Non appoggiò nessuno, non gradiva i programmi
Luni Mancuso, considerato dagli inquirenti il capo dell'ala armata di una delle più potenti cosche di 'ndrangheta attive in Calabria e fuori dai confini calabresi, commenta i risultati delle elezioni politiche di febbraio chiarendo che malgrado qualcuno sia andato a chiedere voti al suo entourage egli abbia preferito non muovere un dito perché «nessuno ha un bel programma»
di PIETRO COMITO
VIBO VALENTIA - Il 27 febbraio 2013, alle otto in punto, per “Scarpuni” era tempo d'improvvisare bilanci. Era da poco terminato lo scrutinio delle elezioni politiche che avrebbe aperto la lunga fase d'incertezza prima dell'incarico al presidente del Consiglio Enrico Letta. Il boss, allora, scommetteva su Bersani e confidava su Grillo, preconizzando un'alleanza che non ci sarebbe stata. Ad uno dei suoi interlocutori chiedeva chiarimenti, poi, sui risultati di Casini: «Ha fatto qualche cosa?». Gli spiegavano, i suoi, che Casini, così come Monti e Fini, era uscito male dalla tornata elettorale. Apprendeva ancora che un politico vibonese, candidato alle politiche in una posizione di prestigio ma non eletto, si sarebbe rivolto anche a persone del suo entourage per «raccogliere qualche voto». Chiedeva chiarimenti con disincanto, perché lui, “Scarpuni”, non aveva mosso un dito in campagna elettorale. D'altronde «Mancuso spiega che erano andati a chiedergli il voto e che lui ha detto che non gli interessa e che comunque non si sa nemmeno con chi si mette in quanto nessuno ha un bel programma. Parlano della possibilità di andare di nuovo a votare - prosegue la sintesi dell'ufficiale di polizia giudiziaria - e Mancuso dice che sono degli irresponsabili e che se la prendono sempre con i poveri».
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