domenica 12 febbraio 2012

Eternit, 2300 morti in attesa di giustizia. Domani la sentenza

A Torino si chiude il primo processo al mondo contro l’amianto


torino
Domani a Torino verrà pronunciata la sentenza al processo Eternit. È una sentenza attesa in ogni parte d’Italia e del mondo. A Palazzo di giustizia arriveranno ventisei pullman. Diciassette partiranno da Casale Monferrato, dove la Eternit ha avuto una fabbrica dal 1906 al 1986. Gli altri sono annunciati da Reggio Emilia, Padova, Bologna, Gozzano in provincia di Novara. Tre verranno dalla Francia. Tutti questi pullman porteranno i familiari dei tanti ex operai, ma anche dei tanti semplici cittadini che abitavano vicino agli stabilimenti della Eternit e che sono stati uccisi dal mesotelioma pleurico, il tumore provocato dall’amianto. Ci saranno gli esponenti dell’Afeva, l’associazione familiari vittime dell’amianto italiana, e quelli dell’Andeva, i loro corrispondenti francesi. Ci saranno i minatori della Lorena, delegazioni dell’Ardèche e dell’Alta Savoia. Le vedove di Dunkerque, dove c’era un altro dei tanti stabilimenti, arriveranno in treno. Ci saranno semplici cittadini - e molti studenti - da Roma, Milano, Napoli, Bari, Livorno, Viareggio, Savona, Broni. Ci saranno delegazioni da Stati Uniti, Inghilterra, Svizzera, Brasile, Spagna.

L’udienza si apre alle 9,30 con un intervento della difesa, poi la camera di consiglio. A Palazzo di giustizia ci si è organizzati per tempo. Saranno messe a disposizione due aule bunker da 250 posti ciascuna; l’aula magna da settecento posti; la sala congressi della Provincia di Torino con altri duecentocinquanta. Nella maxi aula 2 saranno ospitati gli stranieri ed è stato predisposto un servizio di traduzione simultanea in inglese e in francese.

Tanta attesa perché questo è, in tutto il mondo, il primo grande processo all’amianto. Gli imputati sono gli ultimi due proprietari della Eternit in Italia: Stephan Ernest Schmidheiny, svizzero, 64 anni; e Jean-Louis de Cartier de Marchienne, belga, 90 anni. Sono imputati di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. È in quell’aggettivo, «doloso», che sta tutta la forza e la novità di questo processo. Si contesta il dolo, cioè la volontarietà. Hanno ucciso volontariamente? Non è esattamente questo che dice l’accusa, ma quasi: dice che sapevano che l’amianto entra nei polmoni e uccide, e hanno lasciato fare, mettendo il profitto prima della vita. Per questo il pubblico ministero Raffaele Guariniello ha chiesto pene simili a quelle inflitte per gli omicidi comuni: vent’anni per ciascuno dei due imputati.

I morti sono stati talmente tanti che è difficile perfino contarli. Solo nei quattro stabilimenti della Eternit in Italia - a Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) - i decessi sono poco meno di 2300, ai quali vanno aggiunti i circa 700 colpiti di asbestosi, una malattia che non uccide ma riduce progressivamente la capacità respiratoria fino a rendere l’esistenza un calvario. Casale Monferrato, la città dove aveva sede lo stabilimento più grande (in alcuni momenti era arrivato a 2500 dipendenti), è quella che ha pagato il tributo più alto: circa 1500 morti. Se usiamo tanti «circa» e tanti «quasi» è perché il calcolo è forzatamente imperfetto per almeno due motivi: il primo è ci sono morti che «formalmente» non risultano, ad esempio arresti cardiaci di malati di asbestosi; il secondo è che la cifra continua ad aumentare perché l’amianto colpisce anche dopo trenta o più anni.

Ma stiamo parlando dei numeri del processo. I numeri della storia sono chissà di quanto superiori, e impossibili da calcolare. Tutti coloro che sono morti prima della metà degli anni Sessanta sono per così dire «archiviati» senza una diagnosi esplicita. Eppure già allora gli scienziati sapevano che l’amianto uccide: però non se ne parlava, e in molti avevano l’interesse a mantenere il silenzio.

Come si difendono gli imputati? Il belga de Cartier ha mandato a Torino i suoi legali ma non s’è mai fatto vedere in aula. Anche lo svizzero Schmidheiny non è mai venuto al processo: ma ha avviato una serie di trattative per cercare transazioni con le vittime. Le parti civili sono infatti numerosissime: erano circa seimila, poi un migliaio (548 per Casale) ha accettato risarcimenti da mille a sessantamila euro. Nel 2006 l’associazione dei familiari delle vittime e il sindacato hanno rifiutato un’offerta collettiva di 78 milioni di euro che, se accettata, avrebbe comportato l’uscita dal processo di praticamente tutte le parti lese. Anche il Comune di Casale, che in dicembre aveva accettato un risarcimento di 18 milioni, nei giorni scorsi ha fatto retromarcia dopo le proteste di tutta la città ed è tuttora nel processo come parte civile.

Resta su tutto una domanda: com’è stato possibile? Con quale coscienza si è potuto tenere nascosto un mostro simile? Nicola Pondrano, l’ex operaio di Casale che negli anni Settanta diede il via al movimento che portò poi alla chiusura della fabbrica, racconta che il direttore della Eternit di allora gli ha sempre detto: ho portato la mia famiglia a vivere nello stabilimento, ti pare che se avessi saputo l’avrei fatto? Non tutti sapevano, questo pare certo. Ma alcuni, secondo l’accusa, ancor più certamente sapevano.

Domani la sentenza, che tutto il mondo attende perché in tutto il mondo l’amianto continua a uccidere. Quel che si decide a Torino peserà come un macigno.

MICHELE BRAMBILLA

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