martedì 12 novembre 2013

Patroni Griffi, il sottosegretario "ricco" grazie alla sua legge



 
Un sottosegretario e un viceministro che guadagnano più del presidente del Consiglio. Verrebbe da sorridere se non fossero soldi pubblici quelli che la Casta usa a suo piacimento. Euro nostri che il governo continua a chiederci, anche se manca il lavoro, tanto i politici sanno sempre dove recuperare denaro per loro. La storia non è originale: il Palazzo fa una legge ma poi trova sempre il modo di applicarla a suo vantaggio. Perché a smenarci, purtroppo, sono sempre i cittadini. E così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi e il viceministro all’Economia, Antonio Catricalà, sommando tutti i loro stipendi guadagnano il doppio rispetto a un ministro.
Faccio la legge, ma mi tengo il comma che mi fa comodo. Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, redatto appunto dal sottosegretario Filippo Patroni Griffi, sancisce che i ministri “non possono cumulare il trattamento stipendiale”. E’ la famosa norma sulla trasparenza. Basta doppie indennità, chi è già parlamentare non può avere anche la busta paga da ministro. Lo stipendio lordo da ministro è di 63mila euro all’anno, quello di deputati e sanatori di 135mila: ovviamente tutti hanno scelto quest’ultimo. I ministri non eletti in Parlamento, invece, hanno diritto ad essere equiparati, dunque anche per loro ogni anno in banca arrivano 135mila euro.

E fin qui la norma, tutto sommato, è anche comprensibile, facendo un piccolo sforzo. Ma il decreto Patroni Griffi lascia aperta una possibilità (articolo 3, comma 1 bis) che in buona sostanza consente sia a lui che al viceministro dell’Economia, Antonio Catricalà, di guadagnare molto di più degli altri membri dell’esecutivo. I meandri della legge sono un po’ noiosi – mica tutti hanno una laurea in giurisprudenza – ma vale la pena seguire il filo. Il comma 1 bis, infatti, rimanda all’articolo 1 della legge 418 del 1999 che, appunto, equipara il trattamento dei ministri non parlamentari a quello dei parlamentari. Per completare il quadro normativo, aggiungiamo anche due leggine del 1993 e del 1980, gli anni del boom del debito pubblico, quando si spendeva quanto o anche più di oggi, ma nessuno si lamentava. Queste due leggi permettono a Patroni e Catricalà di conservare la paga dell’amministrazione pubblica dalla quale sono in aspettativa. Cioè consentono di incassare ulteriore denaro pubblico per un lavoro che non stanno facendo. Entrambi sono presidente di sezione del Consiglio di Stato: Catricalà è fuori ruolo da dodici anni e Patroni da due. Nonostante questo, gli scatti di carriera non si fermano e il compenso sale. Dalla segreteria generale della Giustizia amministrativa fanno sapere che il Consiglio di Stato versa sia a Patroni che a Catricalà 243.911,91 euro lordi all’anno per non fare praticamente nulla.

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