Luigi Bonaventura ha deciso di mettere nero su bianco le dichiarazioni annunciate negli ultimi tempi, per questo sta scrivendo tutto quello che sa. Alcune pagine sono già state esaminate da un magistrato: «Pm nel mirino, vogliono uccidere Boccassini, Pignatone, Bruni, Lombardo, Curcio e Gratteri»
Giuseppe Pignatone e Ilda Boccassini, entrambi nel mirino
Sono suoi «appunti, riflessioni», spiega il collaboratore di giustizia al Quotidiano. Elaborazioni e interpretazioni, forse, di alcuni contatti avuti con personaggi che gli avrebbero fatto intendere qualcosa. «Non è che ti dicono tutto chiaramente», precisa il pentito, interpellato telefonicamente. Tutto da verificare, dunque. Forse anche da prendere con le pinze. Ma, di sicuro, è tutto meritevole dei necessari approfondimenti, anche perché, almeno con riferimento alla posizione del pm Antimafia Pierpaolo Bruni, sotto la pressione del quale Bonaventura si è pentito, dichiarazioni sono state acquisite dagli inquirenti in tempi non sospetti. Del resto, l’ordine per un attentato al pm Bruni sventato dai carabinieri nella località Papaniciaro il 2 maggio 2006 sarebbe venuto proprio da lui e da Luca Megna, il boss ucciso la vigilia di Pasqua 2008. Una colonna di mezzi carichi di armi da guerra e esplosivi fu scompaginata dai militari che avevano avuto sentore di movimenti sospetti proprio mentre il magistrato percorreva la strada statale 106 per recarsi in Corte d’assise da Crotone a Catanzaro. Anche per questo, probabilmente, le “riflessioni” di Bonaventura sono da prendere in considerazione. Come il passaggio in cui si afferma: «i riggitani che mi hanno abbordato vogliono morti Berlusconi, Maroni e Alfano perché hanno permesso il sequestro di beni». Alcuni punti del manoscritto, del quale non siamo in possesso integralmente, sono criptati. Ma tra le poche pagine che abbiamo avuto modo di visionare gli spunti più inquietanti sono sicuramente quelli relativi a progetti di morte. Le fonti dalle quali Bonaventura avrebbe appreso tali notizie sono esponenti dei De Stefano, tra le cosche più potenti della ‘ndrangheta, che, a suo dire, come già riferito dal Quotidiano, lo avrebbero avvicinato in due distinte circostanze nell’estate 2011 forse per tentare di aggiustare processi in corso, forse per tendergli una trappola. Lui, comunque, di cose da dire ne ha e ritiene insufficiente il termine di 180 giorni previsto per legge. «In 14, forse 15 verbali e nelle condizioni di disagio in cui si vive all’interno del programma di protezione è difficile riuscire a raccontare tutto quello che si sa», si giustifica, facendo riferimento alla situazione di pericolo da lui denunciata anche con appelli al Presidente Napolitano e al ministro Cancellieri.
ANTONIO ANASTASI
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