domenica 26 luglio 2009

MAFIA RIINA "TRATTATIVE? IO NON SO NULLA"



Riina interrogato dai magistrati nisseni. Il suo avvocato: ''Per le stragi del '92 ci sono innocenti in carcere''

"Io unni sacciu nenti di sti cose". "Di queste cose io non ne so niente". Questa la risposta del "capo dei capi" di Cosa Nostra, Totò Riina, alle domande poste da procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, che ieri (insieme agli aggiunti Nico Gozzo e Nico­lò Marino) lo ha interrogato per tre ore, nel carcere milanese di Opera, sul nodo mai sciolto della trattativa tra Stato e mafia ai tempi delle stragi del 1992.
Da lui, ha sostenuto Riina, non si presentò nessuno a nome delle istituzio­ni. E alla richiesta di chiarire che cosa intendesse quando - qualche giorno fa - ha fatto di­re al suo avvocato che "Borselli­no l’hanno ammazzato loro", ha ri­sposto con un discorso un po' più articolato, che si può riassu­mere con generici riferimenti a apparati dello Stato, servizi se­greti deviati, personaggi abili nel doppio gioco.

Al fianco di Riina l’avvo­cato Luca Cianferoni (unico non siciliano della compagnia) che una settimana fa aveva rife­rito ai giornali alcune dichiara­zioni del suo cliente più noto. Di lì la decisione dei pubblici ministeri ancora impegnati nel­le inchieste sugli omicidi di Gio­vanni Falcone e Paolo Borselli­no di andare a interrogare il boss. Riina ha accettato di ri­spondere alle do­mande, per ribadire e approfon­dire (almeno parzialmente) gli accenni affidati alla stampa. L'avvocato Cianferoni, però non si è sbottonato su quanto il boss ha rivelato ai pm di Caltanissetta. Non ha spiegato, quindi, se Riina, abbia confermato le sue dichiarazioni di qualche giorno fa. "Non erano messaggi trasversa­li" ha però spiegato, ma indicazioni rivolte ai magistrati titolari del­le indagini sulle stragi.
Cianferoni ha poi cercato di smorzare i toni, senza però riuscirci. "Non traete conclusioni precipitose", ha esortato i cronisti che lo hanno intercettato fuori dal carcere per poi aggiungere invece che il processo per la strage di via D'Amelio, in cui perse la vita il giudice istruttore Paolo Borsellino, e al termine del quale Riina ha avuto l'ergastolo, "è una montatura".

"Ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori", ha rincarato la dose Cianferoni che, pur non entrando nello specifico del contenuto dell'interrogatorio, ha ammesso che "ci sono elementi nuovi per poterci difendere". L'avvocato ha spiegato che sentire Riina ora "è stata una scelta" dei magistrati nisseni che fanno capo al procuratore Sergio Lari; la scelta del legale è invece quella "di difenderci con il Codice e con la legge".
L'avvocato di Riina non è entrato nel dettaglio di questi "elementi nuovi" che Riina avrebbe portato, né ha confermato che possano essere alla base di una richiesta di revisione del processo che potrebbe essere disposta solo in presenza di fatti che potrebbero determinare l'assoluzione del boss.
Ma si è parlato di uomini delle istituzioni? Ha chiesto qualcuno. "Chi è competente a indagare, indagherà", ha tagliato corto l'avvocato.

Le dichiarazioni di Riina fanno il paio con quelle del figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Massimo, già condannato per riciclaggio di denaro mafioso. Ciancimino ha parlato, recentemente, di un 'papello' che testimonierebbe, a suo dire, la volontà, da parte della mafia, di intraprendere un trattativa con lo Stato negli anni delle stragi. Conterrebbe le richieste di Totò Riina per porre fine alla 'mattanza'. 'Mattanza' alla quale, evidentemente, nonostante le condanne all'ergastolo "Totò 'u curtu" oggi nel carcere alle porte di Milano, dove sono detenuti i condannati in via definitiva e ritenuti pericolosi, ha detto di essere estraneo. Una "presunta trattativa di cui sarebbe stato oggetto e non soggetto attivo". Scoprire chi fossero i soggetti attivi di quella presunta trattativa, se mai c'è stata, è compito dei pm di Caltanissetta che indagano sui presunti mandanti occulti delle stragi del '92. [Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, Corriere.it]

"TRATTATIVE? IO NON SO NULLA"
di Francesco La Licata (La Stampa, 25 luglio 2009)


«Di queste cose un sacciu nenti». Così don Totò Riina ha stoppato sul nascere il tentativo dei magistrati di Caltanissetta di andare oltre l’esternazione qualche giorno fa affidata dal padrino al proprio legale. Eppure, al di là del muro che formalmente separa i giudici dal boss, qualcosa di nuovo c’è. Ed è l’atteggiamento del capo di Cosa nostra, la vera novità.
Riina tiene una linea negazionista, è vero, ma la tiene accettando per la prima volta le regole del gioco che prevede un confronto con la magistratura. In questo senso risulterebbe esatta l’interpretazione che a caldo, sulla performance mediatica del boss, diede il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. Il magistrato dichiarò che non vedeva, nelle dichiarazioni di Riina, alcun messaggio trasversale, ma, al contrario, il tentativo diretto di poter essere ascoltato dalla Procura titolare delle indagini sulla strage Borsellino.

Ieri mattina, dunque, Sergio Lari e i suoi sostituti (Nico Gozzo e Nicolò Marino), accompagnati da funzionari della Dia, sono andati a trovare Riina, nel carcere di Opera. Il boss era assistito dall’avv. Luca Cianferoni, lo stesso che, nei giorni scorsi, si è fatto portavoce delle "proteste" del detenuto. L’approccio non poteva che essere impacciato. Il capo di Cosa nostra non ha consuetudine coi magistrati e, soprattutto, sa che tutto ciò che dirà poggia sul presupposto di una implicita ammissione dell’esistenza di Cosa nostra. Tesi dimostrata dalla semplice affermazione di Riina che «Borsellino l’hanno ammazzato loro», cioè entità diverse dalla mafia.
Su questo tema delle "entità estranee", Riina non sembra essersi mosso di un millimetro, ma quando si è trattato di dare una identità a questi «loro» il boss non è andato oltre ai generici ammiccamenti sui «servizi segreti» e sulla politica. Negando, per esempio, ancora di essere stato protagonista di una trattativa con lo Stato. «Da me non è venuto nessuno», ha risposto ai magistrati che cercavano notizie sull’andamento del "patteggiamento". Riina ha insistito sul fatto che se trattativa c’è stata, «è stata fatta sopra di me», suggerendo - in sostanza - che uno dei risultati di quel patto fu la sua cattura.

L'incontro coi giudici di Caltanissetta è durato quasi tre ore, trascorse - dice qualcuno - più a far domande che a sentire risposte. Ma non è sempre vero che i silenzi o i monosillabi non abbiano la loro importanza, in vicende come quella trattata dai magistrati nisseni. Certo, nessuno si poteva aspettare che al primo impatto il mafioso dimenticasse la propria origine. Sarà interessante attendere e vedere, intanto, se Riina accetterà altre domande e altri incontri.
Oggi si può registrare solamente un atteggiamento davvero diverso da quello tenuto nell’aprile del 1996, quando ai giudici Vigna e Caselli, che gli proponevano un "ragionamento", Riina rispose semplicemente: «Avete sbagliato persona!». E’ ovvio che, anche per rassicurare chi sta fuori, il capo di Cosa nostra debba frustrare sul nascere ogni possibile ipotesi di pentimento. Ma questo lo ha già sottolineato Luca Cianferoni quando, nel riferire lo sfogo del suo cliente, ha precisato: «Nessun cambiamento rispetto alla volontà di rimanere fedele alla propria linea di non collaborazione».
Insomma, sembra che a Riina stia a cuore di dimostrare la propria estraneità alla stagione stragista, obiettivo "nobilitato" ieri dall’avv. Cianferoni che, al termine dell’interrogatorio, ha dichiarato: «Ci sono, per le stragi, innocenti in carcere e colpevoli fuori. Ma ci sono elementi nuovi per poterci difendere».

La giornata di ieri ha fatto registrare una dichiarazione dell’ex magistrato del pool antimafia di Falcone e Borsellino, Giuseppe Ayala, secondo cui «Nicola Mancino ha raccontato di avere avuto una stretta di mano con Borsellino il giorno del suo insediamento a ministro dell’Interno, il primo luglio del 1992». La notizia ha creato qualche fibrillazione, anche perchè Mancino - indicato da Riina come l’uomo della trattativa - ha sempre detto di non ricordare esattamente ciò che avvenne quel giorno. Secondo il racconto di Ayala, invece, Mancino ricorderebbe esattamente che Borsellino gli fu portato dall’allora Capo della Polizia, Vincenzo Parisi. La risposta di Mancino non si è fatta attendere: «Ayala afferma ciò che non ho mai eslcuso e cioè che è stato possibile aver stretto, fra le tantissime mani, anche quella del giudice Borsellino».

Ayala conferma. "Mancino incontrò Borsellino al Viminale" - "Nicola Mancino mi ha detto di aver avuto un incontro con Borsellino, del tutto casuale, il giorno in cui si insediò al Viminale". Lo conferma all'ANSA l'ex parlamentare Giuseppe Ayala, componente del pool antimafia di Palermo e Pm del maxiprocesso a Cosa Nostra. Ayala afferma di avere appreso di quell'incontro "qualche mese fa nel corso di un colloquio con l'attuale vice presidente del Csm nel suo ufficio". Una circostanza smentita, anche nei giorni scorsi, dallo stesso Mancino: "Se ci fosse stato davvero quell'incontro - ha dichiarato in un'intervista - perché mai avrei dovuto negarlo?". Ayala ricostruisce adesso le fasi di quell'incontro, dal carattere del tutto "informale", sulla base delle notizie che afferma di avere appreso dallo stesso Mancino: "L'allora capo della polizia Parisi gli disse che c'era Borsellino al Viminale e che voleva salutarlo. Mancino rispose 'Si figuri'. Così lo accompagnò nella sua stanza, in mezzo ad altre persone, dove ci fu una stretta di mano". L'ex Pm del pool antimafia afferma inoltre che le affermazioni di Mancino "sono state pronunciate alla presenza di un altro consigliere del Csm". Ayala, infine, parla anche dell'agenda rossa di Paolo Borsellino: "Sono certo che sia scomparsa. Anche Agnese, la vedova di Paolo, ha detto che suo marito la teneva sempre con sé. Forse era proprio in quella borsa di pelle che io consegnai a un ufficiale dei carabinieri sul luogo dell'attentato...".
"Ayala afferma ciò che io non ho mai escluso e, cioé, che è stato possibile avere stretto, fra le tantissime mani, anche quella del giudice Borsellino, il giorno del mio insediamento al Viminale". Lo precisa il vice presidente del Csm, Nicola Mancino, riferendosi alle dichiarazioni dell' ex pm del pool antimafia di Palermo. "Ma tra avergli stretto la mano in mezzo ad altre persone senza avergli parlato e avere incontrato e parlato con il giudice Borsellino, c'é una bella differenza - sottolinea mancino -. Questo lo dice anche Ayala, il quale, però, fa confusione sulle agende. Sulla mia, che molti testimoni hanno visto e che è stata mostrata anche in TV, il primo luglio 1992 c'é una pagina bianca senza alcuna annotazione di incontri". [Ansa, 24 luglio 2009]

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