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martedì 28 febbraio 2012
Ponticelli, anche il boss costretto a pagare il pizzo
NAPOLI - Erano riusciti in un’impresa che, solo fino a qualche anno fa, sarebbe apparsa impossibile. Avevano puntato gli occhi – e gli interessi - su uno dei quartieri della città di Napoli che storicamente si considerava impenetrabile, una di quelle enclave di camorra inavvicinabile, considerato il regno del clan Sarno: Ponticelli.
E, forti della debolezza in cui quella cosca è sprofondata ormai da tre anni, erano riusciti a conquistare quel fortino inespugnabile. Il nome dirà poco: eppure gli affiliati alle famiglie Casella e Circone se l’erano conquistato, l’«onore» e il «rispetto», soppiantando i Sarno nel rione alla periferia orientale del capoluogo campano. Con la forza dell’intimidazione che era arrivata al punto di colpire persino uno dei componenti della famiglia Sarno, e riuscendolo a mettere pure sotto estorsione.
È questo il quadro che viene alla luce da un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, affidata ai carabinieri della compagnia di Torre del Greco guidata dal capitano Pierluigi Buonomo, e confluita in un’ordinanza di custodia cautelare che all’alba di ieri ha portato in carcere otto persone, tutti presunti affiliati alla nuova cosca vincente. I provvedimenti richiesti dai pm Vincenzo D’Onofrio e Francesco Valentini sono stati firmati dal gip Antonella Terzi.
Uno spaccato inquietante emerge dagli atti investigativi. L’inchiesta ha preso le mosse anche grazie alla denuncia presentata proprio da un componente della famiglia Sarno - Carmine – che, contrariamente alla quasi totalità del resto dei suoi familiari, che hanno accettato di abbandonare il quartiere e di porsi sotto la protezione dello Stato dopo il pentimento dei suoi fratelli, ha deciso di continuare a vivere a Ponticelli. L’uomo si rivolse ai carabinieri, ammettendo di essere stato costretto a cedere alcune sue imprese e addirittura a pagare il «pizzo» ai nuovi aguzzini giunti da Torre del Greco: i nuovi «padroni» di Ponticelli. Perché questa era la «legge» imposta dai Casella-Circone: e a Ponticelli sul racket non si facevano sconti a nessuno, perché tutti dovevano pagare.
E così, da titolare di un'agenzia musicale specializzata nella promozione di cantanti neomelodici e di un'impresa di pulizie, Carmine Sarno fu costretto a rinunziare alle sue attività. Spodestato, ma non solo. Già, perché da quello che si legge nelle carte dell’indagine, i nuovi arrivati avevano fatto di lui il bersaglio pubblico, l’uomo da deridere e umiliare in pubblico, per strada, davanti a tutti, in quanto «fratello degli infami», laddove gli infami diventano i collaboratori di giustizia.
Il nuovo clan che dal litorale vesuviano si era spinto alla conquista di Napoli faceva, secondo l’accusa, delle estorsioni la propria principale attività. Imponeva il pizzo a tutti. Persino ai venditori ambulanti del mercatino rionale. E, solo dagli ambulanti, ogni giorno il clan intascava 600 euro. È quella che il giudice Antonella Terzi non esita nella sua ordinanza a definire «l’esazione a tappeto della camorra ai danni di rivenditori miserabili, capaci di modeste contribuzioni, ma che serve a rendere visibile il controllo sul territorio». I destinatari delle misure cautelari sono Antonio Accennato, Salvatore Acunzo,Rosario Borrelli, Bruno Esposito, Salvatore Montefusco, Giovanni De Stefano, Vincenzo Persico e Salvatore Castellano. Tutti devono rispondere di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Giuseppe Crimaldi
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