giovedì 7 gennaio 2010

"Piersanti Mattarella fu un eroe"




"Piersanti Mattarella fu un eroe"

PALERMO - "Eroico Presidente della Regione Siciliana, politico di spessore, amministratore scrupoloso, uomo di altissime doti umane e morali, fu sostenitore attivo di una politica di modernizzazione dell'amministrazione regionale e della necessità di diffondere la cultura della legalità a tutta la società civile". Con queste parole il Presidente del Senato, Renato Schifani, ricorda oggi Piersanti Mattarella nel 30mo anniversario del suo omicidio.

"L'esperienza storica dell'autonomia siciliana include una pagina di concreto e lungimirante impegno per liberare la Sicilia dal malaffare e dalla mafia, dal sottosviluppo e dalla marginalità: ricordare Piersanti Mattarella è richiamare l'esemplarità di quest'impegno, saldamente ancorato ad un robusto impianto di valori e, al tempo stesso, esito di una tenace volontà di riscatto della Sicilia". Lo ha detto il segretario regionale del PD Giuseppe Lupo.

"Piersanti Mattarella è di grande attualità e questo deve farci riflettere. A 30 anni dalla sua uccisione resta inderogabile il dovere morale di lottare perchè la Sicilia sia normale e possa battere definitivamente Cosa nostra, contro la quale Mattarella si schierò in maniera forte, ispirato dalla fede". L'ha sostenuto il governatore siciliano Raffaele Lombardo.

"Le speranze per capire i retroscena del delitto Mattarella sono ancora accese. Le indagini non finiscono mai, ci può sempre essere qualche spunto, qualche collaboratore che faccia un pò più di luce sull'omicidio". Lo ha affermato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Trent'anni fa, quando fu ucciso il presidente della Regione siciliana, Grasso era il pm di turno in procura e fu proprio lui ad effettuare il primo sopralluogo.


Omicidio di Piersanti Mattarella



Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, allievo di Aldo Moro, uomo-chiave del compromesso storico in Sicilia, muore il giorno dell'Epifania del 1980. Quel 6 gennaio, poco prima delle 13, Mattarella esce da casa, in via Libertà, il salotto buono di Palermo; è con moglie e figli e sta andare a messa. La famiglia sale a bordo della Fiat 132. Non c'è scorta: il presidente la rifiuta nei giorni festivi, vuole che anche gli agenti stiano con le loro famiglie. Si è appena seduto alla guida della vettura, quando si avvicina il killer che spara uno, due, tre colpi. Poi fugge, mentre Irma Chiazzese, moglie del presidente, gli prende la testa tra le mani, piange, lo scuote. Mattarella spira mezzo'ora dopo in ospedale; accanto a lui il fratello Sergio, accorso per strada appena sentite le detonazioni.
Già negli ultimi mesi del 1979 Mattarella si era reso pienamente e drammaticamente conto che la propria sorte, la propria vita, erano strettamente intrecciate all'evoluzione dei rapporti di forza tra politica e mafia e al peso che all'interno del suo partito avevano quegli uomini che - secondo lui - "non facevano onore al partito stesso" e che "bisognava eliminare per fare pulizia".
Era volato a Roma, aveva chiesto un colloquio con l'allora ministro degli interni Rognoni; ma da quella conversazione egli era tornato più turbato che rasserenato, come se il suo interlocutore non avesse capito o non avesse la possibilità di intervenire. Il giorno dopo, aveva incontrato il suo capo di gabinetto, la dottoressa Trizzino, e le aveva confidato: "Le sto dicendo una cosa che non dirò né a mia moglie né a mio fratello. Questa mattina sono stato con il ministro Rognoni ed ho avuto con lui un colloquio riservato su problemi siciliani. Se dovesse succedere qualche cosa di molto grave per la mia persona, si ricordi questo incontro con il ministro Rognoni, perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere".



Ma quali rivelazioni esplosive Mattarella aveva fatto a Rognoni?
Perché Mattarella riteneva lucidamente, come i fatti poi dimostrarono, che quel colloquio poteva costargli la vita?
Questo né la testimonianza vaga e lacunosa di Rognoni, né l'inchiesta giudiziaria lo hanno mai chiarito fino in fondo.
Una cosa è certa. Indicato all'interno della DC come possibile, futuro segretario politico nazionale del partito, Mattarella aveva più volte manifestato la propria insofferenza per le infiltrazioni mafiose all'interno della DC siciliana. Con la sua morte si concludeva quella "primavera" politica e amministrativa che con lui aveva vissuto una breve e tormentata stagione, ricacciando un'intera classe dirigente siciliana nel baratro del passato, ammutolita e incredula dinanzi ad una sfida mafiosa che mai aveva raggiunto quel livello.

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