I pm di Napoli: nelle telefonate la prova dell’appoggio ai clan
guido rotolo
ROMA
Tirate il fiato perché questa è la storia che ci riporta a un tempo antico, quello in cui camorra e servizi segreti operarono insieme. In questo caso invece camorra e Stato, ministero dell’Interno, hanno investito i propri capitali nella stessa banca. Ma i soldi del Viminale sono spariti.
Iniziamo da un passaggio del decreto di fermo della Procura antimafia di Napoli contro due riciclatori del clan camorrista Polverino, Eduardo Tartaglia, produttore cinematografico, Rocco Zullino, broker che opera a Lugano. Fermati martedì scorso, nello stesso giorno in cui gli uomini del Ros dei carabinieri entravano nella sede dell’ex Sisde, oggi Aisi, il servizio segreto civile, per perquisire gli uffici di Franco La Motta, prefetto in pensione da un mese, da aprile, e fino allora numero 2 dell’Aisi - e prima ancora numero uno del Fondo Edifici di culto (Fec) presso il Viminale - e fino a martedì consulente dell’Aisi.
Il procuratore aggiunto Gianni Melillo e i pm Ardituro, Del Gaudio e Ribera scrivono nella richiesta di convalida del fermo: «Numerose sono risultate poi le conversazioni intervenute tra Eduardo Tartaglia e Rocco Zullino aventi ad oggetto un investimento eseguito dal Ministero dell’Interno, in particolar modo dal Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione (da cui dipende il Fec, ndr). Non è ancora chiara la natura del consistente impiego di denaro pubblico presso la Hottinger (banca svizzera, ndr), ma è oltremodo evidente l’imbarazzo degli interlocutori nell’affrontare le conversazioni relative alla vicenda».
Aggiungono i pm: «In tale vicenda risulta coinvolto il Prefetto Franco La Motta, come osservato in contatto con il Tartaglia, oltre che individuato dal Perrone (Roberto, imprenditore, ai vertici del clan Polverino oggi pentito, ndr) come soggetto a cui il medesimo Tartaglia si riferiva come esponente in grado di fornire informazioni sulle indagini in corso».
Sappiamo poi che il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, appreso del buco di una decina di milioni di euro sottratti al Fec, investiti da La Motta nella «Hottinger» e poi scomparsi, ha inviato un esposto alla Procura di Roma - che indaga il prefetto La Motta per peculato e riciclaggio - e messo in piedi una commissione d’inchiesta formata da un avvocato dello Stato, un generale della Gdf e un ispettore del Tesoro.
Il fermo dei due riciclatori avviene nell’ambito di una inchiesta che riguarda «il trasferimento -attraverso una serie coordinata di varie operazioni finanziarie internazionali - della somma di circa 7 milioni e 200 mila euro, provento del delitto di associazione mafiosa, inizialmente presso la Projeckty Investice s.r.o. utilizzando una banca sul territorio della Repubblica Ceca, successivamente nel Regno Unito, apparentemente ad una società denominata Willbest Ltd. ed, infine, su un conto aperto presso un istituto bancario elvetico.». I 7 milioni e 200 mila euro sono il provento del clan «per la realizzazione di un centro commerciale IPERCOOP a Quarto».
A proposito di Tartaglia e Zullino, i pm napoletani si sono convinti che il secondo fosse «completamente asservito e pervaso da una sorta di sudditanza nei confronti del socio padrone Tartaglia anche per le decisioni più banali». A Zullino che gli dice di aver fissato un appuntamento di lavoro, Tartaglia gli suggerisce «di mettere nel suo studio le foto che ha con Maroni o altre personalità per dare più credibilità all’incontro…».
Racconta Roberto Perrone: «Il Tartaglia fece particolare riferimento ad un suo cugino, prefetto in Roma, che - grazie alla sua posizione - era riuscito ad ottenere informazioni sulle mosse della Procura in relazione a questa vicenda. Devo dire che, in seguito, in colloqui riservati tra me e l’Imbriani, quest’ultimo mi ha poi riferito di aver stretto un rapporto costante con questa persona, tanto che spesso la frequentava recandosi in Roma».
Sempre Perrone racconta un episodio che avvenne nel 2007, quando lui e gli altri imprenditori camorristi volevano acquistare una caserma, «che era l’arsenale dismesso della Marina Militare di La Spezia, nella zona delle Cinque Terre».
Il progetto necessitava di «un cambio di destinazione d’uso» per la «successiva costruzione di numerosi appartamenti o, addirittura, di una struttura alberghiera». «Data la particolare difficoltà nell’acquisizione di un terreno demaniale, Nicola Imbriani si avvaleva inizialmente dell’appoggio politico del senatore Gaetano Pellegrino (Udc, ndr) che gli aveva fornito le dovute assicurazioni al riguardo.
Il prefetto La Motta, entrava in gioco in questa vicenda per i necessari contatti per essere favoriti sia nell’acquisto e sia per gli eventuali successivi atti urbanistici, come per esempio i cambi di destinazione d’uso, di un immobile di proprietà demaniale e successivamente dismesso».
Iniziamo da un passaggio del decreto di fermo della Procura antimafia di Napoli contro due riciclatori del clan camorrista Polverino, Eduardo Tartaglia, produttore cinematografico, Rocco Zullino, broker che opera a Lugano. Fermati martedì scorso, nello stesso giorno in cui gli uomini del Ros dei carabinieri entravano nella sede dell’ex Sisde, oggi Aisi, il servizio segreto civile, per perquisire gli uffici di Franco La Motta, prefetto in pensione da un mese, da aprile, e fino allora numero 2 dell’Aisi - e prima ancora numero uno del Fondo Edifici di culto (Fec) presso il Viminale - e fino a martedì consulente dell’Aisi.
Il procuratore aggiunto Gianni Melillo e i pm Ardituro, Del Gaudio e Ribera scrivono nella richiesta di convalida del fermo: «Numerose sono risultate poi le conversazioni intervenute tra Eduardo Tartaglia e Rocco Zullino aventi ad oggetto un investimento eseguito dal Ministero dell’Interno, in particolar modo dal Dipartimento per le libertà civili e per l’immigrazione (da cui dipende il Fec, ndr). Non è ancora chiara la natura del consistente impiego di denaro pubblico presso la Hottinger (banca svizzera, ndr), ma è oltremodo evidente l’imbarazzo degli interlocutori nell’affrontare le conversazioni relative alla vicenda».
Aggiungono i pm: «In tale vicenda risulta coinvolto il Prefetto Franco La Motta, come osservato in contatto con il Tartaglia, oltre che individuato dal Perrone (Roberto, imprenditore, ai vertici del clan Polverino oggi pentito, ndr) come soggetto a cui il medesimo Tartaglia si riferiva come esponente in grado di fornire informazioni sulle indagini in corso».
Sappiamo poi che il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, appreso del buco di una decina di milioni di euro sottratti al Fec, investiti da La Motta nella «Hottinger» e poi scomparsi, ha inviato un esposto alla Procura di Roma - che indaga il prefetto La Motta per peculato e riciclaggio - e messo in piedi una commissione d’inchiesta formata da un avvocato dello Stato, un generale della Gdf e un ispettore del Tesoro.
Il fermo dei due riciclatori avviene nell’ambito di una inchiesta che riguarda «il trasferimento -attraverso una serie coordinata di varie operazioni finanziarie internazionali - della somma di circa 7 milioni e 200 mila euro, provento del delitto di associazione mafiosa, inizialmente presso la Projeckty Investice s.r.o. utilizzando una banca sul territorio della Repubblica Ceca, successivamente nel Regno Unito, apparentemente ad una società denominata Willbest Ltd. ed, infine, su un conto aperto presso un istituto bancario elvetico.». I 7 milioni e 200 mila euro sono il provento del clan «per la realizzazione di un centro commerciale IPERCOOP a Quarto».
A proposito di Tartaglia e Zullino, i pm napoletani si sono convinti che il secondo fosse «completamente asservito e pervaso da una sorta di sudditanza nei confronti del socio padrone Tartaglia anche per le decisioni più banali». A Zullino che gli dice di aver fissato un appuntamento di lavoro, Tartaglia gli suggerisce «di mettere nel suo studio le foto che ha con Maroni o altre personalità per dare più credibilità all’incontro…».
Racconta Roberto Perrone: «Il Tartaglia fece particolare riferimento ad un suo cugino, prefetto in Roma, che - grazie alla sua posizione - era riuscito ad ottenere informazioni sulle mosse della Procura in relazione a questa vicenda. Devo dire che, in seguito, in colloqui riservati tra me e l’Imbriani, quest’ultimo mi ha poi riferito di aver stretto un rapporto costante con questa persona, tanto che spesso la frequentava recandosi in Roma».
Sempre Perrone racconta un episodio che avvenne nel 2007, quando lui e gli altri imprenditori camorristi volevano acquistare una caserma, «che era l’arsenale dismesso della Marina Militare di La Spezia, nella zona delle Cinque Terre».
Il progetto necessitava di «un cambio di destinazione d’uso» per la «successiva costruzione di numerosi appartamenti o, addirittura, di una struttura alberghiera». «Data la particolare difficoltà nell’acquisizione di un terreno demaniale, Nicola Imbriani si avvaleva inizialmente dell’appoggio politico del senatore Gaetano Pellegrino (Udc, ndr) che gli aveva fornito le dovute assicurazioni al riguardo.
Il prefetto La Motta, entrava in gioco in questa vicenda per i necessari contatti per essere favoriti sia nell’acquisto e sia per gli eventuali successivi atti urbanistici, come per esempio i cambi di destinazione d’uso, di un immobile di proprietà demaniale e successivamente dismesso».
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