venerdì 20 aprile 2012

Scandalo sanità

Cliniche private quei favori per i Ds


BARI - Chiedevano di far presto. Intervenire prima che una nuova legge chiudesse le porte della sanità pubblica. Rosicchiare una quota di rimborsi ai concorrenti. Accaparrarsi tutte le piccole cliniche. «E che hanno trovato il Texas nella Puglia, questi?», si stupisce Lucia Buonamico, la dirigente regionale che secondo la procura di Bari era il crocevia nel sistema degli accreditamenti: era da lei che passavano tutti gli imprenditori, anche quelli impegnati a cercare una sponda in politica.

Come il giovane Francesco Ritella, che per aprire a Putignano la sua Kentron si attrezza con i Ds. E fa quel che può, annota la Finanza: «Dispone di un appartamento in pieno centro a Roma - a spese della Kentron - gestito dal suo amico Mimmo dei Ds, che a sua volta, sembra lo “amministri” mettendolo a disposizione per il personaggio del momento con la formula “ufficio di rappresentanza”». Mimmo è Mimmo Di Cintio, caposcorta di Massimo D’Alema, il politico cui manda un regalo per il Natale del 2007. A occuparsi del recapito è sempre il fidato Mimmo, ma per sceglierlo, annotano i carabinieri, «Ritella discute con Radogna». Ovvero con Donato Radogna, uno dei più noti commercialisti baresi, incappato nell’inchiesta sulle sentenze tributarie aggiustate e citato nell’indagine sulla Dec dei Degennaro.

In quest’ambito gli investigatori ascoltano (e trascrivono) 32 telefonate di Roberto De Santis, «consulente di impresa e lobbista con molteplici conoscenze nel mondo politico», altro uomo considerato vicino a D’Alema: il 21 dicembre 2007 De Santis e Ritella sono a pranzo insieme alla «Pignata» di Bari con l’ex vicepresidente della Regione, Sandro Frisullo.

In una perquisizione i finanzieri gli trovano «una borsa risultata successivamente di proprietà di Fortunato (Giuseppe Fortunato, segretario particolare di D’Alema al ministero degli Esteri, ndr), ivi contenente documentazione relativa ad un viaggio estero istituzionale dell’allora ministro D’Alema».

Ma non c’è solo Kentron, e non ci sono solo Ritella e i suoi soci. Nelle carte c’è la clinica Padre Pio di Adelfia, il cui titolare Francesco Paolo Pellicani racconta ai pm di essere stato costretto con l’inganno ad assumere la figlia della dirigente dell’assessorato Lucia Buonamico. Poi, quando la ragazza viene licenziata, scatta una ispezione. Rappresaglie? Pellicani pensa di sì, e parla con la Digeronimo anche di quando in assessorato gli tagliavano le quote di rimborso: «Non sapendo a che santi votarmi - mette a verbale -, vado presso un altro assessore che conoscevo, l’assessore Introna, e lo prego di intercedere presso il direttore generale (all’epoca Domeniconi, ndr) se poteva aumentarmi questo tetto, e mi fu aumentato di altri 300mila euro».

La procura ritiene che sulle delibere finite nel mirino abbia molto influito l’ex assessore Alberto Tedesco, al netto delle manovre della Buonamico che - ormai a conoscenza dell’inchiesta - al telefono se la prende con i giornalisti («A pezzi li farei, ignoranti!») e con Tedesco minimizza il proprio ruolo sui posti letto della riabilitazione: «Che ne so del piano! Il pianoforte è stato suonato da altri». Ma la Kentron di Ritella passa in due anni dal cantiere all’accreditamento. Il 27 novembre 2007 la delibera 2033 che autorizza la clinica non viene portata in giunta da Alberto Tedesco (quel giorno è a Roma per impegni istituzionali) ma dall’assessore alla Cultura, Silvia Godelli. Un'altra conferma del fatto che non si poteva perdere tempo.

Giovanni Longo e Massimiliano Scagliarini

Nessun commento:

Posta un commento