di Marilù Musto
Il nuovo filone investigativo sulla potabilità dell’acqua nelle province di Napoli e Caserta porta dritto al settore «Ciclo Integrato delle acque» della Regione Campania, un ufficio dell’ente regionale che vanta 29 dipendenti e un direttore. È lì che si è concentrata l’attenzione della procura Antimafia di Napoli nel 2012. Ed è lì che le carte «parlano» ancora. Sulla base di articoli pubblicati dal Mattino, un anno e mezzo fa, venne aperto un fascicolo d’indagine sull’affidamento di incarichi sulle opere commissionate dalla Regione in regime di somma urgenza, senza gare pubbliche. Una buona parte delle società aveva sede a San Cipriano d’Aversa, Casapesenna e Aversa e i nomi di alcuni soci rimandavano a un elenco di persone che finirono nelle mani dell’Antimafia, che stava indagando sul boss del clan dei Casalesi, Michele Zagaria. Storia nota. Ma tra i documenti incamerati dalla procura in un primo step d’indagine, il pm della Dda di Napoli, Antonello Ardituro, scoprì anche che molte analisi sulla potabilità dell’acqua non erano state eseguite direttamente dalla Regione, ma da laboratori privati senza alcuna convenzione con la Regione Campania.
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