martedì 15 gennaio 2013

A Gela un gruppo concorrente a Cosa Nostra e Stidda: 28 arresti

Blitz della squadra mobile di Caltanissetta nella notte. Il clan, fondato e diretto da Giuseppe Alferi era dedito "alle estorsioni, alla gestione di un vasto giro di usura, alla ricettazione, all'imposizione del prezzo della frutta. Disponeva uomini organizzati in squadre, armi e mezzi



GELA. A Gela c'é un "terzo polo" nella criminalità organizzata, costituito dal cosiddetto gruppo Alferi, un'associazione armata che la squadra mobile di Caltanissetta ha sgominato arrestando, durante la notte, 28 persone in esecuzione di altrettanti ordini di custodia cautelare, di cui 24 in carcere e 4 ai domiciliari.
I provvedimenti, emessi dal gip Alessandra Bonaventura, su richiesta della Dda nissena, sono stati eseguiti con l'ausilio degli agenti del commissariato di Gela e delle questure di Asti e Pavia, nell'ambito di un'operazione denominata "Inferis". Il clan, fondato e diretto da Giuseppe Alferi - detenuto a Catanzaro - soprannominato "U Jerru", dal 2005 si sarebbe ritagliato uno spazio negli affari illeciti, contrapponendosi allo strapotere della Stidda e rendendosi autonomo da Cosa nostra, di cui però si dichiarava alleato. L'organizzazione criminale, insomma, si era ricavata uno spazio tra le due che operano nel territorio.
Secondo gli investigatori, il nuovo sodalizio mafioso era dedito "alle estorsioni, alla gestione di un vasto giro di usura, alla ricettazione, all'imposizione del prezzo della frutta (in particolare delle angurie) con illecita concorrenza e usando violenza e minacce. Inoltre, era entrata nella raccolta di materiali ferrosi ai danni di commercianti e artigiani; nell'occupazione abusiva (e successiva vendita) di case popolari dell'Iacp. L'organizzazione disponeva di uomini, armi e mezzi. Organizzata in "squadre", eseguiva furti di denaro e gioielli nelle abitazioni in città, mentre nelle campagne andava alla ricerca di ferro, rame, alluminio, e di materiale di valore. Rubavano di tutto: auto, furgoni, attrezzature e automezzi industriali per poi restituirli con il cosiddetto metodo del "cavallo di ritorno", cioé dietro pagamento di un riscatto in denaro.
 
 

Gela, operazione Inferis: gli arrestati

Ecco l'elenco dei nomi delle 28 persone fermate

GELA. Questi i nomi degli arrestati nell'operazione "Inferis": Giuseppe Alferi, di 50 anni, detenuto presso la Casa circondariale "Siano" di Catanzaro; i suoi parenti (fratelli, cugini e nipoti) Carmelo Sebastiano Alfieri, di 65 anni, Sebastiano Massimo Alfieri, di 40, Gaetano Davide Alfieri, di 37 anni, in atto detenuto a Gela, Nunzio Alferi, di 26 anni, detenuto a Caltanissetta, Vincenzo Alfieri, di 37; i fratelli Azzarelli, Maria, di 45 anni, e Salvatore, di 35, nonché il loro cugino Vincenzo Azzarelli, di 44 anni, detenuto presso il carcere di Voghera; Giuseppe Biundo, di 33 anni, Vincenzo Burgio, di 43, Giuseppe Caci, di 31 anni, Rosario Consiglio, di 47, Francesco D'Amico, di 51 anni, Francesco Giovane, di 27, Rosario Moscato, di 22 anni, Giovanni D'Amico, di 32, Luigi Nardo, di 29 anni, Giuseppe Palmieri, di 22, i fratelli Angelo e Orazio Pirone, rispettivamente di 32 e 26 anni, Fabio Russello, di 32 anni, e Gianfranco Turco, di 38, entrambi detenuti nel carcere di Gela, e Paolo Vitellaro, di 22 anni, tutti gelesi. Assegnati agli arresti domiciliari la moglie di Giuseppe Alferi, Antonella Bignola, e Giuseppe Vinci, entrambi di 39 anni, di Gela, nonché Salvatore Fidone, di 45 anni, originario di Niscemi, e Domenico Rocca, di 40 anni, nativo di Asti.

Gela, boss comunicava dal carcere coi fazzolettini


GELA. Anche se detenuto nel carcere di Catanzaro, il boss Giuseppe Alferi comunicava con l'esterno, dando ordini, attraverso lo scambio dei pacchetti di fazzolettini che portavano nel parlatorio del carcere sia lui che le persone che lo andavano a trovare, soprattutto la moglie, Silvana Cialdino, e l'amante Maria Azzarelli. Era quest'ultima che nascondeva le armi, prestava denaro a usura, ricettava la refurtiva e occupava gli immobili, svolgendo (in assenza del capo) funzioni di raccordo e di controllo della banda. Una terza donna, Antonella Bignola, dipendente della sala Bingo di Gela, procacciava i clienti indebitati ai quali prestare denaro a usura.
La ferocia della banda si manifestava con attentati dinamitardi e incendiari ad auto e negozi, spari contro saracinesche, vetrine e abitazioni e con atti intimidatori anche in danno di integerrimi esponenti delle forze dell'ordine. Un consistente contributo alle indagini è stato dato da Emanuele Cascino, figlioccio e fedelissimo del boss, che per dimostrare la propria devozione al "padrino" se ne era fatto tatuare il volto tra spalle e schiena. Ma sfuggito a tre agguati, per contrasti esplosi all'interno della banda, Cascino é scappato da Gela, rifugiandosi al Nord, e ha deciso di collaborare con la giustizia, malgrado Alferi gli abbia fatto sapere che era disposto a riprenderlo garantendogli ogni immunità. I 28 arrestati sono tutti accusati di associazione mafiosa "finalizzata a commettere delitti di ogni genere e, principalmente estorsioni, furti, danneggiamenti col fuoco, usura, occupazione abusiva di immobili ed altri ancora".

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