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mercoledì 3 marzo 2010
"Mai trattato con la mafia"
"Mai trattato con la mafia"
PALERMO - "Non ho mai trattato con la mafia. I rapporti tra me, De Donno e Vito Ciancimino, introdotti in questo processo, rientrano nell'ambito di relazioni confidenziali che non hanno nulla a che vedere con una trattativa, come molti, come tanti pappagalli sostengono".
Cominciano così le dichiarazioni spontanee che il generale Mario Mori, imputato insieme al colonnello Mauro Obinu, di favoreggiamento aggravato, sta rendendo davanti ai giudici della quarta sezione del Tribunale di Palermo.
"Ma quale trattativa? A Ciancimino dicemmo esplicitamente, più volte, che pretendevamo la resa incondizionata dei boss di Cosa nostra, in particolare Riina e Provenzano, e che in cambio di questo avremmo trattato bene le loro famiglie".
Il generale Mori nega di avere mai trattato con la mafia e, nel corso di lunghe dichiarazioni spontanee rese ai giudici che lo processano, ripercorre tutti i suoi incontri con l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, a partire dalla fine di luglio del '92.
Secondo l'ufficiale, Ciancimino, con il quale l'Arma aveva intrapreso rapporti confidenziali per potere giungere alla cattura dei latitanti mafiosi, in uno degli incontri chiese, in cambio di un suo contributo investigativo, "la possibilità di andare all'estero, il riconoscimento del ruolo di mediatore ed un occhio di riguardo per i suoi problemi giudiziari".
"Noi rispondemmo - ha spiegato Mori - senza esitazione, cosa che non avremmo potuto fare se avessimo agito su mandato altrui e chiedemmo la resa dei latitanti". "Ciancimino, a quel punto - ha concluso - balzò in piedi e disse che lo volevamo morto".
TENSIONI E CONTRADDIZIONI IN AULA. L'identità del signor Franco, il misterioso agente dei Servizi segreti che avrebbe avuto un ruolo nella trattativa tra mafia e Stato, e le contraddizioni presenti nel lungo racconto sui rapporti tra i carabinieri del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, sono stati i punti salienti del controesame di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, interrogato dai legali del generale Mario Mori.
Il processo, che vede sotto accusa anche il colonnello dell'Arma Mauro Obinu, è cominciato con un battibecco tra l'accusa e l'avv. Piero Milio che ha chiesto che il testimone fosse invitato a guardare solo i giudici per evitare imbeccate. Richiesta a cui il pm Nino Di Matteo ha risposto seccamente chiedendo la trasmissione del verbale d'udienza alla Procura per chiarire a cosa si riferisse il legale.
Tre gli aspetti su cui ha puntato la difesa che ha cercato di far emergere presunte versioni contrastanti delle dichiarazioni di Ciancimino. Una è relativa alla consegna del cosiddetto papello con le richieste allo Stato del boss Totò Riina.
Secondo Milio il testimone avrebbe prima dichiarato di averlo ricevuto dal medico mafioso Antonino Cinà, poi dal signor Franco. Ciancimino ha spiegato che lo ricevette a fine giugno del '92 da Cinà in una busta chiusa di cui non conosceva il contenuto e che solo a luglio del '92 il sig. Franco, a cui venne mostrato, glielo fece vedere.
Altro punto debole del racconto, secondo il legale è rappresentato proprio dall'identificazione del sig. Franco, mai individuato nonostante - ha ammesso il teste - più volte siano state mostrate a Ciancimino foto di appartenenti ai Servizi. Ai legali sembra incredibile che, nonostante anni di rapporti e contatti con l'agente Ciancimino non abbia consentito la sua identificazione nè ne ricordi il numero telefonico.
Altro aspetto contraddittorio delle dichiarazioni di Ciancimino sarebbe il racconto della richiesta di passaporto, fatta dal padre ai carabinieri per incontrare all'estero il boss Bernardo Provenzano e che, secondo l'ex sindaco, i militari avrebbero autorizzato per potere poi incastrare Ciancimino e arrestarlo. I legali hanno messo in evidenza che in più occasioni il teste si sarebbe contraddetto dicendo che a sollecitargli la richiesta del documento sarebbe stato Provenzano, per poi sostenere che l'input sarebbe venuto da signor Franco.
Ciancimino, sollecitato dai legali, ha ammesso che l'iter della sua collaborazione con i pm, cominciata ad aprile 2008, ha avuto un'evoluzione e che la verità sarebbe venuta fuori in modo "progressivo" nel tempo. Ciancimino ha anche spiegato di essersi avvalso della facoltà di non rispondere, nel 2005, in quanto sollecitato dalla procura, che lo indagava per riciclaggio , in un interrogatorio "anomalo".
I giudici hanno rinviato il dibattimento all'udienza del 6 aprile, disponendo la citazione dell'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e dell'ex direttore degli affari penali del dicastero di via Arenula Liliana Ferraro.
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