REGGIO CALABRIA - La 'ndrangheta negò il proprio appoggio a Cosa nostra in occasione delle stragi del 1992 e 1994. Lo ha riferito il pentito Antonino Fiume, stretto collaboratore dei boss della cosca De Stefano, deponendo oggi nel processo Meta a Reggio Calabria. Rispondendo alle domande del pm della Dda Giuseppe Lombardo, Fiume ha raccontato di tre riunioni volute dai corleonesi di Totò Riina, due tenutesi nel vibonese ed una a Milano, nel corso delle quali la 'ndrangheta, rappresentata da Giuseppe De Stefano, negò a 'Totò u curtu' il proprio appoggio nell’attacco allo Stato. «L'unico tra i presenti ad essere possibilista – ha detto Fiume – fu Franco Coco Trovato, ex suocero di Carmine De Stefano».
I LEGAMI CON LA POLITICA. Voti, legami, sostegni e minacce. Ci sono anche i rapporti tra 'ndrine e politici nel racconto di Fiume. «Mi riferisco alle elezioni regionali degli anni '90 ed alle successive elezioni amministrative, quando venivano a cercarmi molti candidati in cerca di consenso. Posso dire che era la politica a cercare il rapporto con la 'ndrangheta e non viceversa, e tanti appoggi li ho dati per amicizia personale. Certo non per tutti i candidati c'era l’appoggio perchè ad alcuni si diceva chiaramente di no. Posso dire che se io votavo a destra, ma c'era chi votava anche a sinistra. Posso testimoniare a chi ho chiesto i voti, casa per casa». Così si è espresso il collaboratore di giustizia, il primo pentito interno alla cosca De Stefano di Reggio. Fiume ha risposto per oltre otto ore alle domande del pm antimafia Giuseppe Lombardo con la testa coperta da una giacca scura e protetto alla vista da un separè, ma non ha fatto nomi di politici per espressa richiesta del pm.
«Sono sempre stato a fianco di Peppe e Carmine De Stefano - ha detto il pentito – loro accompagnatore ed autista di fiducia, anche se non sempre ho preso parte a tutti gli incontri che Peppe De Stefano teneva con gli esponenti della 'ndrangheta della ionica e della tirrenica che in lui vedevano l’erede di Paolo De Stefano». Fiume, che per un periodo è stato anche fidanzato con Maria De Stefano, sorella di Giuseppe e di Carmine, ha riferito ai giudici dei contrasti esplosi all’interno del clan degli 'arcotì, soprattutto tra i figli di Paolo De Stefano e lo zio Orazio, detto 'Petrù, che aspirava a ricoprire il posto di capo bastone, dopo gli omicidi dei fratelli Giovanni, Giorgio e Paolo nel corso delle due guerre di mafia che hanno insanguinato Reggio negli anni '70 e '80. Fiume ha parlato anche del ruolo del boss Paolo Martino e del risentimento nei suoi confronti di Peppe De Stefano che lo accusava di non averlo aiutato nella guerra di mafia scoppiata dopo la morte del padre Paolo e che aveva preferito ritirarsi a Milano e tenersi fuori. Il collaboratore ha anche parlato del sistema delle tangenti. “Tutti gli appaltatori – ha detto – venivano ad Archi per mettersi a posto e pagare la mazzetta. Il 5% veniva ripartito equamente tra De Stefano, Condello e Tegano, anche quando si trattava di imprenditori notoriamente vicini a noi».
Infine, Fiume ha parlato delle pressioni subite da Carmine De Stefano affinchè, sul finire degli anni '90, contattasse Giuseppe Scopelliti, eletto consigliere regionale per la prima volta nel 1996 ed attuale presiedente della Regione, «per sistemargli la moglie alla Regione, cosa che non avvenne. E per tale ragione Carmine mi diceva che gli avrebbe bruciato l'auto». L’udienza riprenderà venerdì 13 luglio.
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