Il padre, suo omonimo, costretto ad emigrare negli Stati Uniti, a più riprese riuscì a comprare diversi pezzi di terra nei dintorni del paese. Infine rimpatriò per occuparsi della loro coltivazione.
Il giovane Salvatore, finite le elementari, andò ad aiutare il padre. In verità avrebbe preferito il commercio, ma non si sottraeva al suo dovere anzi trovava il tempo per continuare gli studi. Spesso finito il lavoro, andava dal prete del paese o da un suo ex insegnante.
Fu una figura molto controversa: di umili origini, la sua latitanza inizia nel 1943 quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasporta due sacchi di frumento (80 kg) caricati su un cavallo, gli vengono sequestrati cavallo e frumento e, lasciato solo, tenta di allontanarsi, ma i militari gli sparano sei colpi di moschetto. Due proiettili lo colpiscono al fianco destro. Un militare gli si avvicina per dargli il colpo di grazia. Salvatore Giuliano reagisce uccidendo il giovane carabiniere con un colpo di pistola, e si dà alla macchia.
Dal 1945 le sue imprese furono anche di natura politica di ispirazione separatistica grazie ai contatti inizialmente con il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), entrando, poi, spinto da esponenti dell'intelligence U.S.A. nell'E.V.I.S. (Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana) il cui maggiore esponente era l'avv. Antonio Canepa ucciso il 17 giugno 1945 in uno scontro con i Carabinieri a Randazzo. Fu Concetto Gallo a portare Giuliano nell'EVIS, che vi ebbe il grado di colonnello. L'E.V.I.S. operò contro l'esercito italiano nel biennio 1945-46.
Il M.I.S. decise di entrare nella legalità e di partecipare alle elezioni per il parlamento nazionale dopo, però, avere avute le garanzie del riconoscimento dello Statuto Speciale Siciliano conferito da Re Umberto II alla Sicilia nel 1945, ben 17 giorni prima del referendum che trasformerà l'Italia in Repubblica e che divenne parte integrante della Costituzione Italiana (legge costituzionale n° 2 del 26/02/1948). Giuliano non accettò l'accordo e continuò la lotta con la sua banda. Le imprese di Giuliano, da allora, furono trasmesse all'opinione pubblica come veri e propri atti di criminalità comune, di "brigantaggio". Molti membri delle forze dell'ordine caddero in agguati ed imboscate.
Salvatore Giuliano e Gaspare PisciottaFu accusato della strage di Portella della Ginestra del 1947, presso Piana degli Albanesi (PA), contro duemila lavoratori, in prevalenza contadini, riunitisi per manifestare contro il latifondismo ed a favore dell'occupazione delle terre incolte, oltre che per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).
La strage era in programma, da circa un anno prima, nel caso in cui le sinistre avessero avuto la maggioranza. Il temuto sorpasso avvenne con 29 seggi alle sinistre e 24 alla DC. Lo scopo dell'azione era il monito della DC e dell'America che mandò degli agenti della CIA, muniti di lancia granate, a lanciare sulla folla le "armi speciali"[1].
Dopo questa ed altre "imprese", Giuliano divenne personaggio scomodo, probabilmente anche per coloro che lo avevano utilizzato e protetto (ipotesi suffragate dagli studi di Giuseppe Casarrubea, Nicola Tranfaglia e Aldo Giannuli che sono state presentate anche in trasmissioni televisive sull'argomento) non escludendo che a sparare non siano stati solo gli uomini di Giuliano. Infatti perizie balistiche ed analisi di proiettili e schegge di granate conficcati ancora nel corpo dei sopravvissuti portano alla conclusione che furono usate anche armi non in dotazione agli uomini di Giuliano. La desecretazione di documenti riservati sui quali Nicola Tranfaglia ha scritto il libro Come nasce la Repubblica?, considerato un caposaldo per gli storici che si occupano dell'argomento, avrebbe dimostrato un coinvolgimento di uomini appartenenti ai reparti del battaglione Vega della Decima Mas nelle vicende siciliane. L'uso stesso di lanciagranate conforterebbe tale ipotesi proprio perché i lanciagranate non erano in dotazione al gruppo Giuliano ma erano molto usati dagli uomini della Decima Mas. È risaputo[senza fonte] che Junio Valerio Borghese divenne dopo la fine della seconda guerra mondiale un agente americano, nella pratica, come tantissimi ex criminali di guerra nazifascisti, e sempre secondo gli studi ed i documenti presentati da Nicola Tranfaglia è realistico che i servizi segreti USA usassero anche gruppi neofascisti per arginare il periodo di forti tensioni sociali nell'isola in chiave anti social-comunista [2]. L'ipotesi è suffragata dal fatto che con la vicenda siciliana è pure entrato in contatto il principe Valerio Pignatelli[3] uno degli organizzatori di gruppi neofascisti a livello nazionale dopo la seconda guerra mondiale che fra l'altro ebbe stretti contatti con Nando di Nardo[4], altro noto riorganizzattore di gruppi neofascisti[senza fonte] nel periodo e dopo.
Operò ancora per alcuni anni in contesti sempre più ristretti, prima di essere trovato ucciso nel cortile dell'avvocato De Maria in via Mannone a Castelvetrano (TP) il 5 luglio 1950, dove era andato attratto dal luogotenente Gaspare Pisciotta che avrebbe dovuto farlo imbarcare su un sommergibile USA per farlo riparare negli Stati Uniti.
Nel 1950 il giornalista de L'Europeo pubblica un'inchiesta sull'uccisione di Giuliano dal titolo Di sicuro c'è solo che è morto[5], nella quale smentisce la versione ufficiale del fatto e scopre l'assassino di Giuliano, il cugino Gaspare Pisciotta. Pisciotta fu poi avvelenato nel carcere dell'Ucciardone, con un caffè alla stricnina, prima di rendere la sua testimonianza sulla strage di Portella della Ginestra al procuratore Pietro Scaglione (che verrà assassinato dalla Mafia nel 1971)[senza fonte].
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra, Pisciotta dichiaro': "Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l'onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata, l'onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra... Prima del massacro incontrarono Giuliano..." [6]. Ciononostante Mattarella, Alliata e Marchesano, in un processo sul loro supposto ruolo nell' evento, furono dichiarati innocenti dalla Corte di Appello di Palermo. Durante il processo Pisciotta non pote' confermare le accuse presenti nella documentazione di Giuliano nella quale questi nominava il Governo Italiano, gli alti ufficiali dei Carabinieri e i mafiosi coinvolti nella sua banda. [7] E ancora: “Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa” [8] .
Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni ed il segreto di stato fino al 2016[senza fonte]. Alcuni addirittura sostengono[senza fonte] che il Giuliano morto in Sicilia fosse in realtà un suo fratello, e che il vero Salvatore divenne latitante e fu ucciso solo alcuni anni più tardi, in un bar di Napoli, con un caffè al cianuro[senza fonte]. Secondo un'ultima ipotesi, al posto del bandito fu ucciso, forse intenzionalmente, un suo sosia, per essere poi tumulato al suo posto. A seguito di una recente denuncia la magistratura ha avviato accertamenti e disposto la riesumazione di ciò che resta del corpo, per accertarne l'identità[9].
« L'attestato di benemerenza rilasciato al separatista Gaspare Pisciotta a firma del ministro Mario Scelba
Il nominato Gaspare Pisciotta di Salvatore e di Lombardo Rosalia, nato a Montelepre il 5 marzo 1924, raffigurato nella fotografia in calce al presente, si sta attivamente adoperando - come da formale assicurazione fornitami nel mio ufficio in data 24 giugno c. dal colonnello Luca - per restituire alla zona di Montelepre e comuni vicini la tranquillità e la concordia, cooperando per il totale ripristino della legge. Assicuro e garantisco fin d'ora che la sua preziosa ed apprezzata opera sarà tenuta nella massima considerazione anche per l'avvenire e verrà da me segnalata alla competente Autorità Giudiziaria perché - anche sulla base delle giustificazioni e dei chiarimenti che egli fornirà - voglia riesaminare quanto gli è stato addebitato, vagliando attentamente e minuziosamente tutte le circostanze dei vari episodi, al fine che nulla sia trascurato per porre in chiara luce ogni elemento a lui favorevole. Il Col. Luca, unico mio fiduciario, raccoglierà intanto ogni dato utile al riesame della sua posizione, tenendomi informato dei risultati conseguiti.
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