Nel 2011 a Reggio Calabria e provincia sequestrati patrimoni per 162 milioni. Gli imprenditori edili erano collusi con la ’ndrangheta. Con gli affari illeciti aveva realizzato un impero economico
Un bilancio per milioni di euro, quello del 2011 della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria guidata dal capo centro, Gianfranco Ardizzone, che in città e in provincia ha inferto un colpo ai patrimoni della ‘ndrangheta sottoponendo a sequestro, nel corso dell'anno, beni per 162.100.000 di euro. Confiscati beni per 55.115.932 euro di cui 921.691 con l’applicazione della misura preventiva del sequestro funzionale alla conquista. Un'azione che ha scoperchiato l’area grigia composta da imprenditori e professionisti tutt’uno con le cosche reggine e che ha portato all'aggressione dei tesoretti accumulati illecitamente.
Un lavoro fatto di accertamenti effettuati, su tutti i condannati per reati di mafia. Il colpo più importante messo a segno dalla Dia è del 17 ottobre. A seguito di una proposta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale formulata dal Direttore della Dia, Alfonso D’Alfonso fu data esecuzione al decreto di sequestro emesso dal Tribunale di Roma (sezione Misure di Prevenzione) nei confronti di Federico Marcaccini, un imprenditore operante nel settore immobiliare, ambientale e del commercio di autovetture, giá sottoposto a provvedimento di fermo emesso nel 2010 dalla Procura Distrettuale di Catanzaro nei confronti di 77 indagati per traffico internazionale di stupefacenti nell’ambito dell’operazione “Overloading”. Il valore dei beni sequestrati fu stimato in circa 110 milioni di euro.
Nella rete della giustizia sono finiti una lunga serie di patrimoni. Il 16 maggio beni per 500 mila euro vennero sottratti a un elemento di spicco della criminalità di Monasterace, nella Locride, Benito Vincenzo Antonio Ruga. L’uomo era stato giá condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa ed interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.
Nello stesso giorno un altro successo viene ottenuto nella lotta alla criminalità. All’imprenditore d Polistena Salvatore Domenico Tassone viene sequestrato un patrimonio da 46.886.620 di euro. All’uomo viene contestualmente applicata la misura della sorveglianza speciale per la durata di quattro anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale.
Il 20 maggio tocca a Ferdinando Fortunato Maria De Marte, un facoltoso imprenditore della piana di Gioia Tauro, tra i più noti produttori oleari della regione Calabria con interessi estesi al settore immobiliare. Il valore dei beni sottoposti a sequestro fu di circa 20 milioni di euro.
Il 27 giugno la Dia “incastrò” l’imprenditore edile di Bova Marina Terenzio D’Aguì, che venne contestualmente sottoposto alla misura della sorveglianza speciale per la durata di tre anni tre e sei mesi con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale.
Il valore del patrimonio sequestrato fu di 7 milioni di euro.
Il 31 agosto nel mirino finì Marcello Fondacaro, giá condannato nel 2001 a sette anni di reclusione per associazione mafiosa in quanto ritenuto dagli investigatori affiliato alla cosca Piromali-Molè di Gioia Tauro. All’uomo venne sottratto un “tesoretto” patrimoniale di circa 30 milioni di euro.
Il 29 settembre l’attenzione della Dia è su Reggio Calabria. Nel mirino della Procura finisce Mario Salvatore Chilà, elemento di vertice della cosca Crucitti, egemone nei quartieri di Condera e Pietrastorta. Anche nei suoi confronti viene contestualmente applicata la misura della sorveglianza speciale per la durata di quattro anni con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale. Il valore dei beni sottoposti a confisca è di circa 307.621,85 euro. L’8 novembre è il turno dell’imprenditore di Melito Porto Salvo Demetrio Franco, coinvolto nell’operazione “Chalo Nera” e condannato in secondo grado a 14 anni di reclusione. Il valore dei beni sottoposti a sequestro fu stimato in circa 900 mila euro.
Sempre l’8 novembre il provvedimento di sequestro venne eseguito anche a carico di Giuseppe Speranza, 60 anni di Gioia Tauro, già arrestato nell’ambito nell’operazione “Maestro” del dicembre 2009, che ha fatto luce su un’associazione attiva a Gioia Tauro dedita al contrabbando ed alla contraffazione di merci provenienti dalla Cina. In particolare Speranza veniva indicato come elemento di raccordo con la cosca Molè di Gioia Tauro. Allo Stato andò un patrimonio da 700 mila euro.
L'ULTIMO COLPO AI PATRIMONI DEI CLAN
L'ultimo colpo in ordine di tempo, è quello inflitto ieri a Vittorio Barranca, attualmente detenuto, ritenuto un elemento di spicco delle cosche della 'ndrangheta di Caulonia, al quale è stato notificato un provvedimento di sorveglianza speciale per tre anni. Nei suoi confronti un provvedimento di confisca di beni per un valore di un milione di euro. Tra i beni confiscati dagli uomini del vice questore aggiunto Stefano Dodaro, figurano un villino a Siderno intestato alla moglie di Barranca, Maria Curciarello; la società «Allen Caffè» di cui è socio accomandatario la donna; la società “Mimosa Fiori» di cui è socio il figlio di Barranca, Nicola; la società “Oliver gest”, con sede ad Anghiari (in provincia di Arezzo), di cui è socio lo stesso Nicola Barranca, che gestisce un albergo con centro congressi, bar, ristorante e pizzeria nella località toscana; la società «Alen Cafe» della figlia di Barranca, Alessandra.
Il villino che è stato confiscato è ubicato all'ingresso del paese di Siderno, su di una collinetta, ed ha un valore di circa 300 mila euro. Per quanto riguarda la società “Oliver gest”, che gestisce una struttura con destinazione d'uso l'attività di pizzeria, ristorante, bar, albergo, somministrazione di alimenti e bevande in genere; centri congressi e fiere, dentro un immobile che si sviluppa su quattro piani con annesso residence, dell'estensione di circa metri quadrati 1573, è stata sequestrata solo la quota riferibile a Nicola Barranca.
Vittorio Barranca era stato sottoposto a fermo, poi trasformato in un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, il 10 luglio 2010 dalla Dda di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione Crimine, condotta tra Calabria e Lombardia con l'arresto di oltre 300 persone. L’uomo è ritenuto elemento di vertice del «locale» di Caulonia. A distanza di alcuni mesi dall’esecuzione del fermo, il 20 ottobre 2010, il questore di Reggio Calabria Carmelo Casabona, ha presentato proposta di sequestro beni a carico di alcune delle persone coinvolte nell’operazione Crimine, tra le quali lo stesso Barranca. Il valore delle aziende confiscate, tra avviamento commerciale e patrimonio - fanno sapere gli investigatori del commissariato di pubblica sicurezza di Siderno - è stimabile in circa 700.000 euro.
Il Tribunale-Sezione misure di prevenzione di Reggio Calabria, il 10 novembre 2010 ha emesso un decreto di sequestro beni valutati, complessivamente, oltre 200 milioni di euro. Con il provvedimento eseguito oggi, il Tribunale, accogliendo le richieste del Questore, ha riconosciuto, secondo gli investigatori, la pericolosità sociale di Barranca e la sproporzione tra redditi dichiarati e beni di cui aveva la disponibilità.
Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, che hanno firmato l'inchiesta “Crimine”, Vittorio Barranca sarebbe al vertice del locale di Caulonia. Barranca e Cosimo Giuseppe Leuzzi, per gli investigatori, avrebbero «assunto le decisioni più rilevanti, impartendo le disposizioni o comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, decidendo e partecipando ai riti di affiliazione curando rapporti con le altri articolazioni dell'associazione, dirimendo contrasti interni ed esterni al sodalizio, del locale di appartenenza».
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