La procura ha scoperto solo ora: "Un difetto di comunicazione"
TRAPANI. Era stato citato come teste d'accusa nel processo per l'uccisione di Mauro Rostagno. Ma oggi il Pm Francesco Del Bene, in apertura d'udienza, ha comunicato che il pentito Rosario Spatola è morto, senza specificare quando. Solo nel tardo pomeriggio si è accertato che la morte del collaboratore di giustizia, classe 1949, allontanato dal servizio di protezione, condannato e quasi dimenticato, in realtà risale a quattro anni fa, il 10 agosto 2008. Ma nessuno ne sapeva niente. Un "difetto di comunicazione", come si sono affrettati a puntualizzare dalla Procura. L'ennesimo colpo di teatro che ha avuto come un protagonista un uomo che non finiva mai di stupire. A sentire lui la mafia e la politica inquinata non avevano segreti. Ma i veri pentiti importanti, a cominciare da Giovanni Brusca, hanno detto di non averlo mai conosciuto.
Spatola aveva riempito verbali su tante vicende nel corso di una collaborazione a fasi altalenanti cominciata con Paolo Borsellino, al tempo in cui il magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio dirigeva la Procura di Marsala. Fin quando parlava di storie minori e di traffici di droga era considerato attendibile. Ma poi Spatola allargò l'orizzonte delle rivelazioni occupandosi delle storie più oscure e parlando di un sistema di relazioni tra la mafia, la politica e la massoneria. Quando la sua attendibilità fu messa in ombra dai magistrati, e da Borsellino per primo, Spatola decise di alzare il tiro. Accusò Bruno Contrada di avere avuto rapporti con il boss Rosario Riccobono e vari politici, tra cui l'ex ministro Calogero Mannino, assolto dopo 17 anni dall'accusa di mafia.
Trovò un momento di notorietà con alcune clamorose interviste televisive. E finì per diventare un caso quando il pm Francesco Taurisano, con cui il pentito aveva continuato a parlare, denunciò la scomparsa dai suoi cassetti di verbali di Spatola e di un'altra discussa pentita trapanese, Giacoma Filippello. Ma a sua volta Taurisano fu sanzionato dal Csm con l'ammonimento, seguito da un trasferimento, per non avere trasmesso ad altri magistrati competenti i verbali di Spatola.
La cronaca ha registrato altre "rivelazioni" di Spatola sul caso Messina (relazioni tra mafia e magistrati), sull'uccisione nel 1985 di Graziella Campagna, una ragazza di 17 anni eliminata come teste scomoda, e su tante altre storie. Ma con una credibilità che ormai non veniva quasi più riconosciuta. Del resto era stato lui stesso, nel primo interrogatorio reso a Paolo Borsellino, a tratteggiare la sua 'caratura'. "La mia attività principale è la truffa", aveva ammesso aggiungendo di essersi deciso a collaborare, perché temeva di essere ucciso. "Ho venduto per 115 milioni ad alcuni mafiosi - spiegò - dei lingotti che erano di piombo dorato". Il 22 dicembre del 1989 Borsellino mette a verbale che Spatola non è mafioso: il padre del "pentito" era maresciallo di polizia e la mafia non arruola neppure parenti di vigili urbani. Solo dopo oltre un anno di fronte ad altri giudici Spatola sosterrà di essere stato affiliato da una cosca attiva in Svizzera. Un'altra balla raccontata da un pentito "piccolo piccolo" passato dalla ribalta delle cronache giudiziarie all'oblio. Fino alla morte, scoperta con quattro anni di ritardo.
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