1. Garantire ai testimoni (attraverso adeguate misure di
assistenza) l’effettivo mantenimento del pregresso tenore di vita goduto
dai medesimi e dai loro familiari. A tal fine, è necessario definire
compiutamente il concetto espresso dalla locuzione “tenore di vita”, in quanto
esso rappresenta il punto di riferimento per la determinazione delle misure
assistenziali da erogare (e, quindi, anche della capitalizzazione).
L’espressione “tenore di vita” deve essere intesa nella sua più ampia
accezione, riferita non solo al risparmio del reddito ma anche alla parte di
esso investita o spesa in beni e servizi utilizzati: deve rappresentare la situazione economica complessiva del soggetto. Va da sé che
lo stesso tenore di vita che il testimone godeva nel luogo di origine deve
essere garantito anche nella località dove viene trasferito per ragioni di
sicurezza. Occorre individuare i parametri idonei a certificare con compiutezza
il tenore di vita. In tale direzione, una prima base di partenza per delineare
tali parametri può essere costituita dalle indicazioni raccolte nel corso
dell’inchiesta parlamentare: disponibilità di beni mobili registrati
(imbarcazioni da diporto, autoveicoli), residenze secondarie, collaboratori
familiari, attività extrascolastiche dei figli; frequenza di alberghi e
ristoranti; viaggi all’estero. Certamente le valutazioni non potranno non tener
conto, in una certa qual misura, delle dichiarazioni dei redditi precedentemente
rese dal testimone. E’ altrettanto evidente che le misure assistenziali volte a
garantire il pregresso tenore di vita non potranno avere una durata illimitata
e non potranno prescindere dalla fattiva collaborazione del testimone (e del
suo nucleo familiare), ai fini della realizzazione di un percorso che conduca
alla piena autonomia ed autosufficienza economica.
2. Dare al testimone di giustizia un quadro informativo
ampio e dettagliato circa i diritti e i doveri connessi con l’assunzione dello
status di testimone di giustizia. Prevedere strumenti per fornire al
testimone di giustizia, prima dell’acquisizione dello status, una
compiuta informazione in ordine a tutte le previsioni di legge che l’assunzione
di tale ruolo comporta, sia sotto il profilo dei diritti che sotto il profilo
dei doveri. Deve essere reso conscio delle difficoltà della vita mimetizzata,
in una corretta rappresentazione dei presidi che lo Stato offre.
3. Prevedere l’istituzione di un’équipe di
professionisti e tecnici, ovvero di una équipe multidisciplinare, in
grado di valutare le peculiari situazioni dei testimoni e fornire le opportune
soluzioni (di natura psicologica, sanitaria, patrimoniale, aziendale,
lavorativa, contributiva, ecc.). L’intervento di tale equipe deve essere
previsto fin dalle primissime fasi di ammissione al programma di protezione,
allo scopo di individuare, insieme con il testimone, gli interventi più
opportuni e urgenti da adottare (a partire dal trasferimento nella località
protetta) e al fine di predisporre linee di intervento mirate e rispettose dei
parametri normativi, e costruire il programma in maniera coerente alla storia
di vita del testimone di giustizia e dei suoi familiari.
4. Assicurare il reinserimento lavorativo. Prevedere
interventi normativi (ad esempio individuando quote riservate nei concorsi
pubblici) atti a garantire l’assunzione – a tempo indeterminato – del testimone
di giustizia nei ruoli della Pubblica Amministrazione (come previsto per le
vittime della criminalità organizzata e del terrorismo), tenuto conto
delle competenze e dei titoli posseduti dal testimone (qualora ne fosse privo,
dovrà partecipare ad appositi corsi di formazione), sulla scorta di positive
esperienze già realizzate, ad esempio, dalla regione Sicilia con l’emanazione
della L.R. 13 settembre 1999, n. 20. Nondimeno, l’inserimento nella Pubblica
Amministrazione non può essere ritenuto lo sbocco occupazionale necessitato: il
testimone di giustizia che, per precedente esperienza o per comprovata
vocazione, intenda svolgere attività autonoma, imprenditoriale o professionale,
deve essere posto nelle condizioni di realizzare, non diversamente dagli altri
cittadini, il proprio percorso lavorativo.
5. Prevedere, in favore dei testimoni di giustizia che
intendono proseguire o avviare attività imprenditoriali, benefici fiscali per
un congruo ma limitato periodo temporale, riducendo le aliquote sugli utili
delle aziende i cui titolari, ammessi al programma di protezione in qualità di
testimoni di giustizia, hanno denunciato richieste estorsive (in materia di
Imposta comunale sugli immobili, tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani, tassa di occupazione del suolo pubblico, contribuiti previdenziali). Il
beneficio, da introdurre con appositi interventi normativi, viene disposto
dalla Commissione centrale per la definizione ed applicazione dello speciale
programma di protezione.
6. Prevedere meccanismi agevolatori delle imprese individuali
di cui sia titolare il testimone di giustizia, ai fini della stipula di
convenzioni, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della
Pubblica Amministrazione, con enti pubblici, compresi quelli economici e le
società di capitali a partecipazione pubblica. Tanto in analogia a quanto ora è
praticato per le cooperative sociali, alle quali viene applicato il dispositivo
previsto all’art. 5 legge 8 novembre 1991, n. 381. Occorrerà, naturalmente,
costruire la previsione in maniera da assicurare all’impresa del TdG un
vantaggio competitivo che non trasmodi in un indebito privilegio, ponendo -ad
esempio- dei limiti quantitativi in un determinato lasso temporale.
7. Prevedere la possibilità di acquisizione al patrimonio
dello Stato dei beni immobili di proprietà del testimone (o dei suoi familiari
ammessi al programma) e ubicati nella località di origine con modalità speciali
e, comunque, non attraverso l’ordinaria procedura gestita dall’Agenzia del
demanio. La Commissione centrale deve quindi avere parte attiva nel
processo di acquisizione del patrimonio e nella stima dello stesso. I beni
immobili posseduti dal testimone nella località di origine devono essere
acquisiti al patrimonio dello Stato entro 6 mesi dall’ammissione alla speciale
protezione ed entro tale termine deve essere versato al testimone di
giustizia l’equivalente in denaro. Va da sé che la vendita dell’immobile nel
luogo di origine deve rispondere a criteri di mercato, ma la Commissione deve
prevedere, se necessario, interventi economici integrativi, tali da permettere
al testimone l’acquisto nella località protetta di immobile di livello analogo
a quello posseduto.
8. Dare soluzione alle problematiche legate alla
mimetizzazione anagrafica.
Quando è assolutamente necessario assicurare che il testimone (che abbia acquisito particolare notorietà ed esposizione mediatica o pubblica) non sia identificato con le sue originarie generalità, occorre procedere al rilascio di documenti di copertura.
Quando è assolutamente necessario assicurare che il testimone (che abbia acquisito particolare notorietà ed esposizione mediatica o pubblica) non sia identificato con le sue originarie generalità, occorre procedere al rilascio di documenti di copertura.
E’ necessario che il rilascio sia immediato (entro le 48
ore) e concerna i documenti omologhi rispetto a quelli già posseduti prima
dell’ammissione alle misure di protezione: essi recheranno l’indicazione di un
nome e cognome fittizio (eventualmente concordato con l’interessato)
compatibile con la provenienza territoriale del TdG.
Il tempestivo rilascio dei predetti documenti riguarderà,
contestualmente, tutti i soggetti del nucleo familiare del TdG interessati
dalle misure di protezione. Tali documenti avranno una validità provvisoria (un
periodo non superiore a tre/sei mesi), dovendo assicurare una “copertura”
meramente temporanea fino alle determinazioni definitive. Una volta deliberato
il cambio di generalità definitivo, sarà cura del Comitato provvedere alla
“sistemazione burocratica”, con la sovrapposizione della nuova identità a
quella preesistente presso l'ufficiale dello stato civile del luogo della
nascita, nonché presso tutti gli uffici pubblici. Saranno adottati,
nell’esecuzione di tali adempimenti, gli accorgimenti più idonei a prevenire il
disvelamento del collegamento esistente tra l’identità originaria e la nuova
identità (passaggi multipli e a catena).
La rilevante complessità dell’istituto del cambio di
generalità richiede, peraltro, l’approntamento di nuove indicazioni normative
(attraverso un approfondito confronto tra i Ministeri competenti), al fine di
superare le attuali anomalie e trasformarlo in uno strumento al quale poter
ricorrere, quando occorre, senza difficoltà.
9. Adeguare le misure di protezione, prevedendo un
aumento di mezzi e uomini a ciò predisposti, sia nella località di origine che
nella località protetta con l’obiettivo di assicurare l’incolumità fisica del
testimone e dei suoi familiari.
Nelle località protette non devono essere utilizzati per le
sistemazioni abitative dei testimoni, immobili precedentemente (e notoriamente)
impiegati per i collaboratori di giustizia, in quanto ciò
farebbe venir meno quella condizione di sicurezza e mimetizzazione sul
territorio. I testimoni in località di origine devono avere una tutela
continua. Se vi è un problema di sicurezza è evidente che al testimone deve
essere garantita tutela e protezione in tutti i suoi spostamenti soprattutto
quando necessari per esigenze lavorative. La tutela, infine, va assicurata al
testimone e ai suoi familiari. Il testimone non può permanere in località di
origine se, prima, non siano stati vagliati i presupposti (situazione locale e
risorse disponibili), attraverso uno specifico e preventivo parere del Prefetto
competente territorialmente, che dia conto sia delle ostilità dell’ambiente al
momento in cui la misura deve esservi calata, sia del numero e della qualità
delle persone che vengono a trovarsi in pericolo, sia dell’attività svolta dal
TdG e/o dai suoi familiari, allo scopo di ponderare ogni pericolo di frizioni
ambientali, idonee a pregiudicare un dispositivo di sicurezza oggettivamente
relativo.
10. Garantire una tempestiva e completa regolarizzazione
delle posizioni previdenziali del testimone di giustizia e dei loro familiari
Va garantita un’effettiva continuità della posizione
previdenziale con riferimento a quei testimoni (e relativi familiari) che, con
la sottoposizione a programma di protezione, sono stati costretti ad
interrompere l’attività lavorativa nella località di origine.
Ma va anche prevista la possibilità, per i testimoni (e
familiari) che non svolgevano attività lavorativa prima della sottoposizione al
programma, di accedere ad un trattamento integrativo (attraverso polizze
previdenziali e/o assicurative).
11. Ampliare il ricorso all’utilizzo della
videoconferenza
E’ necessario un sistema di cautele che preservi i testimoni
da ogni azione intimidatrice o violenta da parte degli autori dei reati e che
comprenda l’obbligatorietà, salvo eccezioni, dell’escussione dei testimoni
attraverso l’utilizzo della videoconferenza. Tale strumento è utile
all’effettiva tutela dell’integrità fisica e psicologica del testimone, e
risulta idoneo, tra l’altro, alla realizzazione di risparmi per lo Stato in
ordine alle spese di trasferimento dei testimoni.
12. Orientare l’impiego della “capitalizzazione” ad un
concreto progetto lavorativo
Occorre contrastare un modus operandi basato sulla
convinzione che l’elargizione delle somme di denaro -talvolta rilevanti- possa
risolvere qualsiasi tipo di problema dei testimoni, assumendo una sorta di
significato liquidatorio rispetto ad ogni obbligo dello Stato. Occorre tornare
allo spirito della legge: le capitalizzazioni vanno date al testimone
solo in presenza di un concreto progetto lavorativo. A tal fine, devono essere
condotte accurate analisi e svolti approfonditi studi di fattibilità dei
progetti. Deve prevedersi che la sottoscrizione dell’accordo di
capitalizzazione avvenga in presenza e con l’assistenza di un legale
(nell’auspicata riforma del sistema: il tutor e il Comitato di
garanzia). Dal momento che la “capitalizzazione” prelude alla fuoriuscita dal
sistema di protezione è opportuno offrire al testimone adeguate informazioni in
relazione a tutte le conseguenze che tale accettazione comporta (come, ad
esempio, il fatto che successivamente a tale atto non sarà possibile chiedere
ulteriori compensi economici alla Commissione centrale).
Occorre, altresì, prevedere sistemi di affiancamento e
supporto per l’avvio delle attività imprenditoriali poste in essere dai
testimoni di giustizia avviate attraverso il finanziamento della
“capitalizzazione”.
13. Prevedere meccanismi per una più compiuta valutazione
del mancato guadagno, riconoscendo ai testimoni di giustizia titolari di
attività imprenditoriali forme efficaci di risarcimento compensativo dei minori
introiti derivanti dall’assunzione dello status di persona sottoposta a
programma di protezione. Tali procedure assicureranno, altresì, che la
corresponsione delle somme abbia carattere definitivo e omnicomprensivo,
dovendosi prevenire defatiganti e poco etiche richieste risarcitorie “a catena”
da parte dello stesso testimone.
14. Rendere obbligatoria, con norma di legge,
l’acquisizione del parere della Direzione nazionale antimafia in tutti i casi
di richiesta di adozione del piano provvisorio di protezione (così da
fornire alla Commissione una più completa conoscenza circa la figura della
persona proposta, l’apporto testimoniale che è in grado di rendere e il suo
contesto ambientale e processuale). Appare pure opportuno rendere obbligatoria
l’acquisizione del parere della Direzione nazionale antimafia (così come quello
della Procura che a suo tempo aveva proposto l’ammissione al programma di
protezione) nei casi di revoca.
15. Articolare la speciale protezione dando centralità all’assistenza
psicologica
L’assistenza psico-sociale deve diventare parte integrante
del programma di protezione sin dalle prime fasi e non può essere affidata ad
interventi successivi (addirittura “su richiesta”) di carattere straordinario,
come avviene attualmente. Non può essere demandata all’esterno (a strutture
locali del servizio sanitario nazionale), in quanto la gran parte dei disagi
trova origine nella speciale condizione di protezione ed anche per
ragioni di sicurezza non sarebbe opportuno. Gli psicologi inseriti nelle
strutture di protezione conoscono le problematiche di vita del sistema e
possono arrivare a prevenirli e a risolverli con interventi rivolti anche verso
l’apparato amministrativo interno. Occorre, quindi, incrementare la presenza di
professionisti dell’area medico-psicologica, prevedendo la loro distribuzione a
livello delle strutture territoriali, dove più diretto ed immediato è il
contatto con il testimone. Queste strutture devono agire in raccordo continuo
con la sede centrale dove ci si potrà avvalere del contributo di altri
professionisti (neurologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, ecc.).
L’obiettivo da perseguire è quello di porre in essere un presidio continuativo
di forme di counseling e di assistenza psicologica e sociale, in grado
di guidare il testimone nel nuovo status in cui si è venuto a trovare,
assicurandogli la tranquillità necessaria per proseguire nella sua scelta con
uno spirito collaborativo.
LA RIFORMA DEL SISTEMA
Nuovo modello di protezione
La Commissione parlamentare antimafia ritiene opportuno
progettare un modello nuovo del sistema di protezione per mettere in atto un
cambiamento radicale nella gestione dei testimoni. Occorre un mutamento di
mentalità e metodo, una diversa filosofia nell’approccio alla figura del
testimone che va visto non come un “peso” ma come una “risorsa”. Bisogna, poi,
passare da una gestione “a sportello” ad una gestione relazionale. Particolare
attenzione va, quindi, riservata alla selezione e alla formazione del personale
preposto alla speciale protezione.
Il nuovo modello di protezione deve partire dall’esame della
motivazione che sta all’origine della scelta del testimone di giustizia: tale
scelta deve essere libera, pienamente deliberata e responsabile.
Il Servizio centrale di protezione deve effettuare una
valutazione attenta e accurata dei fattori di questa scelta testimoniale:
l’esame della personalità di tali soggetti, delle loro caratteristiche e
attitudini e, più in generale, di quanto concerne la loro sfera psicologica,
utile ad accertare le capacità di adattamento e di condivisione di un sistema
di vita nuovo, all’interno del quale saranno collocati.
Ridefinire della figura del testimone di giustizia
E’ necessario prevedere una riconfigurazione del ruolo del testimone di giustizia, anche attraverso più netti connotati differenziali rispetto al collaboratore di giustizia.
E’ dunque indispensabile - al fine di evitare che le misure
di tutela e assistenza possano essere, in qualche modo, usufruite da soggetti
che hanno tratto direttamente o indirettamente vantaggi economici di natura
criminale - irrobustire i parametri normativi che fissano i criteri per
l’accesso allo status di testimone di giustizia.
Occorre pervenire alla formalizzazione dei criteri per
distinguere testimone di giustizia e collaboratore di giustizia. In tal senso,
potrebbe prevedersi che per accedere allo status di testimone di giustizia, il
soggetto non si sia reso responsabile di reati indicativi di particolare
pericolosità sociale e che non possano essergli addebitati comportamenti
significativi di appartenenza e/o contiguità ad organizzazioni criminali.
Occorre, inoltre, porre particolare attenzione
nell’individuazione dei più efficaci strumenti per prevenire l’ipotesi che
taluni soggetti possano far ricorso in modo strumentale all’acquisizione dello
status di testimone (anziché quello di collaboratore di giustizia) proprio in
ragione dei vantaggi economici e di assistenza che ne possono derivare.
L’attenzione da parte degli organi competenti (sia chi propone, sia chi decide
l’adozione delle speciali misure di protezione) deve essere massima.
Rendere flessibili le misure di assistenza e protezione
Occorre calibrare le misure di assistenza e di protezione in
relazione alle caratteristiche specifiche di ciascun testimone di giustizia,
tenendo conto che questi proviene da realtà e situazioni diversificate, nonché
da contesti ambientali differenziati. Le esigenze dei singoli sono, inoltre, di
diversa intensità, e - quindi - incompatibili con l’adozione di protocolli
standardizzati. Pur senza pervenire ad una “personalizzazione” del trattamento,
si intende sostenere l’esigenza di realizzare una “individualizzazione” del
trattamento. E’ opportuno quindi che l’ambito normativo-regolamentare sia
caratterizzato da una elasticità in grado di consentire la corretta gestione di
ogni singolo caso, pur nell’ambito di previsioni generali uguali per tutti.
Istituire il Comitato di garanzia per l’espletamento del
programma di protezione dei testimoni di giustizia
La necessità di offrire una maggiorata tutela a “soggetti
deboli” come i testimoni di giustizia sembra imporre l’opportunità di istituire
un organo che sia in grado di monitorare la corretta esecuzione delle misure
assistenziali e di tutela deliberate dalla Commissione centrale e demandate,
per l’esecuzione, al Servizio centrale di protezione.
Il Comitato di Garanzia, formato da professionisti di
elevata competenza e autorevolezza, esterni alla Commissione centrale e al
Servizio centrale di protezione, offre al testimone di giustizia supporto e
tutela lungo tutto il suo percorso e interviene nei casi in cui si verifichino
particolari disfunzioni e inadempienze
Tale Comitato di garanzia dovrebbe, quindi, annoverare
soggetti di alto profilo professionale e morale, espressione delle competenze
necessarie alla realizzazione dei fini sopra richiamati: psicologo, avvocato,
sociologo, figure appartenenti agli apparati istituzionali più elevati
(prefetto, magistrato o ufficiale delle forze dell’ordine), criminologo,
assistente sociale.
In una visione di sinergie istituzionali, il nuovo assetto
organizzativo dovrebbe prevedere l’obbligo, per il Servizio centrale di
protezione (al quale la norma demanda il compito di attuare le misure di
protezione e di assistenza), di riferire al Comitato di garanzia almeno ogni
sei mesi sullo stato di adattamento e di progresso che il testimone di
giustizia ha raggiunto.
Il Comitato di garanzia, a sua volta, può fornire al
Servizio centrale (ed eventualmente alla Commissione centrale) indicazioni e
pareri motivati circa eventuali problematiche insorte nell’applicazione del
programma di protezione, nonché suggerire interventi concreti a tutela dei
diritti e delle legittime aspettative del testimone di giustizia.
Nel caso di cessazione delle misure di protezione, il
Comitato di garanzia continuerà a prestare il proprio supporto fino a quando il
TdG non abbia raggiunto gli equilibri necessari al reinserimento nella
dimensione ordinaria.
Istituire la figura del tutor del testimone
Diventa necessario sostituire la figura attuale del referente
(normalmente un appartenente alle forze di polizia), rivelatasi
insufficiente e non adeguata a soddisfare le esigenze del testimone. Si avverte
la necessità di un punto di riferimento costante e continuo, che assista e
accompagni il testimone, sin dall’ingresso nel programma di protezione, che
sappia agire con professionalità, efficienza e dedizione, abile nel farsi
carico delle esigenze del testimone, anche di quelle più complesse: un tutor,
ossia una persona che si ponga come interlocutore -per conto del TdG- degli
organi amministrativi e, più in generale, della Pubblica Amministrazione.
Dotato di poteri adeguati allo scopo, normativamente definiti, affianca il
testimone nella risoluzione di tutte le problematiche che sorgono dal momento
della collocazione sul territorio.
Il ruolo di tutor può essere ricoperto da persona che abbia
svolto funzioni in ambito legale o nella dirigenza dello Stato, preferibilmente
con compiti nel comparto della sicurezza, e caratterizzato da un elevato ed
autorevole profilo professionale, che sappia convogliare le legittime pretese
e le fondate aspettative del testimone verso le rinnovate
potenzialità dei nuclei territoriali e del Comitato di garanzia. Ma che, al
contempo, sia fornito di poteri di impulso, nei confronti delle citate
strutture e di ogni altro organismo deputato a fornire un contributo (sotto il
profilo assistenziale o della sicurezza) al testimone.
Dal punto di vista organizzativo, per ogni regione (o gruppo
di regioni) viene nominato (dal Ministero dell’Interno di concerto con il
Ministero della Giustizia) un tutor. Questi curerà, ai fini sopra precisati, la
posizione di tutti i testimoni di giustizia (e relativi nuclei familiari) che
risiedano nell’ambito territoriale di pertinenza.
Un corpo specializzato di operatori della protezione: i
nuovi NOP
La specializzazione del personale dello Stato adibito a
compiti di tutela e assistenza del TdG deve divenire un postulato
irrinunciabile, quale che sia il percorso che si intende seguire (potenziamento
e riqualificazione delle strutture attuali, ovvero creazione ex novo di
un organismo con competenze ampliate e ridefinite).
La Commissione antimafia intende affermare, alla luce
dell’inchiesta svolta, la notevole importanza che rivestono gli aspetti
relativi a: provenienza, selezione, formazione e inquadramento del personale
adibito all’assistenza ed alla tutela dei testimoni di giustizia. E’ necessario
costituire un corpo di professionisti non solo della tutela, ma anche
dell’assistenza socio-psicologica, perché tale è, nella realtà, il compito che
essi si ritrovano a svolgere.
Di conseguenza, occorre ampliare il bacino di selezione,
attingendo ai ruoli dell’intera Pubblica Amministrazione (con riferimento alle
professionalità specificamente richieste dalla funzione) e operando accurati
processi di valutazione dei curricula, valorizzando le competenze acquisite e
gli aspetti motivazionali.
La somministrazione frammentata e saltuaria di nozioni deve
essere sostituita da un programma di formazione permanente: una apposita
“scuola”, nella quale confluiscano le più valide esperienze già maturate, che assicuri
un sistema di addestramento professionale su basi di elevata scientificità, e
si articoli attraverso appositi corsi della durata di almeno sei mesi (basati
sull’insegnamento della psicologia -in primis- e di altre materie e
tecniche specifiche), anche con il ricorso a titolari di cattedra accademica.
Solo dopo il superamento di tale corso e l’effettuazione di un congruo
tirocinio pratico si potrà avere un operatore qualificato del Servizio
Protezione, in grado di interpretare pienamente la filosofia del nuovo sistema
integrato di tutela e assistenza.
Occorre adottare rigorosi sistemi di verifica periodica
della professionalità e dell’attività svolta dagli operatori, al fine di
garantire costantemente un elevato standard di efficienza.
Le nuove strutture territoriali
Appare indispensabile l’adeguamento dell’impianto
strutturale esistente, integrando -in particolare- il personale dei nuovi NOP,
che opera a livello territoriale, con soggetti qualificati e in grado di sviluppare
e seguire i progetti di assistenza socio-psicologica in favore del TdG e dei
suoi familiari (professionisti in campo legale e nel settore
economico-finanziario, psicologi di comprovata esperienza ed esperti
dell’assistenza socio-sanitaria, anche con riferimento alle specifiche
problematiche dell’infanzia, ecc.).
In tal modo, l’equipe multidisciplinare di esperti inserita
nella sede centrale troverebbe la sua corrispondenza funzionale nelle omologhe
strutture operative dislocate sul territorio. Non avrebbe, infatti, senso
istituire una forte struttura centrale di sostegno e lasciare nella confusione
dei ruoli e delle funzioni i Nuclei distribuiti sul territorio che hanno
autentici compiti operativi.
Verso una struttura unica
Conclusivamente, si ritiene opportuno affermare la necessità
di superare l’attuale suddivisione dei compiti di assistenza e tutela, da un
lato, e sicurezza, dall’altro, affidati ad organi diversi, per addivenire alla
creazione di un organismo unico che, attraverso unitarietà strutturale e
specializzazione, assicuri efficacia a tutto il comparto di protezione,
sollevando le forze di polizia territoriali dai compiti di scorta e tutela
attualmente a loro affidati dal Servizio centrale.
Non v’è dubbio che tale artificioso riparto di competenze,
nella parte in cui assegna agli organi territoriali le funzioni di sicurezza,
rappresenta una rinuncia alla specificità e all’efficacia delle misure tutorie
in favore del testimone.
La Commissione esprime, sul punto, l’auspicio che si avvii
una riflessione complessiva volta a delineare un sistema di protezione che,
accanto alle innovazioni sopra menzionate con riguardo ai profili di piena
garanzia del rispetto dei diritti del cittadino testimone di giustizia, preveda
l’attribuzione – sul modello dell’ United States Marshals Service –
anche dei compiti di vigilanza e sicurezza.
Si intende far riferimento ad una filosofia nuova che,
evitando confusioni e sovrapposizioni di ruoli, dia vita ad un sistema
integrato tra aspetti di sicurezza e di assistenza del TdG.
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