La decisione dopo il tentativo di suicidio o quello che potrebbe essere un gesto dimostrativo del capomafia. Non potrà disporre nemmeno del fornelletto per scaldarsi i pasti
ROMA. Dopo il tentativo di suicidio o quello che potrebbe essere un gesto dimostrativo del capomafia Bernardo Provenzano è stata intensificata nel carcere di Parma la sorveglianza già altissima nei suoi confronti; ora il superboss non potrà disporre nemmeno del fornelletto per scaldarsi i pasti. Lo si è appreso da fonti del Dap.
Provenzano tenta il suicidio in carcere
Il superboss era a letto quando ha infilato la testa in una busta di plastica con il proposito di uccidersi. Salvato da un poliziotto penitenziario del Gom. Fonti del Dap: “ È tutta una messinscena, vuole dimostrare la sua pazzia”. L’avvocato di Binnu: “Chi gli ha dato quel sacchetto?”
PARMA. Il superboss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano ha tentato il suicidio nel carcere di Parma ed è stato salvato da personale della polizia penitenziaria. Il fatto avvenuto nella tarda serata di due giorni fa nell'area riservata della struttura che lo ospita sarebbe però, secondo fonti del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, una messinscena. Il boss, sottoposto recentemente a perizie che hanno stabilito che è in grado di intendere e di volere, già da giorni avrebbe cercato di dimostrare la sua pazzia. L'altra sera, quando l'addetto alla sorveglianza, un poliziotto penitenziario del Gom (Gruppo Operativo Mobile) si è avvicinato, Provenzano ha messo la testa dentro un sacchetto di plastica di piccole dimensioni usato per tenere i farmaci. L'intervento dell'agente è stato sottolineato, è stato comunque tempestivo. Per dare prova della sua instabilità mentale, ieri il boss diceva di non riuscire a sedersi e di non trovare la sedia. L'episodio non ha avuto conseguenze su Provenzano, che non è stato neppure portato in ospedale.
Considerato il capo di tutti i capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano - che ha 79 anni ed è detenuto dal 2006, in regime di 41 bis (il carcere duro), dopo essere stato protagonista di una latitanza record di 43 anni - sta scontando nella sezione protetta del carcere di Parma alcune condanne all'ergastolo. Nonostante sia gravemente malato - reduce da un tumore alla prostata, soffre di un inizio di Parkinson e di un'encefalite destinata a peggiorare - recentemente è stato ritenuto in grado di partecipare ai processi e di "difendersi utilmente". Qualche tempo fa è stato chiesto di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane, che non sarebbe più in grado di assolvere.
L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si é subito interrogata su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?".
Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss (fasullo o reale) "é stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Beneduci - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale". E l'altro sindacato, il Sappe, ricorda che "nel 2011 la polizia penitenziaria ha salvato la vita a 1.037 persone che hanno tentato il suicidio in carcere". Un dato - osserva il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, che testimonia una "attenzione altissima da parte degli agenti in servizio, nonostante le tante carenze da cui, purtroppo, il carcere di Parma non è esente". Insieme a Provenzano, a Parma sono una cinquantina i detenuti in regime di 41 bis.
Considerato il capo di tutti i capi di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano - che ha 79 anni ed è detenuto dal 2006, in regime di 41 bis (il carcere duro), dopo essere stato protagonista di una latitanza record di 43 anni - sta scontando nella sezione protetta del carcere di Parma alcune condanne all'ergastolo. Nonostante sia gravemente malato - reduce da un tumore alla prostata, soffre di un inizio di Parkinson e di un'encefalite destinata a peggiorare - recentemente è stato ritenuto in grado di partecipare ai processi e di "difendersi utilmente". Qualche tempo fa è stato chiesto di valutare la possibilità di trovare qualcuno che aiuti il boss nelle attività quotidiane, che non sarebbe più in grado di assolvere.
L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si é subito interrogata su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?".
Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss (fasullo o reale) "é stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Beneduci - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale". E l'altro sindacato, il Sappe, ricorda che "nel 2011 la polizia penitenziaria ha salvato la vita a 1.037 persone che hanno tentato il suicidio in carcere". Un dato - osserva il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, che testimonia una "attenzione altissima da parte degli agenti in servizio, nonostante le tante carenze da cui, purtroppo, il carcere di Parma non è esente". Insieme a Provenzano, a Parma sono una cinquantina i detenuti in regime di 41 bis.
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