, il ricovero, la crisi respiratoria e le complicazioni. Quadro clinico complesso, ma stabile. E così, in una giornata, in poche ore, la vita di Francesco Cossiga, dopo giorni di silenzio è tornata pericolosamente ad animarsi. E quei timori, quelle sensazioni che dal dicembre scorso hanno accompagnato la sua assenza dalla scena politica si sono materializzate. Tutte d’un colpo. Così come protagonista è tornata la sua lunga storia, una lunghissima carriera politica che parte dal vecchio secolo e si rinnova nel terzo millennio. A soli vent’anni si laurea, finisce a capo dei giovani turchi sassaresi e comincia la sua corsa fino al Quirinale dove approda nell’85 al primo scrutinio a soli 57 anni.

Il più giovane Presidente della Repubblica italiana. L’ultimo traguardo, il più ambizioso che vede nel suo cursus honorum una sfilza di «più»: il più giovane ministro dell’Interno, il più giovane presidente del Senato, il più giovane Capo dello Stato italiano. L’uomo che, dopo il ritrovamento del cadavere in via Caetani di Aldo Moro, lascia il Viminale e al giornalista Paolo Guzzanti confessa, «che se aveva i capelli bianchi e le macchie sulla pelle era proprio per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Aldo Moro». Quindi, la presidenza del Consiglio dei ministri nel ’79, brevissima, la messa in stato d’accusa, conclusasi nell’80 per la vicenda del figlio di Donat-Cattin, l’elezione nell’83 alla presidenza di Palazzo Madama. Quindi l’85, l’elezione al Colle al primo scrutinio dove succede a Sandro Pertini. Cinque anni all’impronta della sobrietà con l’ultima fase caratterizzata dal conflitto e dalla polemica politica. Francesco Cossiga si trasforma nel «grande esternatore», nell’uomo delle «picconate», caratterizzando così la sua presidenza col fine di «scuotere il sistema». Si dimetterà a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, il 28 aprile del 1992 annunciando le sue decisioni in un discorso televisivo che tenne, non a caso, il 25 aprile. Un discorso diretto concluso così: «Che Iddio protegga la patria, viva l’Italia, viva la Repubblica». Ma il suo non era un addio dalla politica ma un arrivederci. Tanto da continuare a progettare idee, movimenti politici e a tessere incontri. Riceve amici e alleati in vestaglia, e tra una battuta e qualche intuizione tira fuori dal cilindro l’Udr. L’Unione democratici per la repubblica.

Si disse «poca roba» ma quel che bastò per azzoppare il governo, mettere in moto il ribaltone e spedire Massimo D’Alema alla guida di Palazzo Chigi. Un sorta di Bignami di ingegneria politica che manda in tilt, almeno quella volta, il sistema bipolare che Cossiga non aveva mai tanto amato. Si disse: è la Prima Repubblica che torna protagonista. Il marchingegno durò poco, non certo le provocazioni di Cossiga. Per lui che aveva attraversato il ’900 politico italiano, dal boom economico, passando per Gladio, la scomparsa dei partiti con tangentopoli, le picconate, il potere più efficace era ormai solo quello di solleticare la politica, accarezzarla, fare e disfare la ragnatela, tutt’ora così, solo per provocare. E così fa nel 2006 quando invia, con una motivazione ancor più stupefacente che sorprendente la sua lettera di dimissioni da senatore a vita al presidente di Palazzo Madama Franco Marini: «Ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale». Come dire: il grande provocatore c’è ancora.