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lunedì 27 luglio 2009
Riina dopo 13 anni parla con i giudici: tre ore di confronto sul "papello"
Riina dopo 13 anni parla con i giudici:
tre ore di confronto sul "papello"
di Claudia Guasco
MILANO (25 luglio) - Sono passati tredici anni da quando Totò Riina si è seduto per l’ultima volta davanti ai magistrati. Nel frattempo ha cambiato carcere tre volte, ha avuto due infarti, ma è rimasto sempre in silenzio.
Fino a pochi giorni fa, quando dalla sua cella di Opera si è messo in contatto con il mondo: poche parole per dire che dietro la strage di via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta ci sarebbero lo Stato e i servizi segreti deviati. Così ieri mattina i magistrati della procura di Caltanissetta che indagano sugli attentati di Capaci e via D’Amelio hanno interrogato il capo di Cosa nostra. Tre ore di confronto, e al centro il famoso «papello», ossia le richieste della mafia allo Stato per chiudere la stagione del sangue. «Un colloquio tranquillo. Riina era sereno», fa sapere il suo avvocato Luca Cianferoni.
Il procuratore Sergio Lari, i pm Domenico Gozzo e Niccolò Marino sono andati da lui con un obiettivo preciso, sentirsi confermare da Totò ’u curtu ciò che ha lasciato trapelare cinque giorni fa: Paolo Borsellino «l’hanno ammazzato loro». Denunciava in sostanza l’intervento di persone «legate alle istituzioni» e spalancava uno squarcio sulla presunta trattativa tra Stato e mafia per porre fine agli attentati, prendendone le distanze: «Io trattative non ne ho mai fatte con nessuno, ma qualcuno ha trattato su di me. La mia cattura è stata conseguenza di una trattativa».
Ora il suo legale cerca di frenare, esorta a non trarre «conclusioni precipitose». Un concetto però viene fatto passare chiaro e tondo dal boss rinchiuso nel carcere di Opera: il processo per la morte di Borsellino nel quale Riina fu condannato all’ergastolo «è una montatura, ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori». Dunque «deve essere rifatto e le possibilità che venga riaperto sono concrete, ci sono elementi nuovi», sostiene Cianferoni. Quali, precisa, «non sta a me spiegarlo», certo per puntare alla revisione del processo devono essere di notevole portata dato che può essere disposta solo in presenza di fatti in grado di determinare l’eventuale assoluzione del boss.
Riina, l’uomo che nelle aule dei processi è arrivato a negare l’esistenza di Cosa Nostra, sceglie sempre con accuratezza ciò che dice. E quando dirlo. Per i pm non è dunque secondario che le sue affermazioni giungano a breve distanza da quelle di Massimo Ciancimino: è lui che ha tirato in ballo il «papello», che ha elencato le volontà di Totò ’u curtu per fermare le stragi. Il boss sarà riascoltato dai magistrati di Caltanissetta? Cianferoni taglia corto: «Tocca a loro deciderlo».
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