«O paghi o spariamo» e la vittima denuncia
Tre persone sono state arrestate in flagranza di reato con l'accusa di estorsione perché dietro la minaccia della vita hanno estorto ad un carrozziere che aveva aperto da meno di 6 mesi la propria attività la somma di 700 euro. Il reato è stato contestato senza l'aggravante delle modalità mafiose in quanto gli arrestati non risultato contigui a nessuno cosca
di PASQUALINO RETTURA
LAMEZIA TERME - «O paghi o ti spariamo». Questa sarebba stata una delle minacce a un carrozziere di Lamezia che aveva aperto la sua attività da sei mesi e da tre riceveva le «visite» degli estortori. Che non si erano accontentati di una mazzetta di 500 euro. A quel punto, fattosi coraggio, il carrozziere denunciava tutto alla polizia che dopo diversi appostamenti nella tarda mattina di oggi hanno colto sul fatto gli estortori, arrestati dopo aver ricevuto 700 euro dalla vittima dell'estorsione. D'accordo con gli investigatori della polizia di Stato di Lamezia, il carrozziere dava appuntamento ai suoi estortori per recarsi nella sua attività di via dei Bizantini per riscuotere il pizzo. Consegnate le 700 euro, Michele Sorrentino, 68 anni e il figlio Marco di 22 anni (con precedenti per spaccio di droga) si allontanavano in auto senza accorgersi però che erano seguiti dai poliziotti. Percorsi 50 metri con la loro autovettura, venivano bloccati e trovati in possesso della somma appena intascata. L'accusa è di estorsione aggravata. Le modalità mafiose sono escluse poichè padre e figlio non risultano essere organici a clan mafiosi e quindi, allo stato, non sembra abbiano agito per conto di qualche cosca.
Per i due quindi scattava l'arresto in flagranza di reato, mentre per una terza persona, Giovanni Caruso di 24 anni, cugino di Marco Sorrentino (entrambi avvisati orali di Ps) il pm della procura di Lamezia, Luigi Maffia, disponeva il fermo. Durante le indagini è infatti emerso che Caruso in una occasione era andato dal carrozziere insieme al cugino per la richiesta estorsiva. Per lui quindi l'accusa è di concorso in estorsione aggravata. L'operazione è stata illustrata in conferenza stampa dal questore di Catanzato, Guido Marino, dal dirigente del commissario Antonio Borelli e dal vice Lucia Cundari. Gli investigatori ipotizzano che quest'episodio, all'apparenza commesso da «cani sciolti», potrebbe essere sintomatico di un'azione di chi avrebbe cercato di «colmare il vuoto» nel controllo delle estorsioni in particolare su Nicastro, approfittando dello scompaginamento delle cosche lametine duramente colpite dall'operazione Medusa che ha portato alla sbarra boss e affiliati del clan Giampà di Nicastro.
Nessun commento:
Posta un commento