Operazione "Medusa" portata a termine in maniera congiunta di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza con 36 ordinanze cautelari, due delle quali non eseguite. Tra le accuse contestate a vario titolo agli indagati, usura, danneggiamenti, estorsioni, favoreggiamento, associazione mafiosa. Coinvolte diverse donne che avevano il ruolo di raccogliere gli ordini durante i colloqui in carcere e di riportarli agli affiliati
Con l’operazione «Medusa», gli investigatori ritengono di avere decapitato la cosca arrestando tutti gli elementi di spicco. Dalle indagini è emerso che a capo dell’organizzazione ci sarebbe stato Francesco Giampà, detto il «professore», attualmente detenuto. Al vertice, inoltre, c'era una «cupola» composta da cinque elementi, quattro dei quali già in carcere. Nel blitz sono finite anche diverse donne. Secondo gli inquirenti, avevano il ruolo di «portaordini» dei capi detenuti che, grazie ai colloqui avuti con esse in carcere, facevano arrivare all’esterno i messaggi destinati agli accoliti. All’esecuzione dei provvedimenti hanno preso parte 100 carabinieri, 60 finanzieri e 160 agenti di polizia. Numerose le perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti. Per le 11 a Catanzaro, in prefettura, è prevista una conferenza stampa degli inquirenti. Ci sono diverse donne fra le persone raggiunte stamani dalle 36 ordinanze di custodia cautelare (34 delle quali eseguite) emesse dalla Dda di Catanzaro a carico di altrettante persone indicate come appartenenti, a vario titolo, al clan mafioso Giampà di Lamezia Terme. Secondo gli inquirenti, avevano il ruolo di «portaordini» dei capi detenuti che, grazie ai colloqui avuti con esse in carcere, facevano arrivare all’esterno i messaggi destinati agli accoliti. All’esecuzione dei provvedimenti hanno preso parte 100 carabinieri, 60 finanzieri e 160 agenti di polizia. Numerose le perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti. Per le 11 a Catanzaro, in prefettura, è prevista una conferenza stampa degli inquirenti.
IL RUOLO DEL CARABINIERE. Il militare finito in carcere prestava servizio nella Compagnia di Lamezia ed è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa avrebbe passato agli affiliati alla cosca notizia sulle indagini condotte dai suoi colleghi che hanno portato all’emissione delle ordinanze di custodia cautelare.
I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. Prima Angelo Torcasio, poi Costantino Battista, quindi anche i fratelli Saverio, Rosario e Giuseppe Cappello. La cosca Giampà è forte, pronta ad organizzarsi nei minimi dettagli, ma qualcosa al suo interno si è rotto. Perché a dare man forte alle indagini già in atto da parte di polizia, carabinieri e guardia di fiannza, sono state anche le "gole profonde" che si sono aperte proprio nella pancia del clan. L'estate scorsa, la polizia di Stato ha fatto scattare le manette intorno al polsi di alcuni esponenti di spicco della 'ndrina, ed è proprio da quel momento che qualcosa si è rotto nel meccanismo consolidato. «Questi arresti - ha spiegato Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro - hanno determinato una ulteriore evoluzione alle indagini, perché hanno permesso di legare alcuni aspetti che erano emersi». Secondo Rodolfo Ruperti, capo della squadra Mobile di Catanzaro, «queste collaborazioni, a partire da quella di Angelo Torcasio, che aveva un ruolo di primo piano, hanno dimostrato un cedimento nella cosca». D'altronde, sarebbero almeno dieci i collaboratori di giustizia che, a vario titolo, hanno raccontato retroscena e legami del clan che gestiva Lamezia Terme.
PASQUALINO RETTURA e SAVERIO PUCCIO
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