martedì 11 dicembre 2012

Bidognetti avvelenò falde acquifere con i rifiuti del Nord: disastro ambientale

Lo spettro dei veleni dell'Acna di Cengio

Acqua cancerogena alle persone di Giugliano e della provincia di Napoli. Provvedimento di arresto per il boss casalese


NAPOLI - La Dia di Napoli ha eseguito un provvedimento di custodia in carcere nei confronti del boss della camorra Francesco Bidognetti accusato di disastro ambientale. Bidognetti, che è in carcere a Parma in regime di 41bis, avrebbe avvelenato falde acquifere per favorire il clan dei Casalesi.

Secondo la DDA di Napoli che ha coordinato le indagini Bidognetti, tra la fine degli anni 80 e la metà degli anni '90 avrebbe smaltito illegalmente in alcune discariche site a Giugliano di Napoli, in località Scafarea, attraverso la società Ecologia 89 che dirigeva, oltre 800mila tonnellate di rifiuti, in gran parte pericolosi provenienti da aziende del Nord, come l'Acna di Cengio (Acna, acronimo di Aziende Chimiche Nazionali Associate, di Cengio, in provincia di Savona, chiusa nel 1999, produceva quasi esclusivamente coloranti e pigmenti organici per uso industriale come tessile, cuoio e materie plastiche particolarmente inquinanti)

Le acque avvelenate venivano utilizzate per irrigare le colture e anche per scopi alimentari, non solo dalle popolazioni locali ma anche da quelle residenti in zone extraprovinciali, che hanno potenzialmente assunto sostanze cancerogene. Il disastro, secondo l'ordinanza della Dda, è durato circa un ventennio.


Gli scarti industriali tossici dell'Acna di Cengio finivano nelle discariche del Napoletano, ai confini con la provincia di Caserta, grazie a un'azienda, la Ecologia 89, costituita appositamente dallo storico boss dei «Gomorra» Francesco Bidognetti e da altre persone contigue al clan dei Casalesi di Casal di Principe.


Il centro operativo della Dia di Napoli, su delega della Direzione D partenopea ha notificato in carcere il provvedimento del Tribunale a «Cicciotto 'e Mezzanotte», così è soprannominato il boss recluso dal 1993 al 41bis: avrebbe smaltito illegalmente tra la fine degli anni '80 e la metà degli anni '90 in alcune discariche di Giugliano in Campania (Napoli), in località Scafarea, rifiuti pericolosi provenienti da aziende del nord.

La nuova accusa, che conferma come il settore principale del clan di Casal di Principe fosse la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, in particolare dello smaltimento di quelli speciali provenienti da altre regioni. Per i fatti oggetti del provvedimento è già in corso al Gup di Napoli il processo con rito abbreviato a carico Bidognetti e altri imputati; per il delitto di avvelenamento invece è la Corte d'Assise di Napoli a procedere.

Il provvedimento notificato lo scorso 7 dicembre a Bidognetti, è scritto in una nota della Dia, «ricostruisce anche le responsabilità di Cipriano Chianese, Gaetano Cerci e Giulio Facchi (ex subcommissario all'emergenza rifiuti), nei cui confronti il giudice riteneva assenti le esigenze cautelari».


Chianese e Cerci sono ritenuti, insieme a Bidognetti, «organizzatori della programmazione ed esecuzione criminale». Il 61enne Cipriano Chianese (arrestato nel 2006 e tuttora ai domiciliari, ndr), fu prima titolare della Setri, quindi della Resit srl, società che gestivano le discariche ubicate su un'area di 21,4 ettari. Fu Chianese, insieme a Bidognetti e Cerci, il grande ideatore del traffico, che avrebbe portato a interrare negli invasi che non erano impermeabilizzati 806.590 tonnellate di rifiuti, di cui oltre 30mila provenienti proprio dall'Acna; le oltre 57mila tonnellate di percolato formatosi negli anni, secondo l'accusa, sarebbero finite nel sottosuolo e poi nelle falde acquifere.

L'enorme massa di percolato che lentamente sta contaminando le falde acquifere toccherà la punta massima di inquinamento nel 2064, quando giungerà nella falda acquifera sottostante gli invasi Resit. Gli esperti della Procura hanno calcolato che la contaminazione da percolato produrrà effetti nocivi sulle popolazione, in particolare sui bambini, ma anche sull'agricoltura, che in zona è ancora molto praticata, fino al 2080.


Dagli esami effettuati è inoltre emersa la presenza nella falda di alcune sostanze con concentrazioni oltre il limite tabellare previsto dal Decreto Ministeriale 471/1999, in particolare di dicloropropano e tri-tetra-cloroetilene; il picco della contaminazione della falda, è stato accertato, sarà raggiunto nel 2064.

Le indagini hanno anche confermato le intimidazioni fatte da Chianese a Facchi affinchè il commissariato per l'emergenza erogasse sostanziosi fondi non dovuti alle sue aziende. In particolare, nel 2002, Chianese bloccò i suoi impianti di smaltimento riuscendo ad ottenere dalla struttura commissariale l'emanazione di un'ordinanza che lo autorizzava ad aprire attraverso la Resit un'altra discarica; da altre aziende riuscì poi ad ottenere, sempre con l'intervento del Commissariato e di Facchi, circa 10 milioni di euro.

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