lunedì 11 giugno 2012

Estorsioni e riciclaggio 24 arresti tra capiclan foggiani


FOGGIA – I capiclan delle principali organizzazioni criminali foggiane si sarebbero accordati per riciclare il danaro proveniente da truffe e da altre attività illecite: sulla base di quest’accusa la squadra mobile di Foggia e il Gico della Guardia di finanza di Bari stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 24 indagati.
Agli arrestati la Dda di Bari contesta a vario titolo i reati di associazione per delinquere, estorsione, usura, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche destinate ad aziende vitivinicole, con l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa. Ad alcuni indagati vengono sequestrati beni per 20 milioni di euro.

«L'OPERAZIONE BACCUS»La mafia foggiana aveva fiutato gli affari nel settore vitivinicolo e si è dimostrata pronta ad usare le leggi economiche e fiscali per avvantaggiarsene: è questo il risvolto dell’operazione di polizia e guardia di finanza che ha portato oggi all’arresto di 24 persone: 17 in carcere e sette ai domiciliari. Menti operative del business erano – secondo la Dda di Bari - Ernesto Lops e suo figlio Mario, ufficialmente imprenditori del settore vitivinicolo della Capitanata, in realtà componenti all’organizzazione criminale smantellata dopo la denuncia di un imprenditore vitivinicolo.

I due – secondo la ricostruzione accusatoria – avevano proposto alla mafia foggiana un affare che i capiclan hanno colto al volo: raccogliere tutti i soldi di provenienza illecita (soprattutto usura, estorsioni e droga) e ripulirli di fatto con la complicità dell’imprenditore Vincenzo Melandri, che a Russi di Romagna (Ravenna) ha un importante stabilimento che produce mosto concentrato rettificato. I Lops – secondo le indagini – hanno costituito finte società vitivinicole che hanno emesso alla società 'Alla Grottà di Melandri fatture per la vendita di mosto (senza Iva).
In realtà alla società di Melandri non arrivava nessuna merce, ma soldi (quelli dell’importo delle fatture) con corrieri che partivano da Foggia in auto. A questo punto l’imprenditore romagnolo procedeva a pagare con bonifico le fatture maggiorate dell’Iva. Quindi, la mafia foggiana riciclava il denaro sporco e ne ricavava l’importo dell’Iva. Melandri a sua volta abbatteva fortemente i suoi ricavi dovendo registrare acquisti di mosto sui quali lucrava i contributi comunitari non dovuti.

Nel frattempo gli onesti operatori, non riuscendo a convivere con una concorrenza illecita e “fuori dal prezzo del mercato”, finivano a loro volta nelle mani dell’organizzazione criminale. Il sistema illecito era talmente collaudato che mai avrebbe potuto portare a simili risultati se non vi fosse stata anche la complicità di qualche funzionario di banca di Foggia, Ravenna e Corato che non hanno mai segnalato alle autorità competenti le operazioni sospette che riguardavano ingenti somme di denaro (anche oltre otto milioni di euro).

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