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lunedì 2 marzo 2009
SANTA MARGHERITA BELICE. La Dia ha messo le mani su immobili e società per 400 milioni di euro
SANTA MARGHERITA BELICE. La Dia ha messo le mani su immobili e società per 400 milioni di euro
Cascio, sequestrato l’«impero»
SANTAMARGHERITA BELICE. Per la Direzione investigativa antimafia di Palermo, Rosario Cascio è un elemento di spicco dell’organizzazione mafiosa. Il sequestro di beni disposto dal Gip del Tribunale di
Palermo è una conferma che i magistrati antimafia ritengono il settantaquattrenne imprenditore margheritese collegato ai boss di Cosa Nostra, per conto dei quali avrebbe gestito beni ed aziende. Sono
stati sottoposti a sequestro ditte individuali e società di capitali operanti prevalentemente nel settore edilizio, centinaia di appezzamenti di terreno
e di fabbricati, diversi stabilimenti industriali, centinaia di automezzi e disponibilità finanziarie varie. Il valore complessivo è di 400 milioni di
euro. Rosario Cascio dallo scorso mese di agosto si trova detenuto per il suo coinvolgimento nel blitz antimafia «Scacco matto», un’indagine che in quattro
anni avrebbe scardinato il sistema di gestione di tangenti in grossi appalti nell’area occidentale della provincia di Agrigento. Per lui, come per
un’altra trentina di indagati, l’accusa è di associazione a delinquere ed estorsione. Quando venne arrestato si trovava in Piemonte, dove era stato in
carcere per una precedente condanna. Sarebbe stato però in stretto contatto con il fratello Vitino e dalle intercettazioni dei carabinieri sarebbero
emerse circostanze che lo coinvolgevano nell’inchiesta e che avrebbero fatto emergere contatti tra l’attività imprenditoriale e l’organizzazione criminale.
Cascio, accusato di avere gestito attività economiche e lavori in subappalto, nonché interessi imprenditoriali per conto di esponenti mafiosi,
assicurandosi il controllo monopolistico del mercato del calcestruzzo e del movimento terra, era stato condannato, nel processo «Mafia & Appalti»,
con sentenza passata in giudicato, a sei anni di reclusione. Secondo l’accusa avrebbe preso parte al noto «sistema Siino», quello ben noto della turnazione
delle imprese nelle gare d’appalto di opere pubbliche. Secondo gli investigatori, Cascio avrebbe anche avuto rapporti con Filippo Guttadauro,
indiziato mafioso, sposato con la sorella del noto latitante Matteo Messina Denaro.
GIUSEPPE RECCA
Nel mirino Rosario Cascio: condannato a morte da Riina fu «graziato» per l’intervento di Messina Denaro
LOTTA ALLA MAFIA. Operazione tra le province di Agrigento e Trapani: sigilli a imprese, aziende, ditte, concessionarie, fabbricati
Sequestrati 400 milioni al «re degli appalti»
Era un’altra «cassaforte» del boss trapanese. Aveva il monopolio del cemento, immenso il patrimonio illecito accumulato.
In un anno sequestrati beni per 2,400 miliardi.
I processi sono importanti, ancor di più scardinare l’economia mafiosa
ROBERTO SCARPINATO, PROCURATORE AGGIUNTO DI PALERMO
«Così stiamo smantellando
gli imperi economici dei boss»
PALERMO. «Se potessimo indicare sulla carta geografica della Sicilia con un colore i beni che in un modo o nell’altro sono riferibili a Cosa Nostra, credo
che resteremmo tutti parecchio sorpresi. Sia per il numero che per l’estensione di questi beni. Il potere economico dell’organizzazione criminale è di dimensioni tali che si può tranquillamente affermare
che si tratta di un vero e proprio sistema di consenso sociale». È questa la conclusione tratta dal procuratore aggiunto di Palermo, Roberto Scarpinato,
al termine della conferenza stampa sul sequestro preventivo dei beni – per un ammontare di oltre 400 milioni di euro – di Rosario Cascio, l’imprenditore
di Santa Margherita Belice ritenuto vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.
Perché ritiene il potere economico di Cosa Nostra
un sistema di consenso sociale?
«Perché si tratta di un tessuto produttivo esteso capillarmente su tutto il territorio. Le imprese della mafia, in una regione come la Sicilia ad alto tasso di disoccupazione, diventano un punto di riferimento per migliaia di persone in cerca di un lavoro. Una sorta di agenzia per l’occupazione da cui deriva un
vero e proprio consenso sociale oltre che un reticolo di scambio di favori ed obblighi. La mafia non è costituita solo dai boss, ma anche dai vertici economici di Cosa Nostra ed è su questo fronte che si concentra
la nostra azione di indagine».
In che modo?
«Stiamo progettando di disarticolare i gangli della struttura economica di Cosa Nostra nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento. In occasione dell’inchiesta a carico di Rosario Cascio, come Dipartimento mafia ed economia della Procura distrettuale di Palermo, abbiamo fatto ricorso, insieme con gli investigatori della Dia, a quanto previsto dalla legge
413 approvata dal Parlamento nel 1991 sull’anagrafe generale dei conti correnti bancari. La norma, all’articolo 20, prevede che la banca debba comunicare, entro sessanta giorni, i dati richiesti dagli inquirenti.
L’articolo 20 non è entrato mai in vigore e lo Stato ha così perduto miliardi di euro. Nel 2006 il decreto Bersani ha disposto l’obbligo per l’Agenzia
delle Entrate di comunicare all’Anagrafe Tributaria tutti i rapporti extrabancari. Questo ci ha consentito, grazie alla disponibilità di una password di accesso,
di individuare 120 conti correnti bancari. Ma non abbiamo potuto approfondire l’indagine perché solo alla Guardia di Finanza è consentito svolgere gli accertamenti ulteriori. Noi non possiamo andare oltre il numero di conto corrente e l’agenzia dell’istituto di credito».
Tutto ciò non limita eccessivamente le inchieste antimafia?
«Il Governo dovrebbe consentirci di accedere al livello successivo della banca dati. Solo così riusciremmo a conoscere in tempo reale consistenza e
movimenti dei conti bancari sospetti. Al momento siamo al livello due di accesso alla banca dati, ma vorremmo accedere al terzo livello, quello consentito alla Guardia di Finanza. Questo sistema è davvero
contraddittorio. Se la linea del Governo è di colpire la criminalità economica, allora si deve rendere disponibile l’accesso anche alle altre forze dell’ordine
e alla magistratura. Se il Governo fosse già intervenuto in proposito, a Cosa Nostra lo Stato avrebbe potuto sottrarre miliardi di euro da destinare
ad iniziative di carattere sociale. Invece, nelle more di questo decisivo cambiamento di rotta, capimafia ed organizzazioni criminali hanno avuto finora a disposizione il tempo necessario per prosciugare
i conti correnti bancari o trasferirli altrove non appena hanno avuto il sentore di indagini ed accertamenti in arrivo».
Nonostante le difficoltà, i sequestri proseguono
però a tamburo battente...
«È vero. Dal gennaio 2008 ad oggi la Procura distrettuale di Palermo ha sequestrato beni per un ammontare di 2 miliardi e 400 milioni di euro. Ci siamo resi conto che le condanne per mafia sono importanti, ma anche che gli imperi economici dei boss, durante la loro detenzione, continuano ad essere gestiti alterando le logiche del libero mercato. Per bloccare tutto ciò, bisogna lavorare per scardinare l’economia mafiosa e la Procura di Palermo è all’avanguardia in questo tipo di indagini».
GIORGIO PETTA
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