sabato 19 maggio 2012

Sequestro di decine di immobili del “Re dei videopoker”


REGGIO CALABRIA – Oltre duecentosessanta immobili, quindici fra auto e motocicli, tutti i conti correnti, portafogli titoli, depositi di risparmio, posizioni assicurative, in sequestro, con saldo attivo superiore a 1000,00 euro intestati a lui o ai suoi familiari, il patrimonio aziendale e le quote sociali della Grida srl e della Sicaf due srl e l’intero patrimonio della ditta individuale Are: è l’intero impero Campolo quello di cui il giudice Kate Tassone ha disposto la confisca. Un patrimonio stimato sui 330 milioni di euro. Una cifra enorme. Il giudice ha accolto il quadro accusatorio e le risultanze delle analisi dei periti incaricati dai pm e degli uomini della Guardia di Finanza che per mesi hanno incrociato dati, verificato conti, stimato il valore di immobili siti a Reggio Calabria come a Roma, Milano, Parigi, così come di tele firmate da artisti di fama internazionale – De Chirico, Guttuso, Picasso, Ligabue – che fino al giorno del suo arresto facevano bella mostra di sé nelle abitazioni di Campolo. La collezione più ricca da Roma in giù, secondo alcune accurate perizie svolte nel tempo.
Giudici e militari delle Fiamme Gialle sono giunti dunque ad una conclusione che non lascia scampo al cosiddetto re dei videopoker, Gioacchino Campolo, già condannato a 18 anni di reclusione con l’accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose: ” il patrimonio e i beni del proposto non sono, quanto meno a partire dal 1982, giustificati da legittima provenienza perchè sono sproporzionati al reddito e alla attività economica svolta dal Campolo e dai suoi familiari conviventi”. Una conclusione lapidaria che dà ragione ad un’analisi lunga e complessa, messa a punto dalla Guardia di Finanza che ha ricostruito a ritroso la costruzione dell’impero Campolo incrociando accertamenti patrimoniali, fiscali, finanziari, bancari, fino ad avere un perimetro preciso di un patrimonio che – per lo meno dall’82 in poi è stato costruito in maniera illecita.
Un’indagine che gli inquirenti hanno dovuto dividere in due tronconi temporali: il periodo dal 1988 al 2008, per il quale sono disponibili le dichiarazioni dei redditi, ed il periodo antecedente, relativo agli anni dal 1968 al 1987, per il quale non sono disponibili le dichiarazioni fiscali. Un ostacolo in più per le Fiamme Gialle, obbligate ad un calcolo induttivo dei redditi – che ha ricevuto il visto buono anche della Banca d’Italia – basato sulla indicizzazione del reddito dichiarato da Campolo nel 1988, anno del primo reddito censito in Banca Dati. Un metodo complicato, più lungo e macchinoso ma che conduce il giudice alla medesima conclusione: “sussiste una evidente sproporzione, tra redditi dichiarati dal proposto e dai suoi familiari e capacità finanziaria accertata, sin dal 1982.Pertanto,tutti i beni acquisiti dal proposto, direttamente o indirettamente, dall’anno 1982 devono essere sequestrati e confiscati”. Pietra angolare usata per costruire un patrimonio sterminato, stimato all’epoca del sequestro in circa 330 milioni di euro – entità pari a quella di una finanziaria di uno stato di piccole dimensioni – la ditta Are, specializzata nell’utilizzo e noleggio di apparecchi da gioco che gli inquirenti hanno scoperto totalmente illegali perché trasformate in vere e proprie slot machine, assolutamente sconosciute al regime imposto dal Monopolio di Stato sui giochi d’azzardo . Ma le macchinette truccate e la doppia contabilità con cui Campolo gestiva la ditta e che gli ha permesso negli anni di accumulare le risorse finanziarie necessarie per gli investimenti nel mattone, non è l’unico profilo di illegalità che gli inquirenti hanno riscontrato indagando sulle attività del re dei video-poker, titolo di cui lo stesso Campolo amava fregiarsi.
La posizione dominante nel settore delle “macchinette” è stata conquistata – si legge nel decreto di sequestro –” attraverso atti di estorsione e di concorrenza sleale perpetrati con la collaborazione di esponenti di spicco della criminalità organizzata in grado di produrre ingenti quantità di denaro in contante, frodato al fisco ed impiegato nell’acquisto del patrimonio sopra descritto”. Estorsioni come quella commessa in concorso assieme a Gaetano Andrea Zindato – rampollo dell’omonima cosca reggente nella zona sud della città, condannato in primo grado a nove anni di carcere – imponendo ai titolari del “Punto Snai” del quartiere Modena l’installazione delle sue macchinette “mangiasoldi”. Medesimo diktat imposto ai titolari dell’ex sala giochi Edonè, questa volta nella zona nord della città e in concorso con Mario Audino, uomo dei Tegano. Episodi diversi e spalmati nel tempo, che porteranno i magistrati ad affermare “mentre la Ditta ET&T era costretta a ritirare i propri apparecchi da gioco, Polimeni Giuseppe a chiudere la propria attività di noleggio di videogiochi ed a trasferirsi a Roma, la CalabraGiochiSRL ugualmente a portar via le proprie macchinette -episodi, quelli citati, che si distribuiscono in unarco temporale che va dai primi anni ’90 sino al2008 – Campolo e la Ditta ARE, senza battute di arresto, espandevano i propri confini nello specifico settore di mercato, arrivando sino alla Piana di Gioia Tauro (peraltro, come visto, sempre attraverso la conclusione di affari illeciti con soggetti contigui alla ndrangheta, quali Princi Antonino, genero di Rugolo Domenico, reggente della omonima cosca operante su Rizziconi, Delianuova ed altri territori della Piana di Gioia Tauro)”.
Tanti e diversi erano gli uomini di ndrangheta per i quali Campolo si dimostrava “a disposizione”, circostanze che faranno scrivere ai magistrati “Dopol a pax mafiosa si era avvicinato anche alle famiglie Libri/Zindato e manteneva rapporti con esponenti della cosca Condello-Serraino-lmertl-Rosmini e Nicolò, in specie il capo locale di Gallico, Iannò Paolo, al quale,aveva attrezzato un circolocon giochi legali e illegali prima del’95. Tanto ha riferito infatti lo stesso collaboratore digiustizia, all’udienza del12.10.2010 precisando che i termini degli accordi prevedevano per entrambe le tipologie di giochi una ripartizione degli utili al 50%. Questo consente di comprendere che il Campolo è perfettamente inserito nella logica di spartizione territoriale -secondo la quale la cosca egemone sul territorio ha diritto di accaparrarsi e controllare tutte le attività illecite, compreso il gioco d’azzardo, il noleggio degli apparecchi da gioco- elemento al contempo funzionale e fruitore dei vantaggi in quanto individuato quale imprenditore di riferimento dai gruppi mafiosi dominanti nelle rispettive zone in cui è suddivisa la città“. Ma sebbene Campolo fosse in ottimi rapporti con tutti, è una la consorteria che del re dei videopoker è stata da sempre la protettrice in città: il clan De Stefano.
A confermare gli elementi sulla contiguità di Campolo alla potente cosca di Archi che gli investigatori hanno collezionato nel corso di una lunga indagine, le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia Paolo Iannò, killer della cosca Condello, Antonino Fiume e Giovanni Battista Fracapane, killer ed esponenti di spicco del clan De Stefano e più recentemente Nino Lo Giudice. “lo sapevo che Campolo gode di una certa “protettura” da molte famiglie e che aveva una “amicizia” diretta o indiretta, con l’avvocato Giorgio De Stefano. Anche se il “responsabile” su di lui era Orazio”, dirà il pentito Nino Fiume ai magistrati della Dda di Reggio Calabria. Sarà quest’ultimo – come riferito, sottolineano i magistrati, “in modo estremamente chiaro e lineare” dal pentito Fracapane – a bloccare Mario Audino e i suoi propositi omicidi ai danni di Campolo, ma anche ad ordinare che fosse la sua Are e non la ditta dei Lavilla, come voluto invece dai Tegano, a ricoprire una posizione di vertice nel mercato degli apparecchi da gioco in Reggio Calabria. Un rapporto che dunque gli inquirenti leggono non come “soggezione subordinazione di Campolo – imprenditore ai vari reggenti delle cosche dominanti sul territorio per la mera sopravvivenza della ditta ARE, ma di un evidente rapporto paritario finalizzato alla pianificazione e conclusione degli affari e guadagni illeciti”.
Del resto – ed ore e ore di intercettazioni audio e video lo dimostrano – quello di Campolo con i De Stefano, e soprattutto con l’avvocato Giorgio, è un rapporto solido e di lunga data. Agli arcoti Campolo ha fornito latte, uova e conserve provenienti dalle sue tenute in campagna, così come flipper e biliardini per allietare le lunghe giornate di latitanza, come quelle di Paolo Iannò, o quelle di paura, durante la guerra di mafia, dei fratelli Giuseppe e Carmine De Stefano. Ha cambiato assegni o direttamente consegnato soldi, come i 15 o 20 milioni di lire in contanti dati sull’unghia a Orazio De Stefano per pagare il proprio difensore di fiducia. “Si è fatta la richiesta dei soldi per finanziare – dirà in proposito il pentito Fracapane - non è che si va da una persona e si chiedono soldi così: ci deve essere un’amicizia intima”. Del resto, e i particolari intimi della vita degli esponenti di spicco del clan che Campolo conosce lo dimostrano, quello del re videopoker con il clan e soprattutto con quello che viene considerato il vero consigliori della cosca, l’avvocato Giorgio De Stefano sono rapporti antichi e consolidati. Tanto che a lui come ad altri esponenti della famiglia De Stefano – Simona Fiorenza, sorella di Samantha moglie del boss Giuseppe De Stefano, o Natale Iannì - Campolo offre appartamenti in comodato d’uso gratuito, apre le porte del suo studio – dove da tempo è di casa - e con lui disquisisce di equilibri e guerre di mafia. Medesimo rapporto che Campolo dimostra di avere con un altro nome ricorrente nella storia del clan De Stefano: quello di Paolo Romeo – storico esponente dell’estrema destra reggina condannato per concorso esterno in associazione mafiosa – anche lui omaggiato di un comodato d’uso gratuito in cui piazza il suo studio e con il quale è tanto intimo da chiedere una mano per far entrare la figlia alla Luiss, così come commentare l’interessamento dell’allora candidato sindaco Scopelliti per l’ex cinema Margherita. Locali che l’attuale governatore della Regione Calabria riceverà in comodato d’uso gratuito per la campagna elettorale del 2007.
Rapporti oscuri, ambigui, radicati nel tempo con l’elite del clan e il suo entourage non strettamente militare, che hanno portato gli inquirenti a pensare che Campolo non fosse solo un amico di lungo corso e un protetto dei De Stefano. Ma soprattutto una comoda, vicina e disponibile lavatrice. E dunque alla richiesta prima di sequestro e poi di confisca dell’intero patrimonio del re dei Videopoker. Un uomo che per gli inquirenti, “lungi dall’agire come un ordinario imprenditore e fondare quindi la sua attività, la sua presenza sul mercato e i suoi profitti sull’ossequio alla legge e sulla leale concorrenza con gli altri soggetti attivi nel medesimo settore, ha inteso invece servirsi costantemente e sistematicamente dei vantaggi illeciti derivanti dalla sua condizione di soggetto colluso con la ‘ndrangheta e quindi protetto e spalleggiato da questa. Non solo: il Campolo, prescindere dalle sue entrature e dalla sua stessa diretta par tecipazione al mondo della criminalità mafiosa della città di Reggio Calabria, ha autonomamente sviluppato unsuo personale metodo criminale. Cisi riferisce ovviamente alla sistematica alterazione degli apparecchi di gioco di cui si è dettoin precedenza ed alla gigantesca evasione che ne è derivata e he sta alla base del patrimonio che il Campolo ha costituito nei decenni. Ma ci siriferisce anche al comportamento estorsivo nei confronti dei dipendenti, trattati più come servi della gleba che come collaboratori con una loro dignità e con i diritti loro assicurati dalla Costituzione e dalle leggi vigenti”.

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