Un problema che vale 500 milioni di euro attanaglia il governo italiano: e la soluzione non sembra essere vicina
Il Ponte sullo Stretto di Messina divide da anni gli italiani, non solo siciliani, in favorevoli e contrari, ma potrebbe presto unirli tutti in nome dei soldi sprecati che ricadono sul contribuente. Come scrive l’Espresso, “il primo marzo scade l'aut aut del governo Monti per trovare una nuova intesa tra il general contractor Eurolink e la Stretto di Messina, società concessionaria dell'opera, alle condizioni imposte dalle legge. Unica via d'uscita che scongiurerebbe la fermata definitiva”.
Ma, come scrive il magazine, le premesse non sono certo positive, avendo Eurolink, “già portato il governo italiano di fronte alla Corte di giustizia europea e di fronte al Tar per violazione dei vigenti impegni contrattuali”. A quanto ammonterebbe quindi la violazione in termine di penale? La cifra è forte: 450 milioni di euro. Una cifra che intascherebbe senza aver mai dato il via ai lavori, e che potrebbe ispirare pretese simili da parte di altre società e soggetti che hanno motivi di batter cassa: si va dai proprietari terrieri, i cui beni sono stati vincolati per un decennio ai fini della costruzione; poi i milioni di euro, 300 secondo l’Espresso, investiti nel capitale della società Stretto da Anas, Rfi, Regione Siciliana e Calabria. Infine, tutti i soldi spesi per monitorare l’area a livello ambientale.
Congelare i problemi con un decreto legge che impone un’intesa tra le parti entro il primo marzo è stato un tentativo; diversamente si dovrebbe mettere mano agli indennizzi. Sperare in un privato che, nel biennio di stand by, partecipi all’impresa è utopico, non essendo più l’opera una priorità per nessuno.
I mali partono da lontano, ovvero dalle promesse e dalle inadempienze che i vari governi non hanno saputo evitare. Anche decidere per legge, di non fare più il ponte, non basterrebe ad evitare i ricorsi in tribunale come da timore dell'Authority di vigilanza sui contratti pubblici, che ha aperto un’istruttoria sugli impegni contrattuali presi dalla società Stretto di Messina.
Secondo quanto dichiarato all’Espresso da Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina e amministratore unico del suo azionista di maggioranza, cioè l'Anas, “il decreto ci dà ancora il tempo per cercare i finanziamenti. Di fronte a una situazione straordinaria, ferma l'orologio del contratto, ma dice che l'opera il governo la vuole fare. E ora possiamo andare a cercare i denari sul mercato”. In quanto alle penali secondo Ciucci, il contratto prevede sì una penale massima sui 400-500 milioni, ma solo se la stazione appaltante cancella il contratto senza motivo.
Se si dimostra invece che non ci sono le condizioni finanziarie per realizzare l’opera “la penale può arrivare a zero”, ovvero “qualora la congiuntura finanziaria internazionale non consenta la effettiva bancabilità del progetto”, ma la clausola, scrive il Fatto quotidiano, continua così: “a condizione che il progetto definitivo sia stato approvato dal Cipe”, ovvero il Comitato Interministeriale per la programmazione economica. L’obiettivo insomma è cercare un nuovo strumento per attirare i finanziatori e la formula potrebbe essere quella, per la Stretto di Messina, di emettere obbligazioni che sono di fatto parificate ai Bot, con prelievo fiscale ridotto e garanzia pubblica.
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