L’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono
Un imprenditore, un dirigente pubblico, un politico. Ma soprattutto un innovatore. Fu tutto questo e molto di più Enrico Mattei, uno dei protagonisti assoluti del boom economico dell’Italia del secondo dopoguerra. In un’esistenza lunga 56 anni fu protagonista di diverse vite. Operaio, partigiano, deputato della Democrazia Cristiana, commissario liquidatore dell’Agip, presidente dell’Eni. Di Mattei si è parlato tanto in vita, ma ancora più rumore ha fatto la sua tragica morte. Era la sera del 27 ottobre 1962, esattamente 50 anni fa, quando l’aereo su cui si era imbarcato a Catania cadde nei pressi di Bascapè, vicino Pavia, poco prima dell’atterraggio previsto nello scalo di Linate a Milano. Incidente o attentato sono stati per anni alternative imperscrutabili di uno dei misteri dell’attualità italiana. Le recenti verità giudiziarie hanno avvalorato la tesi dell’omicidio, anzi dell’attentato. Nell’aereo si è certificato che venne inserita una bomba stimata in 150 grammi di tritolo. Ma non sono bastati cinque decenni per chiarire totalmente i responsabili e gli interessi che hanno portato alla morte di Mattei.
Erano in tanti a poter volere la scomparsa del dirigente italiano. Innanzitutto le cosiddette sette sorelle del petrolio, Standard Oil of New Jersey successivamente trasformatasi in Esso e poi ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Anglo-Persian Oil Company, poi divenuta in British Petroleum (BP), Standard Oil of New York, diventata in seguito Mobil e fusa con la Exxon, Texaco, unitasi alla Chevron per diventare ChevronTexaco, Standard Oil of California (Socal), poi Chevron, Gulf Oil, in buona parte confluita nella Chevron. Ma anche la Cia, i servizi segreti americani, in quel periodo di piena ‘Guerra fredda’, non vedeva di buon occhio i rapporti commerciali tra Mattei e l’Urss. Tanti nemici per un uomo potente, che era riuscito a rompere l’oligopolio del mercato petrolifero per abbassare i costi energetici per l’Italia e facilitare, in questo modo, lo sviluppo industriale.
Un progetto ambizioso, fondato sull’intuizione che i paesi arabi, in un quadro di profondi cambiamenti geopolitici dovuto anche alla decolonizzazione, avrebbero assunto il controllo delle riserve di oro nero. Questa convinzione, poi rivelatasi indovinata, spinse Mattei a cercare contatti diretti con i governi dei paesi emergenti e a firmare contratti di partnership di grande importanza. Nonostante il campo minato, il presidente dell’Eni stava realizzando il suo intento. Anche grazie ad un’attenta strategia di consenso, costruita a più livelli. Basti pensare che fu Mattei il vero artefice della nascita nel 1956 del quotidiano “Il Giorno”, uno strumento, capace di notevoli novità nel linguaggio giornalistico, a cui delegare la comunicazione del gruppo del cane a sei zampe.
Enrico Mattei era dotato di un’intelligenza e di un fiuto per gli affari al di sopra del comune. Di strada ne aveva fatta tanta da quando il 29 aprile del 1906 era nato ad Acqualanda, un piccolo paese delle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino. La sua era una famiglia modesta. Il padre Antonio, sottoufficiale dei Carabinieri, spinse il figlio Enrico, dopo la licenza elementare e gli studi alla Regia Scuola Tecnica di Vasto, a lavorare in una fabbrica di letti metallici. Divenuto ragioniere, il giovane Mattei, intraprese la carriera dirigenziale in una piccola azienda in cui era entrato quale operaio, si trasferì poi a Milano, dove inizialmente svolse l’attività di agente di commercio nel settore chimico e delle vernici. Ma lo spirito imprenditoriale non tardò a farsi sentire. Così, mentre non disdegnava contatti politici con il regime fascista e il mondo dell’area democristiana, a trent'anni avviò una propria attività nel settore chimico, fino a divenire fornitore delle Forze Armate.
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