Villaggi turistici nelle mani del clan, 38 arresti
Nuovo filone dell'operazione "Black Money" portato a termine da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Scoperti i risvolti economici della cosca e lo spostamento di denaro con un sofisticato sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello “scudo fiscale”
di STEFANIA PAPALEO e GIANLUCA PRESTIA
VIBO VALENTIA - Blackout money 2: continua l'offensiva della Dda di Catanzaro contro la cosca Mancuso. Ancora una volta Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza sono scesi insieme in campo per eseguire 38 arresti nella provincia di Vibo Valentia. In tasca anche in provvedimento corposo di sequestri di beni per un valore di decine di milioni di euro, sfociato dall'attività investigative coordinate dal procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Giuseppe Borrelli. Quella portata a termine oggi è l'unificazione di distinte attività investigative portate a termine dalle forze dell'ordine e unificate in un unico blitz.
Dopo il blitz messo a segno attraverso l'operazione Black money, infatti, le indagini hanno ora chiuso il cerchio dal punto di vista fiscale, essendo emerso il pressoché totale controllo da parte della cosca Mancuso di Limbadi di rinomate strutture residenziali e turistiche della costa vibonese. Da lì la strada investigativa che ha portato gli inquirenti (i pm Marisa Manzini, Simona Rossi e Pier Paolo Bruni) ad ipotizzare il riciclaggio dei capitali illeciti, in tal modo maturati, con un sofisticato sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello “scudo fiscale”. I dettagli dell’operazione saranno comunque illustrati nel corso di una conferenza stampa che si terrà questa mattina alle 11.30 presso la Prefettura di Vibo Valentia.
Dal filone condotto dalla squadra mobile, invece, sono emersi numerosi episodi di usura ai danni di imprenditori delle province di Vibo Valentia e Catanzaro ai quali venivano imposti tassi calcolati al 120% annuo a fronte di somme di danaro prestate in fase di difficoltà economiche delle attività di cui erano proprietari. Il provento dell’usura, secondo l’accusa, costituiva una forma di reinvestimento di capitali riconducibili ad esponenti di spicco della famiglia Mancuso, in particolare a Giovanni Mancuso, indicato come una «figura carismatica» all’interno della cosca.
SEQUESTRO BENI. Nell'ambito dell'operazione sono stati sequestrati beni per un valore di 40 milioni circa, tra i quali una società che organizza e gestisce spettacoli ed eventi a carattere nazionale, la CaMo. L’operazione è la sintesi di tre inchieste condotte dai carabinieri del Ros, dai finanzieri del Gico e dalla squadra mobile di Catanzaro e rappresenta il seguito di quella condotta alcune settimane fa sempre contro la cosca Mancuso. Tra gli arrestati del Ros figurano i due imprenditori titolari della CaMo, Nicolangelo Castagna e Filippo Mondella, accusati di concorso in trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle modalità mafiose dal momento che la società, secondo l’accusa, era riconducibile ad uno dei boss della cosca Mancuso, Giuseppe. Il filone investigativo seguito dalla Guardia di finanza, invece ha riguardato una maxi evasione fiscale con conseguente attività di riciclaggio a livello internazionale grazie anche ad operazioni cosiddette di «eurovestizione». Si tratta di uno stratagemma che prevede l’apertura di società che operano in Italia, ma fatte passare per società di diritto estero allo scopo di non pagare le tasse in Italia, ma di farlo all’estero con una minore pressione fiscale. In questo filone sono stati arrestati, tra gli altri, anche commercialisti ed avvocati. Nella tranche di inchiesta condotta dalla squadra mobile, infine, è stato arrestato uno dei capi della cosca, Antonio Mancuso, di 75 anni.
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