L'inchiesta ha permesso di svelare l'atteggiamento delle cosche del Reggino rispetto alle elezioni. Nessun accordo con la politica, i candidati sono indicati direttamente e fanno parte del clan. Quindici le persone arrestate nell'operazione della polizia
REGGIO CALABRIA - La ‘ndrangheta non fa accordi con la politica, non più. Ora la politica la fanno direttamente gli affiliati di vertice. I boss ragionano, dirigono, si confrontano e decidono chi deve essere candidato, quando e dove. Così a Siderno, si sono presi il Comune. Alla Provincia c’era un “santista”. E alla Regione si puntava tutto su Cosimo Cherubino. Le regole erano precise. Chiunque poteva aspirare a correre per uno scranno, a patto di non tradire l’organizzazione e di avvertire «gli uomini». Dare voce «ai cristiani» significava essere autorizzati e quindi avere, o meglio potere aspirare, al sostegno della ‘ndrangheta.
Tutto era controllato, anche il passaggio da un partito all’altro, da uno schieramento a quello opposto.
E’ uno spaccato terrificante quello svelato dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria con l’inchiesta “Falsa politica” del pm Antonio De Bernardo. Dimostra come i clan fossero in grado di determinare i destini di un’itera comunità, dove i politici si presentavano con il cappello in mano dai mammasantissima. Che poi però decidevano di sostenere soltanto i “loro” affiliati.
A Siderno, per poter tentare la scalata in politica bisognava avere la “benedizione” del boss Giuseppe Commisso, capo indiscusso dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. “U mastru” dispensava buoni consigli e ricordava le regole. Regole che nessuno poteva permettersi il lusso di infrangere.
Tutto documentato nell’inchiesta della squadra mobile che ha portato ieri mattina all’arresto dell’ex consigliere regionale, Cosimo Cherubino, l’ex assessore provinciale Rocco Agrippo, il consigliere comunale Domenico Commisso e di altri esponenti politici locali.
L’operazione è sostanzialmente la prosecuzione delle inchieste “Crimine”, “Recupero-Bene comune” e “Locri è unita”.
Gli investigatori hanno analizzato centinaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali dalle quali è emerso che il boss Commisso decideva su quali candidati puntare in occasione delle elezioni amministrative. Nel corso delle indagini è emerso che gli esponenti politici di Siderno si recavano nella lavanderia del “mastro”, per chiedergli il «permesso di candidarsi». Quando il capo della cosca assicurava il suo appoggio gli esponenti politici chiedevano di «racimolare i consensi all’interno della cosca necessari per l’elezione».
Gli investigatori hanno anche accertato che quando Commisso negava il suo appoggio i politici decidevano di non prendere parte alle competizioni elettorali.
Nelle oltre cinquecento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare sono numerose le conversazioni tra gli esponenti della cosca dei Commisso nelle quali si fa riferimento al sostegno fornito a Cosimo Cherubino, candidato nelle elezioni regionali del 2010 nella lista del Pdl. Nonostante tutto però Cherubino non riuscì ad essere eletto. Aveva avuto un brillante risultato in occasione delle elezioni regionali precedenti quando, invece, riuscì ad essere eletto con la lista dello Sdi.
Già due anni fa, agli esiti dell’indagine “Crimine”, la Dda di Reggio Calabria aveva deciso di notificare a Cherubino un avviso di garanzia per i reati di voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa. Nella nuova contestazione Cherubino viene accusato di essere intraneo al clan.
La cosca Commisso, secondo l’accusa, ha appoggiato anche l’elezione di altri esponenti politici locali che sono finiti in manette. Si tratta come detto dell’ex consigliere provinciale Rocco Agrippo, eletto con lo Sdi. Del consigliere comunale di Siderno, Domenico Commisso, e Giuseppe Tavernese, ex consigliere comunale di maggioranza quando a capo della giunta c’era l’allora sindaco Alessandro Figliomeni arrestato nel dicembre del 2010 perchè ritenuto affiliato alla potente cosca di Siderno.
Nelle carte dell’inchiesta si registra anche il rischio di una frattura interna alla cosca, che stava per spaccarsi quando Figliomeni venne fatto dimettere. Figliomeni, anch’esso interno al clan, era sostenuto dal vecchi boss ’ntoni Commissio “U quagghia”, ma era inviso a boss Giuseppe Commisso. Attriti che si acuirono quanto Figliomeni uscì da Forza Italia per fondare l’Mpa a Siderno. Uno strappo che divenne ancora più grave con la candidatura dello stesso Figliomeni alle regionali con il centrosinistra. Operazione condotta «senza passare parola agli uomini». Così finì la sua carriera politica, prima ancora del suo arresto.
GIUSEPPE BALDESSARRO
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