Carcere per il miliardario svizzero Schmidheiny e il barone belga De Cartier. I giudici: colpevoli di disastro ambientale doloso e rimozione di cautele. L'accusa: 2.191 morti per l'amianto. Parenti delle vittime in lacrime
TORINO - Sentenza storica a Torino: il tribunale del capoluogo piemontese ha condannato a 16 anni di carcere ciascuno il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier, 91 anni, alla fine del processo Eternit. Il capo d'accusa conteneva un elenco di 2.191 morti e 665 malati di patologie causate dall'amianto. Alcuni parenti delle vittime sono scoppiati in lacrime alla lettura della sentenza che condanna i due alti dirigenti della multinazionale a 16 anni di reclusione.
Colpevoli. I due, entrambi ex vertici della multinazionale dell'amianto, erano accusati di disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche. Per loro il giudice Casalbore, dopo aver disposto la condanna a 16 anni, ha anche deciso l'interdizione dai pubblici uffici. Il tribunale, secondo quanto si ricava dalla lettura del dispositivo della sentenza, ha ritenuto i due imputati colpevoli di disastro doloso solo per le condizioni degli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria). Per gli stabilimenti di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto. Il Presidente del Tribunale Giuseppe Casalbore è passato ora a elencare gli indennizzi a favore delle parti civili, che sono alcune migliaia.
I due condannati. L'elvetico Stephan Schmidheiny è uno degli uomini più ricchi del mondo, oggi si definisce «un filantropo» e si batte per un futuro ecosostenibile. In diversi periodi della loro vita, Schmidheiny e De Cartier, - aveva detto l'accusa dei pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace - hanno gestito la Eternit o società collegate e, quindi, sono responsabili dello scempio provocato dall'amianto lavorato nei quattro stabilimenti italiani della holding a partire dal 1952. Migliaia di morti e di malati di tumore fra gli operai e fra le persone che popolavano le quattro località.
Risarcimenti. Per i familiari delle vittime la corte ha stabilito un risarcimento di 30mila euro per ogni congiunto. Per alcuni ammalati ci saranno 35mila euro di risarcimento. 100 mila euro, invece, per ogni sigla sindacale, 4 mln per il comune di Cavagnolo, e una provvisonale di 15 mln per l'Inail. Al Comune di Casale Monferrato andranno 25 milioni di euro.
Un processo «unico nella storia». Il presidente della Corte d'Appello, Mario Barbuto, non era riuscito a frenare la penna quando, nella relazione depositata all'apertura dell'anno giudiziario, aveva parlato del caso Eternit: quella di oggi - sarà «a parere degli specialisti e della stampa anche estera» una causa destinata a fare epoca. Alla sbarra un miliardario svizzero e un nobile belga che per i pubblici ministeri meritavano 20 anni di galera. E sotto accusa c'è l'amianto, un minerale che nell'ultimo secolo, persino quando si cominciò a sospettare che fosse cancerogeno, è stato impiegato a piene mani per proteggere le case dal calore e dal rumore, isolare caldaie, costruire i freni delle auto, intrecciare corde, potenziare vernici; un'industria che ha dato da vivere a decine di migliaia di persone in tutto il mondo, ma che alla fine ha provocato una strage perché le fibre si sono rivelate un killer che non perdona.
Associazioni e sindaci da tutta Italia. Dai familiari delle vittime della strage di Viareggio agli studenti universitari e ai no Tav: questa mattina c'erano associazioni e onlus da tutta Italia. Un presidio organizzato fuori dal Palazzo di Giustizia. L'Afeva (associazione familiari vittime dell'amianto) attendeva la sentenza nelle maxiaule messe a disposizione all'interno del complesso: tra i componenti del sodalizio ce ne sono moltissimi che si sono costituiti parte civile.
Disastro doloso. Il processo Eternit, così come è stato costruito dalla procura torinese, è anche un processo a un certo modo di guidare le multinazionali, un atto d'accusa ai super-dirigenti che non si preoccupano di quello che succede nelle filiali periferiche e che, anzi, minimizzano i problemi o fanno di tutto per nasconderli.
Imputati i vertici dell'azienda. Ed è la prima volta che tra gli imputati non finiscono solo i capi delle singole filiali, ma i vertici. Anche le difese hanno scoccato le loro frecce. Ancora negli anni Sessanta - dicono - gli scienziati non erano d'accordo sulla nocività dell'amianto, ma i dirigenti «rimasero choccati» quando, nel 1976, in un seminario in Germania vennero messi al corrente delle ultime scoperte, e Stephan Schmidheiny, che ereditò la carica in quel periodo dal papà, prese tutti gli accorgimenti tecnici possibili per limitare i danni investendo milioni; mentre De Cartier fu, dal 1971, solo un amministratore senza deleghe e senza capacità di intervenire sul fenomeno. Che sia stato un maxi-processo lo dicono le cifre: 65 udienze fra il 2009 e il 2011, 6.392 parti civili, un flusso di testi e di pubblico che ha richiesto una macchina organizzativa cui ha preso parte anche la protezione civile. Per la sentenza sono previste misure straordinarie: il Palagiustizia apre due maxi aule da 250 posti e l'aula magna da 700, la Provincia ne mette a disposizione una da 316.
Le fabbriche della morte. «La verità la sappiamo. Ora vogliamo giustizia», afferma, in un comunicato, la Rete Nazionale per la Sicurezza sul lavoro. Alla decisione del giudice «guardano - sostiene la nota - non solo gli operai superstiti, le loro famiglie e le popolazioni che hanno lavorato e vivono ancora nei territori delle fabbriche della morte», ma anche «centinaia di migliaia di lavoratori in tutto il mondo che sono stati, o che ancora lo sono, esposti alle fibre d'amianto e da tutti coloro che si battono contro le morti sul lavoro e contro la nocività del Capitale».
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