Addio alla diaria per gli assenti e via i 3600 euro per i portaborse. Lega e Idv votano contro: si poteva fare di più
ROMA - Cambiano le pensioni per i parlamentari. L’ufficio di presidenza della Camera ha dato il via libera al passaggio al sistema contributivo pro rata per le pensioni di tutti i deputati a partire dal 1 gennaio prossimo, innalzando l’età minima per la pensione dai 50 ai 60 anni. E così anche a Palazzo Madama: passaggio del sistema contributivo pro-rata per le pensioni di tutti i senatori a partire dal 1 gennaio 2012, innalzando l’età minima per la pensione dai 50 ai 60 anni per chi ha più legislature, 65 per chi ha una sola legislatura. Finalmente i «lorsignori», come li chiamava il mitico Fortebraccio, applicano i sacrifici anche a se stessi?
La Lega e l’Italia dei Valori, nel tentativo di lisciare il pelo alla retorica anti-casta, gridano che ci vuole ben altro. Tutti gli altri pensano, e dicono, che è già qualcosa: anzi, molto. Prima, per legge, ai vitalizi non si poteva rinunciare. Ora su proposta di Rosy Bindi è stata inserita nel regolamento una clausola che prevede la possibilità per ogni deputato di concordare un trattamento pensionistico «meno favorevole» per se stesso. Si può anche rifiutare di prendere il vitalizio. Di fatto, ieri, dopo la decisione della Camera, il leghista Stucchi e la dipietrista Mura cominciano a protestare, dicono «si può fare di più», accusano la «casta» (cui loro professionalmente appartengono) di auto-proteggersi ancora una volta, sostengono che i vitalizi vanno aboliti e che il nuovo regime previdenziale deve essere applicato anche a quelli che già sono in pensione.
La Bindi perde la pazienza e dice: «Ah, sì, e allora se proprio volete abolire i vitalizi cominciate rinunciando al vostro. Ora si può». Quelli si sentono offesi (intanto su twitter c’è chi prende in giro la Mura perchè ha scritto «vitalizzi» con due zeta) e gridano alla provocazione: e insomma, ieri è andata così.
Ma quel che conta è che qualcosa s’è fatto. Almeno sui vitalizi. Giovani deputati, come Nunzia Di Girolamo e Francesco Boccia, coppia bipartisan, sintetizzano: «Non andremo mai in pensione». Personaggi come Alessandra Mussolini o Giovanna Melandri, che potevano andarci tra poco, dovranno rinviare. E così tanti altri.
Quelli che hanno fatto una sola legislatura dovranno aspettare i 65 anni. Un qualsiasi deputato cinquantenne con alle spalle tre o quattro legislature, se si dimette entro il 31 dicembre prossimo, ha diritto al vitalizio subito secondo il vecchio regolamento (e si tratta di circa 3500 euro netti per chi ha 15 anni di contribuzione da parlamentare). Non sono pochi a stare in questa condizione, ma ovviamente non si dimetteranno. Se si dimettessero - stiamo facendo un’ipotesi di scuola - il prossimo 2 gennaio, a nuovo regime previdenziale in vigore, non subito ma a 60 prenderanno il vitalizio.
E sugli stipendi? Il presidente Schifani: «Ci adegueremo alla media delle indennità negli altri Paesi europei. Lo faremo con rigore e con equità, ma senza arrenderci alle spinte pericolose e irragionevoli dell’anti-politica».
La questione sarà decisa entro gennaio, come ha detto anche Fini. La soluzione non sarà indolore, e ieri infatti molti deputati erano in preda al panico. Probabilmente l’adeguamento degli stipendi alla media europea significherà che ai deputati verranno tolti i 3.690 euro netti al mese che ora percepiscono per pagare i collaboratori. I quali, come si usa negli altri Paesi e anche all’Europarlamento, saranno direttamente stipendiati, in base a un contratto regolare, dall’istituzione parlamentare e non dai singoli deputati e senatori. I collaboratori parlamentari fra Montecitorio e Palazzo Madama ieri hanno subito esultato: «Evviva l’arrivo, promesso, del modello Ue». Così verrebbe introdotto un metodo trasparente, e si potranno evitare casi come quelli di qualcuno che non si dota di collaboratori ma si tiene i soldi che sarebbero destinati a loro o paga come membri dello staff parenti e amici.
Una sforbiciata è possibile anche sulla diaria, che adesso è di 3.500 euro netti al mese. Una trattenuta sulla diaria per le assenze alle votazioni in aula e commissione è stata decisa ieri al Senato. E si tratta di una misura già in vigore da novembre a Montecitorio, anche per le sedute senza votazione.
Si sta facendo sul serio? Chissà. L’Idv e la Lega, alla Camera, non hanno votato la delibera sui vitalizi. Perchè volevano che il contributivo valesse anche per i vecchi vitalizi (quelli ad esempio che già percepiscono Pecoraro Scanio con quasi novemila euro, Cicciolina e Toni Negri). Inoltre saranno le Camere (quindi lo Stato) a pagare i due terzi dei contributi. Anche per il personale dei due rami del Parlamento saranno in vigore dal primo gennaio (ufficializzazione prevista la prossima settimana, dopo trattativa sindacale) le nuove regole sulle pensioni introdotte dalla manovra. E cioè: passaggio al contributivo e innalzamento dell’età di anzianità e vecchiaia.
Intanto, circola a Montecitorio la lista dei deputati che potevano avere il vitalizio a portata di mano e invece dovranno aspettare a lungo. C’è chi li chiama i «dead vitalizio walking». Si va dalla A di Ale (la Mussolini potrà festeggiare l’assegno nel 2023) alla C di Cosentino (che ora è nei guai per le inchieste ma dovrebbe prendere l’assegno quando spegnerà le sessanta candeline, il 2 gennaio 2019), dalla F di Frattini (2017) alla S di Stucchi. Chi? Il leghista che vorrebbe più durezza anti-casta sulle pensioni e su tutto il resto prenderà l’assegno nel 2029. Oppure, come gli ha consigliato Rosy Bindi, ci rinuncerà?
Mario Ajello
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