Un solo colpo ha ucciso padre e figlia. La pista tossicodipendenti la famiglia cinese aggredita aveva un bar vicino al Sert
ROMA - Un colpo solo ha ucciso padre e figlia, un maledetto colpo che non sembra aver lasciato bossoli sul terreno, che ha trapassato la tempia della piccola Joy - il 16 marzo avrebbe compiuto un anno - e poi è finito dritto all’altezza del cuore di Zhou Zheng, il commerciante cinese di 31 anni che la teneva amorevolmente in braccio.
E quei due con il casco abbassato sul viso non erano soli: li aspettava in sella a uno scooter un complice, con il motore acceso, duecento metri più in là, dietro l’angolo, su via Antonio Tempesta. Li hanno visti fuggire in tre sullo stesso scooter, una coppia di assassini disperati e il loro disperato aiutante.
Mentre la caccia prosegue - il comandante provinciale dei carabinieri Maurizio Mezzavilla ha messo in campo gli uomini migliori - mentre si setacciano case e garage, mentre si controllano pistole e permessi, sono queste le prime due novità dell’inchiesta sulla rapina dell’altra notte al Casilino.
La procura di Roma - il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pm Maria Teresa Gregori - ha aperto un fascicolo per duplice omicidio e lesioni, cioè le ferite riportate dalla moglie di Zhou Zheng - dieci giorni di prognosi - che fino all’ultimo ha cercato di opporsi ai due killer. Intanto il direttore dell’istituto di medicina legale della Sapienza, Paolo Arbarello, ha effettuato ieri pomeriggio le due autopsie. L’esame ha confermato che Zhou Zheng e sua figlia siano stati raggiunti da un solo colpo, un colpo calibro 9, da un’arma che non dovrebbe aver rilasciato bossoli, almeno a giudicare dalle ricerche finora vane dei carabinieri.
La prima pista - apparentemente la più logica - è quella della rapina sgangherata e tragica di due tossicodipendenti. C’è un fatto che impressiona: il New Sedrick bar di Zhou Zheng -dove il giovane cinese aveva anche una piccola agenzia di money transfer- è al numero 405 di via Casilina e poco più in là, poco più giù verso il centro di Roma, al civico 397, c’è un SerT, un ambulatorio per tossicodipendenti. E’ possibile, cioè, che li abbiano pedinati per giorni, abbiano studiato le loro mosse dentro al bar e al momento di abbassare le saracinesche ogni sera, prima di aspettarli con una pistola e un coltello davanti al portone di via Giovannoli 26.
C’è meno di un chilometro -novecentocinquanta metri- tra il bar e l’abitazione della famigliola cinese. Zhou Zheng, moglie e figlia li hanno percorsi tranquillamente l’altra sera, senza nessuna precauzione particolare, a parte quella borsa a tracolla che Zheng Lia, la donna, teneva gelosamente stretta a sé. E proprio a quella gli assassini miravano, l’hanno tranciata di netto e portata via.
Si è pensato che lì dentro ci fossero i soldi fino a quando nella tasche del povero Zhou Zheng, ieri mattina, sono stati trovati tremila euro in contanti, probabilmente l’incasso della giornata. Cosa conteneva allora la borsa, al punto da indurre la donna a opporre ancora resistenza nonostante marito e figlia fossero stati già colpiti, nonostante li avesse già visti cadere sul marciapiede? Perché non si è chinata subito a occuparsi di loro?
E possibile che Zheng Lia non sapesse, che immaginasse i tremila euro proprio nella borsa e non nelle tasche di suo marito, ma è possibile anche che la borsa contenga altro, qualcosa di altrettanto prezioso rispetto ai tremila euro in contanti. Sulla borsa puntano molto anche i carabinieri del reparto investigativo di via In Selci -il colonnello Minutoli e i suoi uomini- che si sono presi in carico le indagini. Sperano, ad esempio, che i rapinatori non si siano disfatti subito del cellulare di Zheng Lia, per poter disporre di qualche traccia almeno sulle loro prime vie di fuga.
Neanche il resto è tutto così chiaro. La ricostruzione della rapina e della duplice esecuzione, infatti, si basa quasi esclusivamente sul racconto di Zheng Lia, 26 anni: è lei l’unica che ha raccontato dell’aggressione, del colpo partito, dei due killer che parlano in italiano. Le prime testimonianze, a parte la sua, si riferiscono al dopo, alla fase in cui lei continua a resistere e viene picchiata, alla fuga dei due con il casco, al complice che li ha aspettati sullo scooter. Sono i ricordi di cittadini che hanno udito quel colpo e si sono affacciati.
Questo per dire che subito dopo la pista dei tossicodipendenti ce ne sono altre, e i carabinieri non le stanno certo trascurando. Non viene accantonata l’idea, cioè, che possa essersi trattato di una vendetta mirata contro Zhou Zheng, per cosa, per quali motivi questo ancora non si sa. Si sta indagando sulla sua attività, su nemici che potrebbe essersi fatto gestendo il bar o anche l’agenzia di money transfer.
Sono indagini complicati perché da un lato affondano in un ambiente difficile come quello della comunità cinese, storicamente poco propensa ad aprisi, chiusa nella sua lingua e nei suoi riti, e dall’altro fanno sicuramente i conti con schegge impazzite come il terzetto che ha organizzato l’agguato. Gente che probabilmente non ha nessun legame con la malavita tradizionale del quartiere, gente difficile da andare a pescare anche quando le maglie si stringono come in queste ore.
Nino Cirillo e Valentina Errante
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