venerdì 3 luglio 2009

Sgominata la "famiglia" mafiosa di Marsala


Sgominata la "famiglia" mafiosa di Marsala

MARSALA (TRAPANI) - I carabinieri del Comando provinciale di Trapani, i poliziotti della Squadra mobile di Trapani e del commissariato di Marsala hanno eseguito sei ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Il blitz, coordinato dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai pm Marsia Sabella e Carlo Marzella, ha visto impegnati un centinaio di uomini tra poliziotti e militari dell'arma. Gli arrestati sono ritenuti esponenti della famiglia mafiosa di Marsala e sono accusati di una serie di estorsioni e del reato di detenzione di armi da fuoco. In manette sono finiti: Vito Vincenzo Rallo, 49 anni, ritenuto il reggente della cosca; Giuseppe Francesco Raia, 42 anni, l'uomo che gestiva il racket delle estorsioni per conto dei boss; Maurizio Bilardello, 40 anni, fratello naturale di Raia; Giuseppe Gaspare De Vita, 37 anni, podologo; Francesco Messina, 44 anni, imprenditore edile e Dario Cascio, 28 anni.

Hanno ripreso le redini della cosca di Marsala appena usciti di prigione. In poco tempo sono tornati a fare le estorsioni e si sono riforniti delle armi. Una riorganizzazione rapida quella dei boss marsalesi, scoperta dagli investigatori.

Ai vertici della "famiglia" ci sono nomi noti agli investigatori: come Vito Vincenzo Rallo, fratello del capomafia Antonino. Scarcerato a luglio del 2007, Vincenzo Rallo è immediatamente tornato a pianificare e gestire il racket del pizzo ed amministrare la cassa dell'organizzazione.

Al suo fianco Francesco Giuseppe Raia, figlio del boss Gaspare, che sconta, al carcere duro, una condanna all'ergastolo. Uscito di prigione nel giugno del 2007 si è subito messo a disposizione di Rallo per la riscossione delle estorsioni.

RIORGANIZZAZIONE IMPOSTA DALL'ALTO. Il piano di riorganizzazione della cosca aveva avuto la "benedizione" del superlatitante trapanese Matteo Messina Denaro che, dopo le operazioni di polizia che avevano messo in ginocchio la "famiglia", aveva espresso le sue preoccupazioni sul futuro di Cosa nostra marsalese in diversi "pizzini" indirizzati al padrino di Corleone Bernardo Provenzano.

Nelle lettere, ritrovate nel covo in cui il capomafia è stato arrestato ad aprile del 2006, Messina Denaro scriveva di non potere più esaudire le richieste di Provenzano relative alla zona di Marsala perché lì erano stati arrestati "i rimpiazzi e pure i rimpiazzi dei rimpiazzi": una frase usata per indicare che nella zona non c'erano più uomini d'onore "fedeli" da utilizzare.

L'indagine ha svelato la capillare pressione estorsiva esercitata dalla cosca: grazie alle intercettazioni gli inquirenti hanno scoperto, ad esempio, i taglieggiamenti subìti da un imprenditore del settore ittico della zona, costretto, dal 2003 al 2008, a versare tangenti da cinquemila euro.

I boss, poi, si erano costituiti un arsenale di armi e munizioni ed esercitavano "attività " tipiche degli uomini d'onore come l'intermediazione in affari immobiliari: la cosca era intervenuta nell'acquisto di un terreno da adibire a parcheggio.

Dall'inchiesta è emerso che la designazione di Rallo al vertice della "famiglia", caldeggiata da Messina Denaro, non era particolarmente gradita al vecchio boss detenuto Gaspare Raia, che aveva messo in guardia il figlio a stare attento al boss in passato sospettato di avere fatto la cresta sui soldi della cassa della cosca marsalese.

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