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martedì 7 febbraio 2012
Operazione anticamorra, neomelodici indagati: inneggiavano al clan
ERCOLANO - I carabinieri della Compagnia di Torre del Greco hanno eseguito, nelle scorse ore, cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico di 41 affiliati a due clan camorristici in lotta per il controllo degli affari illeciti a Ercolano. Gli arrestati, tutti elementi di spicco dei clan Ascione-Papale e Iacomino-Birra, sono a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione, omicidio, violazione alla legge armi, rapina e spaccio di droga.
Nel corso delle indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia (Dia) di Napoli, i carabinieri hanno individuato i soggetti operanti nei clan e identificato gli autori dell'omicidio di Raffaele Filosa, eseguito a Ercolano l'8 luglio 2001, e del tentato omicidio di Vincenzo Durantini, avvenuto a Ercolano il 13 dicembre 2010 (fatto mai denunciato).
Inoltre, i militari dell'Arma hanno identificato i soggetti coinvolti nel traffico di armi durante la lotta tra i clan e hanno scoperto due filoni estorsivi ai danni di commercianti del luogo. Nel corso dell'operazione sono stati sottoposti a sequestro preventivo beni mobili e immobili per 10 milioni di euro.
Nell'ambito dell'inchiesta che ha portato alla notifica di 41 ordinanze di custodia cautelare nei confronti degli affiliati ai clan rivali di Ercolano (Napoli), Ascione-Papale e Iacomino-Birra, sono indagati due cantanti neomelodici accusati di istigazione a delinquere. Secondo la Procura di Napoli, infatti, con i testi delle loro canzoni e le immagini dei loro video, avrebbero inneggiato alla camorra esaltandone atteggiamenti e abitudini.
Uno degli indagati per concorso in istigazione a delinquere è il cantante neomelodico Lello Liberti, autore della canzone «Il capoclan».
Per lui la Procura aveva chiesto l'arresto, non concesso però dal gip. Secondo i pm, la canzone induce a ritenere che la camorra sia un fenomeno positivo, una fonte di sostentamento per le famiglie povere e sfortunate. Liberti, in particolare, canta che «per onore il capoclan nasconde la verità: è un uomo serio, non è vero che è cattivo». Per i pm, inoltre, la canzone spinge a ritenere giusto l'omicidio di chi tradisce o si pente.
L'operazione dei carabinieri contro i clan contrapposti di Ercolano è stata effettuata in un'atmosfera insolita: gli arresti, molti dei quali nella zona intorno al popolare quartiere di Resina, sono stati eseguiti sotto la neve che è caduta nella notte in tutta zona alle pendici del Vesuvio. Tra le persone arrestate, numerose donne affiliate ai clan. Una di loro, probabilmente anche a causa del freddo della notte, ha fatto sfoggia di una vistosa pelliccia con la quale è uscita da casa, accompagnata dai carabinieri per essere portata in auto alla compagnia di Torre del Greco.
Associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi, spaccio di droga, tutti aggravati dal metodo mafioso, sono i reati che a vario titolo sono contestati ai 41 destinatari delle ordinanze di custodia in carcere eseguite oggi dai carabinieri della compagnia di Torre del Greco. Un'operazione che coinvolge due clan da tempo in lotta per la gestione delle attività illecite a Ercolano, in provincia di Napoli, ovvero gli Ascione-Papale e i Iacomino-Birra. Molti arresti sono stati resi possibili grazie alla collaborazione delle vittime del racket, Il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha parlato di un «nuovo inarrestabile atteggiamento» delle vittime delle estorsioni che denunciano i camorristi, li riconoscono consentendo gli arresti e confermano le accuse nelle aule dei tribunali.
«Una rottura assoluta rispetto a un atteggiamento di paura e di omertà», ha detto il magistrato che ha definito il fenomeno «una primavera della legalita». Cantelmo ha sottolineato che nel territorio di Ercolano «c'è fiducia nelle istituzioni» anche perché i processi «si stanno svolgendo in tempi rapidi».
Un altro elemento emerso dall'inchiesta sono le cosiddette «quote rosa» dei clan, in riferimento al coinvolgimento di cinque donne alcune delle quali di «notevole spessore criminale». Come Enrichetta Cordua che, secondo quanto accertato dagli inquirenti, in casa dove era tornata dopo la concessione degli arresti domiciliari, gestiva le attività della sua cosca, curando la «cassa comune», custodendo le armi e organizzando nell'appartamento i vertici dell'organizzazione al cui cospetto venivano portate le vittime delle richieste estorsive.
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