mercoledì 11 dicembre 2013

Mafia, parla la neo pentita Galatolo: noi donne emarginate nelle cosche

La figlia del boss sentita dai pm sull’ex deputato nell’ambito del processo Mineo: «Portiamo ordini, ma non assistiamo all’affiliazione»
 
 

PALERMO. Ci sono le donne boss, le fiancheggiatrici, le portaordini ma Cosa nostra dimostra di mantenere un indirizzo maschilista. Nemmeno Giovanna Galatolo, che pure apparteneva a una famiglia di mafia tra le più note, ha mai potuto prendere parte a un momento importante come la «punciuta». Quando le chiedono se abbia mai assistito a una cerimonia di affiliazione in Cosa nostra, la neopentita dell’Acquasanta risponde: “Una donna non assiste al giuramento. È assurdo, ma è così”. La collaboratrice di giustizia, 48 anni, racconta la mafia in un interrogatorio reso il 29 ottobre ai pm Dario Scaletta e Pierangelo Padova, titolari del processo contro l’ex deputato regionale del Pdl e di Grande Sud, Franco Mineo, accusato di fittizia intestazione di beni aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra. Con lui, davanti alla quinta sezione del Tribunale, è imputato anche Angelo Galatolo, figlio di Gaetano e primo cugino della donna, a sua volta figlia di Vincenzo Galatolo, detto Enzo Tripolitano. Angelo Galatolo (che Mineo dice di avere conosciuto come persona perbene, «non come un bounty killer») adesso risponde anche di associazione mafiosa. Ma lo stesso Mineo non viene riconosciuto in foto dalla collaborante.  

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