sabato 7 febbraio 2009

"Cosa Nostra è inabissata"

- "Cosa Nostra è inabissata"






"Cosa Nostra è inabissata"



"Cosa Nostra è inabissata"


PALERMO - "Attraverso le estorsioni, le intimidazioni, i pubblici appalti, Cosa nostra in Sicilia continua ad esercitare un pesante, violento ed esteso controllo sociale, economico e politico sul territorio". È quanto sottolinea il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, nel corso dell'audizione a palazzo San Macuto davanti alla commissione parlamentare Antimafia. "Cosa nostra sceglie la strategia dell'inabissamento: niente morti, pochi feriti ma grandi affari", è la sintesi del procuratore.

"La stessa cattura di importanti mafiosi latitanti -osserva Grasso- ha svelato l'esistenza di una vasta rete di fiancheggiatori e la straordinaria capacità di infiltrare il mondo della politica e della pubblica amministrazione". Il procuratore antimafia cita il caso Lo Giudice con "i suggerimenti al capomafia di Canicattì per far sciogliere il consiglio comunale ed esercitare così la sua influenza politica" o quello del municipio di Villabate, "dove il presidente del consiglio comunale, che era un funzionario di banca, ha procurato il documento con cui il boss Provenzano espatriò a Marsiglia per farsi operare".

Ecco allora che "non può certo essere sottovalutato il pericolo concreto rappresentato dalla criminalità organizzata mafiosa, nonostante l'indubbio successo della cattura del capo Provenzano e la scoperta delle 'talpe' infiltrate nelle istituzioni, che facevano uscire spifferi sulle indagini che arrivavano direttamente a Cosa nostra".

30/01/2007










10:00 AM - Wednesday 31 January 2007 - Invia un commento
Commento senza titolo
=)
farò quello che posso angelo!!
ma vedrai che si accorgeranno di te e del tuo blog, anche senza di me;)
cmq tranqui...
un bacio
lily85 - 06:16 PM - Friday 2 February 2007




Di Gati: anche Beniamino collabora con la giustizia
Anche Beniamino Di Gati, 44 anni, di Racalmuto, cosi’ come il fratello, Maurizio Di Gati, 40 anni, collabora con i magistrati e adesso e’ sotto protezione in una localita’ segreta. Maurizio Di Gati si e’ consegnato ai Carabinieri, dopo quasi 7 anni di latitanza, lo scorso 26 novembre. Beniamino, insieme al fratello Roberto di 42 anni che si e’ suicidato in carcere il pomeriggio dell’8 dicembre, e’ stato invece arrestato il 5 dicembre







09:32 PM - Tuesday 30 January 2007 - Invia un commento


I Pm hanno chiesto quindici condanne .
I Pm della Dda Fernando Asaro e Costantino De Robbio
Le Requisitoria



I Pm hanno chiesto quindici condanne



Il processo scaturito dall’operazione antimafia denominata San Calogero, effettuata nel Luglio del 2005 dalla Squadra Mobile contro il clan locale di Cosa nostra, è ormai alle battute finali. I Pm della Dda Fernando Asaro e Costantino De Robbio hanno chiesto la condanna per 15 imputati(il processo si sta celebrando con il rito abbreviato dinanzi al Gup Morosini). In particolare, la pubblica accusa ha chiesto 20 anni di carcere per Antonio Massimino, 12 anni per Giuseppe Sicilia, 11 per Gregorio Lombardo, 10 per Francesco Caruana e Ignazio Sicilia, 9 per Roberto Travali e Martino Dino Vitello, 8 per Andrea Cacciatore, Salvatore Galvano, Antonio Camilleri, Matteo Sammartino e Vincenzo Mendola, 5 anni per Salvatore Pedalino e 4 anni per Michele Battaglia, dipendente della Questura agrigentina accusato del solo reato di favoreggiamento personale. Per tutti gli altri le accuse, contestate a vario titolo, sono di associazione per delinquere di stampo mafioso, rapina aggravata, incendio, danneggiamento, estorsione, porto e detenzione illegale di armi comuni da sparo, associazione finalizzata all’acquisto, al trasporto e alla vendita di sostanze stupefacenti.







08:51 PM - Thursday 25 January 2007 - Invia un commento




News Di Gati e Gagliardo





Di Gati e Gagliardo , buona la prima

al processo antimafia “ San Calogero “





Di Gati Gagliardo


Prima «uscita» ufficiale per i due neo pentiti di Cosa nostra della provincia di Agrigento, Maurizio Di Gati e Ignazio Gagliardo, sentiti ieri a Milano nel contesto del processo scaturito dall'operazione antimafia denominata «San Calogero». Erano stati i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo a chiedere fortissimamente al Gup Piergiorgio Morosini di interrompere la discussione della difesa e riaprire il processo per sentire i due nuovi collaboratori della giustizia. E così è stato. Il giudice ha riaperto il processo e fissato per la giornata di ieri un'udienza straordinaria nell'aula bunker del carcere di Milano per sentire i due racalmutesi.
Sulle circostanze e motivazioni del pentimento, sia Di Gati che Gagliardo hanno sostanzialmente ribadito quanto già dichiarato nel recente passato ai magistrati della Dda. In entrambi i casi la decisione è riconducibile a motivi di ordine familiare, volendo il Di Gati assicurare un futuro dignitoso alla propria famiglia, e dovendo il Gagliardo curare adeguatamente la moglie affetta da una malattia che necessita particolari terapie.
Qualcosa in più sul suo arresto, però, Di Gati lo ha detto, dichiarando, di essersi sostanzialmente consegnato ai carabinieri al termine di una breve trattativa avviata grazie alla collaborazione di un parente. Ha aggiunto, inoltre, di essere stato in contrasto e in conflitto con il latitante Giuseppe Falsone, boss di Campobello di Licata, attuale rappresentante provinciale di Cosa nostra, ritenuto elemento particolarmente pericoloso. In riferimento agli imputati di questo processo, Di Gati ha confermato che a comandare nel capoluogo agrigentino sarebbero stati i componenti del clan Massimino.
Ignazio Gagliardo ha parlato dei contrasti intercorsi negli anni passati tra i boss Fragapane, di Santa Elisabetta, e Falsone, di Campobello di Licata, aggiungendo di avere appreso parte dei fatti e circostanze riferiti de relato, cioè dalle dichiarazioni di altri soggetti appartenenti all'associazione mafiosa di Cosa nostra.
Al termine della lunga udienza che ha impegnato tutti gli addetti ai lavori per l'intera giornata di ieri (la mattina è stata dedicata a Di Gati, mentre nel pomeriggio è stato sentito Gagliardo), il giudice ha rinviato al 25 gennaio la prosecuzione del processo. Si tratta di un termine concesso alla difesa per articolare eventuali prove contrarie e citare testi (in questo caso imputati di reato connesso) a riscontro delle dichiarazioni rese dei due collaboratori di giustizia. I quindici imputati sono difesi dagli avvocati Re, Pennica, Neri, Gaziano, Mirabile, Cappello, Farina, Di Francesco, Patanè, Vinciguerra e Castronovo. Il Comune di Agrigento è costituito parte civile con il patrocinio dell'avvocato Gaetano Bruna.



Dario Broccio







11:00 AM - Thursday 18 January 2007 - Invia un commento




Giuliano Guazzelli " Marascià"




Marascià

L’eroe dimenticato




"...ci sono uomini nati per vivere senza infamia,
altri che compiono quotidianamente il loro dovere,
altri, rari, che vanno al di là di tutto e di tutti.
Uomini diventati eroi, che hanno sacrificato la loro vita
per quella altrui, la propria libertà per quella di tutti.
Giuliano Guazzelli era uno di questi."



Nacque a Gallicano il 6 aprile nel 1933.
Si arruolò giovanissimo nell’Arma era arrivato quasi subito in Sicilia nel 1954. Prima una breve parentesi in Puglia. Nell'isola del sole e della mafia ha lavorato a Palermo, Santa Ninfa, Palma di Montechiaro e Agrigento. In Sicilia ha conosciuto Maria Caterina Montalbano che divenne sua moglie. Giuliano Guazzelli si stabilì così nel paese della consorte: a Menfi in provincia di Agrigento. Giuliano e Maria Caterina hanno avuto tre figli: Riccardo, Teresa e Giuseppe.


E’ stato stretto collaboratore del colonnello Giuseppe Russo e del generale Carlo Albero Dalla Chiesa, entrambi uccisi dalla mafia.
Nella sua prestigiosa carriera aveva ricevuto decine di encomi solenni. Negli ultimi anni aveva lavorato, come comandante del nucleo di polizia giudiziaria della procura di Agrigento, al fianco del giudice Rosaro Livatino. Prima di essere ucciso il sottufficiale era sulle tracce dei killers del "giudice ragazzino" che venne freddato il 21 settembre del 1990. Guazzelli era soprannominato il "mastino", per la tenacia con cui portava avanti ogni indagine che lo aveva reso uno dei migliori servitori dello Stato. Il suo modo di investigare ancora ora fa scuola. Era un uomo di grandi principi morali ed etici, lavoratore instancabile, memoria storica dell’apparato investigativo italiano che si occupava di cosche e droga.


Giuliano Guazzelli venne ucciso il 4 aprile del 1992 ad Agrigento.
Il sottufficiale stava ritornando a Menfi dopo una giornata di lavoro. La sua auto venne preceduta da un furgoncino dai quali vennero fuori due sicari armati di mitra e pistole. Il giorno prima era tornato da Roma dove aveva sentito un importante collaboratore di giustizia. Sul luogo del delitto si precipitò subito il giudice Paolo Borsellino che contava sull’apporto del maresciallo per portare avanti importanti inchieste antimafia in provincia di Trapani. Al delitto i giornali e le televisioni nazionali e regionali dedicarono importanti servizi di apertura e di prima pagina. Ai funerali parteciparono le massime cariche dello Stato fra cui l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.



Per l’omicidio del maresciallo Giuliano Guazzelli sono state inflitte sette condanne al carcere a vita. L’ergastolo per l’assassinio del sottufficiale è stato inflitto all'ex presunto capo della cupola agrigentina Salvatore Fragapane, e ai presunti boss Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e al latitante Gerlandino Messina. Diciotto anni di carcere sono stati, invece, decisi per l’empedoclino Alfonso Falzone, che con le sue rivelazioni permise ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo di incastrare sicari e mandanti.
Le pene inflitte dalla Corte d’Assise di Agrigento, presieduta dal giudice Luigi Patronaggio, sono state confermate dalla Corte d’Appello di Palermo e dalla Suprema Corte di Cassazione.



L'Elogio scritto dal comandante della Legione carabinieri Sicilia. Michele Colavito, al maresciallo Giuliano Guazzelli. In quel caso il sottufficiale con le sue indagini portò all'arresto dell'autore dell'omicidio di un bimbo di Palma di Montechiaro in provincia di Agrigento avvenuto nell'aprile del 1989. L'Elogio porta la data del 28 dicembre del 1989.



Deposizione di una corona in memoria del Maresciallo Giuliano Guazzelli innanzi alla lapide a lui dedicata presso il comando provinciale dei Carabinieri di Agrigento.




Il Comandante Generale, Luigi Federici, a capo dell'Arma dei Carabinieri dal 9 marzo del 1993 al 20 febbraio del 1997 quando andò in pensione donò la sua sciabola da ufficiale alla famiglia di Giuliano Guazzelli. Si tratta di un alto gesto simbolico. E', infatti, noto a tutti l'attaccamento che hanno gli ufficiali verso la sciabola che rappresenta un oggetto che accompagna la loro vita nelle forze dell'ordine e resta di solito un ricordo da conservare gelosamente. Federici ha voluto così simboleggiare il valore del sottufficiale toscano al quale l'Arma dei Carabinieri deve parte del suo grande prestigio.



Colonnello dei carabinieri Rodolfo Passaro
La lotta alla mafia sta portando risultati eccellenti.
"Nella provincia di Agrigento, per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri, la lotta alla mafia è stata caratterizzata dalla figura del maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso dalla mafia e Medaglia d'Oro al valor civile. Un uomo dotato di enormi capacità investigative".



Il procuratore generale della Corte d'Assise d'Appello di Palermo subito dopo la lettura del verdetto di secondo grado, il 22 marzo del 2003, ha parlato di "sentenza storica". «Possiamo affermare - ha dichiarato il magistrato inquirente - che quello appena concluso è il più importante processo alle cosche agrigentine. Vorrei ricordare il maresciallo Giuliano Guazzelli e il brigadiere Pasquale Di Lorenzo - ha concluso - due servitori dello Stato che sono stati uccisi perché facevano il loro dovere e troppo spesso dimenticati».



Encomio solenne alla memoria scritto in persona dal comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Antonio Viesti nel giugno del 1992.

L'ex capo del pool antimafia di Palermo Antonino Caponnetto ricorda la figura di Guazzelli.


Il comune di Gallicano, invece, decide di rendere onore al suo concittadino ucciso dalla criminalità organizzata dedicandogli un centro socio culturale. L'articolo è apparso sul giornale toscano "Il Tirreno " il 31 marzo 1995.

I giovani del quartiere di Monserrato, ubicato a 100 metri dal luogo dell'eccidio del maresciallo Giuliano Guazzelli, ricordano con una manifestazione il sacrificio del sottufficiale dell'Arma.









12:07 AM - Tuesday 16 January 2007 - Invia un commento
News Cosa Nostra voleva uccidere
il pm Anna Maria Palma









L’Unita
Domenica, 17 dicembre 2006

Cosa Nostra voleva uccidere il pm Anna Palma

Prime confessioni del boss Di Gati arrestato un mese fa: tritolo per il procuratore della DDA

L’ordine era partito. Il tritolo pure. Sarebbe arrivato da Caltanissetta. Cosa Nostra agrigentina aveva deciso di liberarsi di un altro magistrato scomodo. Questa volta sarebbe toccato ad una donna: il Procuratore aggiunto della DDA di Palermo con delega, appunto su Agrigento, Anna Maria Palma. A rivelarlo un collaboratore di giustizia fresco fresco di arresto, il boss Maurizio Di Gati, capo del mandamento di Agrigento, nato a Racalmuto, paese famoso per aver dato i natali a Sciascia.

Di Gati è finito in carcere alcune settimane fa dopo 7 anni di latitanza, nell’ambito di un’operazione diretta proprio dalla dottoressa Palma. La stessa che ha ascoltato e verbalizzato il racconto di quella che sarebbe stata la sua sorte, così come decisa dalla mafia: saltare in aria come Govanni Falcone e Paolo Borsellino. E la Palma è proprio il magistrato che, assieme al pm Nino Di Matteo, ha portato alla sbarra gli esecutori materiali della strage di via D’Amelio e di quella in cui persa la vita Rocco Chinnici.

Essere magistrati a Palermo significa anche questo: fare i conti con la paura che ti gela il sangue e continuare a lavorare come se nulla fosse. A vivere una vita che, diventa sempre più blindata. Gli uomini armati che da anni osservano ogni suo movimento e registrano ogni sguardo che si posa su di lei, compresi quelli, casuali dei passanti, dal giorno delle rivelazioni del boss, hanno ricevuto l’ordine di alzare la soglia di attenzione.

L’allarme, infatti, non è cessato, nonostante la preparazione dell’ attentato risalisse al 2004 ma anche considerando che il boss Giuseppe Capizzi di Ribera, che avrebbe dovuto materialmente sovrintendere alla preparazione, è stato arrestato a giugno, resta latitante il capo della Famiglia agrigentina, quel Giuseppe Falsone, che vanta nel suo curriculum criminale diversi ergastoli, imposto da Provenzano dopo aver ordinato a Di Gati di “rinunciare” al ruolo di capo conquistato grazie ad una azione menzognera costruita dal boss Antonino Giuffré poi arrestato e divenuto collaboratore di giustizia.

Giuffré aveva fatto credere a Provenzano, approfittando delle difficoltà di comunicazione imposte dalla latitanza, che il popolo mafioso, fra Falsone e Di Gati, riponeva maggiore credibilità e stima su quest’ultimo. Ma quando Giuffré venne catturato Provenzano scoprì di essere stato ingannato e “consigliò” a Di Gati di svolgere la funzione di capo mandamento lasciando la direzione generale a Falsone.

E ora il boss Maurizio Di Gati, appena quarantenne, passato dallo sfarzo di una villa arredata con vista sul mare e giardino con tanto di agrumeto all’interno del Villaggio Mosè nelle campagna di Favara, dove trascorreva la sua latitanza, ad una fredda e gelida cella di un supercarcere, ha deciso di vuotare il sacco. E a quanto pare nel suo sacco di notizie utili agli investigatori e anche destinate a far tremare la politica ce ne sarebbero molte.
Pare che il boss abbia cominciato a fare i nomi dei politici locali e nazionali che non avrebbero disdegnato di dare una mano a Cosa Nostra. Anche se per il momento le sue dichiarazioni messe a verbale, in attesa di essere passate al setaccio della verifica e dei riscontri cosiddetti incrociati, vengono prese con le pinze. Certo è che la sua collaborazione rappresenta un altro duro colpo per Cosa Nostra dopo l’arresto del suo capo supremo ziu Binnu e segna un altro punto a favore della repressione.

* * *

Corriere della Sera
Domenica 17 dicembre, 2006

Le rivelazioni di Di Gati ad Annamaria Palma

Il pentito alla pm antimafia
«I boss vogliono ucciderla»

AGRIGENTO - «Lei è nel mirino, dottoressa. Dovevamo ucciderla. Il piano è pronto. Cosa Nostra ha deciso». Proprio come era accaduto a Paolo Borsellino, l' ammissione su un attentato con autobomba ha preso corpo all' esordio delle rivelazioni del primo boss pentito di Agrigento, Maurizio Di Gati. Con parole rivolte direttamente al magistrato da eliminare, Annamaria Palma, titolare negli anni scorsi a Caltanissetta delle inchieste sulle grandi stragi Falcone e Borsellino, regista delle indagini su Berlusconi e Dell' Utri, adesso coordinatrice dalla Direzione antimafia di Palermo dell' attacco dello Stato alle cosche di Agrigento.

Clan fra i più compatti fino ad un paio di settimane fa, quando Di Gati, capomafia con quartiere generale a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, ha concluso la sua latitanza cominciata nel 1999. Epilogo di un' operazione di polizia agevolata dalle pressioni esercitate sul boss da uno dei suoi fratelli, Roberto, 42 anni, felice in quei giorni della svolta appresa in cella, nel carcere di contrada Petrusa. Ma proprio lì, a due passi dai Templi, è stato trovato impiccato con un lenzuolo. Un suicidio che secondo il sospetto dei magistrati sarebbe un omicidio camuffato. Una vendetta trasversale abbattutasi su un' intera famiglia adesso protetta lontano dalla Sicilia.

Di questo si occupa Annamaria Palma che, da procuratore aggiunto di Palermo, ha invece dovuto trasferire a Caltanissetta le rivelazioni sul mancato attentato ideato così come glielo ha raccontato Maurizio Di Gati, un quarantenne dagli occhi di ghiaccio spinto al pentimento anche dalla giovane moglie. Una scelta che ha sconvolto la calma piatta di un paese come Racalmuto, dove un altro fratello dei Di Gati fu ucciso in una strage del 1991, un altro è stato consigliere comunale e un altro ancora è dipendente del municipio.

Sono proprio le rivelazioni sull' asse mafia-politica a far tremare molti personaggi sul piano provinciale e regionale, ben oltre i confini del piccolo centro dove la lupara bianca ha colpito il capo dell' ufficio tecnico, un ingegnere sparito sei anni fa dalla circolazione. Sono aree in cui la mafia sembrava un muro impenetrabile. Non a caso Giovanni Brusca per la sua latitanza aveva scelto un casolare nelle periferie di Agrigento.
Ma l' esercito si sfilaccia. Di Gati è infatti il terzo boss a pentirsi dopo un suo conterraneo di Racalmuto, il trentaquattrenne Ignazio Gagliardo, e dopo Luigi Patrone di Porto Empedocle. Tutti con parenti terrorizzati dopo quella morte sospetta che non archivierebbe come un suicidio nemmeno il professore Paolo Procaccianti, il medico legale pronto a svelare che cosa è davvero accaduto in quel carcere. E si affaccia perfino l' ipotesi dell' istigazione al suicidio.

Magistrato nel mirino





CHI È Annamaria Palma (foto), procuratore aggiunto a Palermo, coordina il pool di pm che indaga sulle cosche dell' Agrigentino. Ha anche rappresentato l' accusa durante il processo per la strage di Capaci, in cui morì il giudice Giovanni Falcone .

10:46 PM - Thursday 4 January 2007

1 commento:

  1. il mandamento di casteltermini e roccia
    il fratello di di piazza vincenzo uomo d'onore paolo o gino e' stato ucciso camuffando un suicidio voleva uccidere senza consenso il genero di un consigliere comunale e mafioso
    che lavorava guardia carceraria a agrigento

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