Roma nuovo crocevia della criminalità organizzata
di Massimo Martinelli
Tutti a Roma, il nuovo crocevia della grande criminalità organizzata, dove resiste anche la criminalità storica capitolina, quella che ha preso il testimone della banda della Magliana.
Il fenomeno è diventato economico, oltre che sociale. E non è un caso che proprio i giovani della Luiss abbiano deciso di dare vita a un “Osservatorio sulla legalità dell’economia”. L’iniziativa ha lo scopo di mettere competenze diverse, in particolare giuridiche ed economiche, ma anche legate alla capacità di condurre inchieste, in un momento di crisi com’è quello attuale che produce un terreno più friabile, dove meglio attecchisce la morsa criminale. L’iniziativa sarà presentata domani, alle dieci e trenta, presso la sede di via Pola, alla presenza del ministro Guardasigilli Paola Severino e del procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone. E il punto di partenza sarà la prima mappa della criminalità nel Lazio disegnata dal magistrato della Direzione Nazionale Anntimafia, Diana De Martino.
LA MAPPA
Il Lazio, e in particolar modo Roma, già da tempo sono stati scelti dalle organizzazioni criminali mafiose per costituirvi articolazioni logistiche per il riciclaggio di capitali illecitamente accumulati e per l’investimento in attività imprenditoriali. A Roma infatti, snodo essenziale per tutti gli affari leciti ed illeciti, le organizzazioni criminali (soprattutto ‘ndrangheta e camorra) acquisiscono, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano ingenti risorse economiche provenienti da delitti. In tal modo esse si dotano di fonti di reddito importanti e apparentemente lecite.
La scelta di effettuare investimenti a Roma e nel Lazio viene privilegiata in primis in quanto la vastità del territorio, la presenza di numerosissimi esercizi commerciali, attività imprenditoriali, società finanziarie e di intermediazione consente di mimetizzare gli investimenti; una sicura attrattiva deriva poi dalla tipologia criminale del Lazio, non caratterizzato da quelle forme di allarme sociale tipiche di altre realtà territoriali, in cui è assente una criminalità locale fortemente radicata e in cui non vi è necessità di contendersi i comparti economico-imprenditoriali. In effetti, dopo la “banda della Magliana” nessuna aggregazione criminale è riuscita ad assumere un atteggiamento egemone sulle altre.
Dunque nel Lazio, e soprattutto a Roma, le organizzazioni mafiose non operano secondo le tradizionali metodologie, non realizzano comportamenti manifestamente violenti, non mirano a sopraffarsi per accaparrarsi maggiori spazi, ma anzi tendono a mantenere una situazione di tranquillità in modo da poter agevolmente realizzare quello che è il loro principale scopo: la progressiva infiltrazione nel tessuto economico ed imprenditoriale della Capitale allo scopo di riciclare, e soprattutto reimpiegare con profitto, i capitali di provenienza criminosa.
Anche nel basso Lazio la mafia non trova un habitat sociale che le consenta di insediarsi in modo sistematico e reclutare adepti, come invece avviene nei territori di origine. In effetti neanche nelle zone geograficamente più vicine ai clan campani vi sono insediamenti abitativi di tipo incontrollato sotto il profilo urbanistico (come i quartieri di Scampia o di La calza) in cui l’ambiente, la disoccupazione, il degrado abitativo agevola la penetrazione mafiosa.
In sostanza non si riscontrano, sul territorio romano e laziale, gli elementi che connotano l’associazione di stampo mafioso : la forza di intimidazione, la condizione di assoggettamento, il vincolo di omertà.
Del resto su 279 procedimenti aperti dalla DDA nel periodo di interesse, solo 17 ipotizzano il delitto di cui all’art. 416 bis C.P. Nell’ultimo periodo però, nel territorio del basso Lazio e sul litorale romano, si è assistito a fenomeni di particolare valenza criminale che inducono a ritenere che in quelle zone, contigue per ragioni storiche e geografiche ai feroci clan camorristici e dove tradizionalmente si riscontrano insediamenti di personaggi mafiosi, sia in atto un innalzamento del livello criminale e dell’indice di penetrazione.
Ci si riferisce in particolare all’omicidio di Modestino Pellino avvenuto in Nettuno il 23.7.2012 alle ore 17,30 in Piazza Garibaldi e all’omicidio di MARINO Gaetano, commesso a Terracina il 23.8.2012 alle ore 17,00 in lungomare Circe all’ingresso di uno stabilimento balneare. Pellino era un soggetto di primo piano della criminalità organizzata campana ed in particolare del “clan Moccia”. Si trovava a Nettuno da vari anni in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Gaetano Marino detto “moncherino” apparteneva al clan Marino, in questo momento coinvolto in uno scontro violento all’interno dell’ala dei cd “scissionisti” per la gestione degli affari criminali nel quartiere di Scampia. Era il fratello del boss Gennaro Marino, attualmente detenuto in regime ex art. 41 bis O.P. e da vari anni trascorreva le vacanze a Terracina con la famiglia.
Si tratta di fatti delittuosi che non appaiono collegati tra loro, e che – secondo le indagini in corso - hanno la loro matrice in situazioni del tutto differenti. Ciò che però accomuna i due gravi episodi è la presenza non occasionale delle vittime sul territorio laziale, circostanza che deve necessariamente essere correlata all’esistenza di una rete di fiancheggiatori, di una cellula del clan di appartenenza.
La presenza delle tradizionali organizzazioni mafiose è evidenziata, in modo eclatante, dall’arresto, sul territorio laziale, di alcuni importanti latitanti, circostanza che presuppone la necessaria presenza di un “dispositivo criminale” idoneo ad assicurare, per un tempo più o meno lungo, la clandestinità degli stessi.
A tale proposito deve essere ricordato l’arresto di Umberto e Francesco Bellocco, figli, rispettivamente, di Giuseppe e Carmelo Bellocco, elementi di vertice dell’omonimo clan imperante a Rosarno. L’arresto è avvenuto il 2.8.2012 in zona Casalotti ove i due disponevano di un alloggio. Ma sono soprattutto i provvedimenti di sequestro preventivo o di confisca, eseguiti sul territorio laziale e che hanno colpito patrimoni riconducibili ad esponenti di clan mafiosi, a dare la misura dell’infiltrazione criminale nel tessuto economico finanziario.
Tra le operazioni eseguite nell’ultimo anno devono essere citate: l’operazione della DDA di Napoli che riguarda le vicende relative al sodalizio camorristico denominato gruppo Ascione, costola del più noto e consolidato sodalizio denominato clan Mallardo, operante nelle zone di Giugliano, Villaricca e Qualiano. Nella precedente relazione si era dato atto dei sequestri che avevano colpito la famiglia Dell’Aquila - braccio imprenditoriale del clan Mallardo attivissimo nel settore edilizio - che nelle zone di Tivoli, Guidonia, Monterotondo aveva realizzato un impero immobiliare (oltre 150 appartamenti), in cui erano state investite le risorse del gruppo camorrista. Ma anche il gruppo Ascione si colloca tra i principali artefici dell’ascesa degli stessi Mallardo condividendo con questi il comune interesse per l’attività di rivendita di automobili, utilizzata per immettere sul mercato auto di importazione parallela in violazione della normativa in materia di IVA, nonché per perpetrate truffe ai danni di compagnie assicuratrici lucrando profitti attraverso il risarcimento dei danni. Nel corso dell’operazione, denominata Tahiti dal nome di uno stabilimento balneare di Fondi oggetto di provvedimento cautelare reale, sono stati oggetto di sequestro preventivo numerosi beni immobili tra cui molti situati in Formia, Itri e Fondi.
Il provvedimento del tribunale di Reggio Calabria – Sezione misure di prevenzione che ha disposto il sequestro dei beni di Francesco Frisina (e della moglie Maria Antonia Saccà) e di Alessandro Mazzullo ritenuti vicini alle cosche Alvaro di Sinopoli e Gallico di Palmi. I soggetti in questione, poco tempo dopo essersi insediati su Roma, erano riusciti a concludere una serie di importanti operazioni immobiliari e societarie soprattutto nel settore della ristorazione, investendo ingenti capitali per conto delle cosche calabresi di riferimento.
Sono state in particolare sequestrate, a Roma, quote della Macc 4 S.r.l., e della ditta Colonna Antonina, attiva come bar e ristorante, nonché una serie di immobili e villini ubicati a Roma, in via Boccea.
Dunque può darsi ormai per acquisito che le organizzazioni mafiose, sul territorio laziale si dedicano soprattutto al riciclaggio e al reimpiego delle risorse illecitamente acquisite.
I settori in cui la mafia investe i suoi capitali sono soprattutto l’edilizia, le società finanziarie e immobiliari e - nell’ambito del commercio – l’abbigliamento, le concessionarie di auto e la ristorazione: ristoranti, bar e caffè vengono acquisiti da società di nuova costituzione, spesso con capitali sociali esigui, che fungono da schermo dei gruppi mafiosi.
Procedimenti recenti hanno dimostrato come le organizzazioni mafiose siano giunte ad impadronirsi di locali storici per la città di Roma, come il ristorante George di via Sardegna, il Café de Paris in via Veneto, il bar California di via Bissolati, il caffè Chigi, lo stabile del teatro Ghione. Altre attività investigative in corso confermano tale assunto.
La necessità di mimetizzarsi per infiltrarsi nel tessuto economico induce poi le organizzazioni criminali ad avvalersi di una serie di personaggi conniventi che, ricavandone imponenti utilità, mettono al servizio dei clan la loro professionalità. E’ proprio questa una delle caratteristiche della mafia, pronta ad instaurare stabili relazioni con imprenditori, professionisti, esponenti del mondo finanziario ed economico servendosene ed alimentando quel circuito di relazioni che ne potenzia l’operatività. Tra i personaggi romani di cui è stato accertato lo stretto legame con cosche ‘ndranghetiste, vi è Pietro D’Ardes, condannato nel gennaio 2012 dal Tribunale di Palmi a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Costui era un imprenditore di Mentana, presidente della cooperativa di servizi Multiservice, il quale, volendo ampliare i suoi orizzonti imprenditoriali, programmava l’acquisizione della cooperativa di movimentazione merci All Services, operante nel porto di Gioia Tauro e in stato di liquidazione coatta amministrativa. Per realizzare tale progetto D’Ardes stringeva rapporti con la famiglia mafiosa degli Alvaro di San Procopio.
L’indagine ha documentato come il gruppo imprenditoriale facente capo a D’Ardes (in cui era presente anche Rocco Casamonica della nota famiglia rom) grazie al “patto d’impresa” stipulato con esponenti di vertice della famiglia Alvaro, divenuti suoi soci di fatto, e con l’avallo della potente cosca Piromalli, fosse riuscito ad ottenere la cessione della cooperativa attraverso l’affitto d’azienda, escludendo le mire di un'altra cosca, quella dei Molè.
Si può dire in definitiva che D’Ardes, partito da Mentana, sia riuscito ad ottenere una efficace “copertura mafiosa”.
Nei confronti di D’Ardes il Tribunale di Roma ha disposto una misura di prevenzione patrimoniale , confermata dalla Corte d’Appello, che ha portato alla confisca di un immobile sito a Melito Porto Salvo inserito in un complesso residenziale, 2 immobili in Artena e Ladispoli, quote societarie e beni aziendali delle seguenti società : “Cooperativa lavoro soc coop”, “Bella mia srl” “Sandalia coop” “La capinera srl” .
Altro personaggio di particolare interesse è Federico Marcaccini, imprenditore immobiliare romano titolare anche di concessionarie, ritenuto dalla DDA di Catanzaro il finanziatore delle importazioni di cocaina realizzate da Bruno Pizzata per conto delle cosche di San Luca. Dalle attività investigative emergeva come Marcaccini fosse in stretto contatto con esponenti di rilievo della cosca PELLE. Nei suoi confronti è stato eseguito un imponente sequestro preventivo, e in seguito una misura di prevenzione patrimoniale, che ha riguardato 32 società operanti nel settore immobiliare, edilizio, commerciale e vari immobili di pregio come quello locato alla società di gestione del teatro Ghione, un fabbricato con 10 unità immobiliari in via Ripetta, un albergo a Taormina, due ville a Sabaudia.
Con la criminalità di stampo mafioso convive la criminalità romana (con alcune forme di integrazione), che predilige il traffico di droga e le attività in campo economico-finanziario quali l’usura, le bancarotte, le truffe e le estorsioni che si manifestano principalmente nella forma del recupero crediti.
Con riferimento a tale ultimo settore criminale non è insolita la prassi di affidare la riscossione di crediti illegali (in primis quelli derivanti dal traffico di stupefacenti) a soggetti che vantano collegamenti con organizzazioni criminali, realizzando così una efficace capacità persuasiva.
In questo ultimo anno, soprattutto nei territori del basso Lazio, ma anche nell’hinterland della Capitale e sul litorale, si sono verificati numerosi atti intimidatori e danneggiamenti in danno di esercizi commerciali che sono tipici di altre realtà territoriali, e che hanno indotto la DDA di Roma a realizzare, attraverso le forze dell’ordine, un monitoraggio degli eventi che presentano tali caratteristiche.
Ad oggi non sono emersi elementi o segnali che possono delineare la presenza di organizzazioni criminali in grado di imporre sul territorio un racket delle estorsioni. Si riscontra però – e questo è un segnale allarmante – una diffusa omertà e una bassissima propensione a denunciare gli atti intimidatori subiti.
Anche l’usura continua ad essere uno dei fenomeni criminali tipici, e perciò più diffusi, della Capitale. Accanto ai soggetti che autonomamente si dedicano ai prestiti a tassi usurari (i cd “cravattari”), opera la criminalità organizzata che si dedica a tale attività criminale per “mettere a reddito” i capitali accumulati e nello stesso tempo penetrare nel tessuto economico della città.
Ed infatti i soggetti più esposti all’usura sono proprio gli operatori commerciali che, anche per le contingenze economiche del momento, sono alla costante ricerca di liquidità. Costoro, impossibilitati ad uscire dalla spirale di debiti ed interessi in cui vengono precipitati, vengono costretti a consegnare di fatto la gestione delle loro attività commerciali ai sodalizi criminali, che ne acquisiscono così, in forma occulta, il controllo. La forza di intimidazione che tali sodalizi esercitano è fortissima : basti pensare che in tutto il 2011, a Roma e provincia sono state presentate soltanto 38 denunce.Il mercato della prostituzione, altra attività criminale fortemente rappresentata nel Lazio, è saldamente gestito dai sodalizi stranieri. Operano in tale settore prevalentemente organizzazioni nigeriane, dell’est Europa, sudamericane e cinesi.
Mentre nella generalità dei casi gli sfruttatori hanno la stessa nazionalità delle vittime, per albanesi e rumeni si verifica sovente un interscambio con vere e proprie compravendite delle donne oggetto di sfruttamento.
La gestione criminale del fenomeno viene poi realizzata con diverse modalità: le organizzazioni nigeriane assoggettano le donne a pesanti vessazioni, fisiche e psichiche, spesso attuate dalle “maman”; i gruppi organizzati dell’est Europa tengono le donne in condizioni molto vicine alla schiavitù; le donne che si prostituiscono per i sodalizi sudamericani e cinesi conservano invece, di solito, una parte dei proventi realizzati.
Quanto ai reati di tratta e riduzione in schiavitù deve essere sottolineato come nel periodo di interesse siano stati iscritti 28 procedimenti, che coinvolgono per lo più organizzazioni di matrice straniera ed in particolare nigeriani ed albanesi.
Ma è indubbio che le organizzazioni criminali che operano nel Lazio si dedicano prevalentemente al narcotraffico. E’ questo un settore di comune interesse per tutte le associazioni criminali che coesistono sul territorio, sia quelle autoctone, sia quelle di tipo mafioso tradizionale, sia quelle di matrice etnica. Pertanto si verificano sovente forme di alleanze tra i gruppi criminali stanziati su Roma e le organizzazioni transnazionali di varia matrice, alleanze che hanno la caratteristica di essere temporanee e contingenti.
La diffusione degli stupefacenti nel Lazio è del resto un fenomeno sempre più grave, come dimostrano le statistiche a livello nazionale: nel 2011 il Lazio è la prima regione per sequestri di stupefacenti (quasi 8000 kg), la seconda per operazioni antidroga (2862), per numero di soggetti denunciati e per numero di decessi conseguenti all’assunzione di droga (41). I dati del primo semestre del 2012 riflettono analogo andamento.
Può ben dirsi dunque che la maggior parte dell’impegno della distrettuale di Roma è assorbito da indagini in tema di narcotraffico. Del resto sui 279 procedimenti iscritti dalla DDA nel periodo, ben 94 sono relativi ad associazioni finalizzate al commercio di stupefacenti per un totale di 618 indagati.
Il settore poi, a causa delle ingenti somme investite e degli elevatissimi guadagni attesi, innesca sovente gravi forme di violenza, che nel territorio laziale sono determinati più che per il controllo delle piazze di spaccio, dall’esigenza di sanzionare la mancata consegna della merce commissionata o il mancato pagamento delle partite ricevute. A tale contesto criminale si ascrivono alcuni degli agguati avvenuti nell’ultimo anno.
In tema di narcotraffico deve essere sottolineata la persistente operatività del clan Senese, e del suo capo – Michele o’ pazzo – affiliato negli anni ’70 alla Nuova Famiglia di Carmine ALFIERI e poi divenuto, a Roma, punto di riferimento dei gruppi criminali campani e laziali, operanti nel traffico di stupefacenti.
Michele Senese è attualmente agli arresti domiciliari presso una casa di cura_ dopo che la Corte d’Appello di Roma non ha riconosciuto la sussistenza a suo carico del reato associativo ed ha drasticamente ridotto la condanna da 17 ad 8 anni di reclusione. La figura di Michele Senese viene evocata in varie indagini in tema di narcotraffico attualmente in corso.
Molto attiva nel settore degli stupefacenti rimane la famiglia rom dei CASAMONICA, oggetto di numerose indagini da parte della DDA di Roma per traffico di stupefacenti e attività usurarie, nonché dedito alla ricettazione di autoveicoli e alle truffe. Ha posto solide basi in alcune aree della Capitale dove esplica il suo potere economico e finanziario tramite forme di intimidazione.
Anche il gruppo facente capo ai fratelli FASCIANI continua ad essere uno degli snodi più importanti del narcotraffico, soprattutto sul litorale di Roma. Nei procedimenti a carico di Carmine FASCIANI sono state evidenziate le relazioni con organizzazioni criminali operanti in Spagna per l’importazione di stupefacenti. Lo stesso è stato condannato (p.p. 52237/07), il 19 dicembre 2011 alla pena di 26 anni ed 8 mesi in qualità di capo ed organizzatore di un’associazione – costituita con il fratello Giuseppe e con DE SANTIS Alessio - finalizzata al traffico di stupefacenti (condanna non definitiva). Non è stata invece riconosciuta la sussistenza di analoga associazione, con altri soggetti, operante nel periodo successivo al settembre 2008. Pertanto FASCIANI Carmine è stato assolto in data 20.04.2012 in tale procedimento (p.p. 6452/08) ed è stato revocato il sequestro preventivo di una serie di beni a lui riconducibili, tra cui lo stabilimento balneare Village di Ostia. Attualmente anche FASCIANI è agli arresti domiciliari presso una struttura ospedaliera.
Quanto alla criminalità etnica, premesso che sul territorio laziale sono presenti sodalizi criminali di ogni matrice geografica, si accenna ai fenomeni più evidenti:
La criminalità cinese - le cui attività non sono più circoscritte al quartiere Esquilino ma si estendono alle zone Casilina, Tuscolana, Appia e in direzione di Ostia Lido - nell’ultimo anno si è assistito ad un incremento delle attività delinquenziali inerenti il traffico delle merci provenienti dalla Cina. E così sono stati numerosi i sequestri di capannoni industriali o di container contenenti tonnellate di merci di provenienza cinese, in gran parte contraffatte, spessissimo di contrabbando e in alcune occasioni risultate tossiche per la presenza di cromo esavalente. Altre attività criminali tipiche della comunità cinese sono le estorsioni in danno dei propri connazionali, l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento della prostituzione.
Frequenti sono anche le illecite attività connesse alle agenzie di Money Transfer gestite da cinesi, che trasferiscono in Cina somme cospicue o indicando mittenti e destinatari di fantasia e frazionando le somme al di sotto della soglia fissata dalla normativa ovvero utilizzando circuiti non ufficiali. Tale fenomeno - di cui si è avuta ulteriore riprova in occasione dell’omicidio, a scopo di rapina di Zhou Zang e della sua figlioletta di pochi mesi – consente di trasferire in patria le somme derivanti dal contrabbando delle merci o dalla violazione degli oneri fiscali connessi al commercio.
L’interesse della criminalità rumena riguarda soprattutto i delitti contro il patrimonio e la prostituzione, mentre nel narcotraffico l’impiego di rumeni è limitato al ruolo di corrieri per conto di organizzazioni albanesi, nigeriane e sudamericane.
La criminalità albanese risulta impegnata nello sfruttamento della prostituzione e nel traffico degli stupefacenti. Soprattutto nell’hinterland romano si sono verificati alcuni episodi di sangue che sottendono uno scontro in atto tra gruppi contrapposti, per il controllo di tali settori criminali.
La criminalità nigeriana infine si sviluppa nel territorio laziale nell’ambito della tratta di esseri umani, dell’immigrazione clandestina, della prostituzione e del traffico di sostanze stupefacenti, reati che assicurano un consistente illecito flusso economico.
Focus sul circondario di Latina
La provincia di Latina ha da sempre subito le infiltrazioni dei gruppi criminali organizzati, soprattutto di matrice campana, invogliati - per la vicinanza geografica e per la minore pressione investigativa rispetto ai territori di origine - ad estendere la loro operatività nel Basso Lazio, come accertato da vari procedimenti penali.
Recenti attività giudiziarie hanno documentato l’interesse dei sodalizi camorristici ad investire in quel territorio, caratterizzato da importanti attività commerciali (tra tutte quelle relative agli stabilimenti balneari, alle attività ricettive del litorale, ed al turismo). I reiterati interventi della DDA di Napoli nei confronti dei prestanome del clan Mallardo, che hanno condotto al sequestro di un patrimonio imponente soprattutto in campo immobiliare, hanno in gran parte interessato la provincia di Latina.
Quanto ai gruppi calabresi e siciliani, le pesanti infiltrazioni, soprattutto nell’area di Fondi ove è ubicato uno dei più grandi mercati ortofrutticoli d’Europa, si desumono dalla sentenze relative ai procedimenti DAMASCO e SUD-PONTINO.
Proprio per monitorare ed arginare le infiltrazioni nel tessuto economico e commerciale, il Ministero dell’Interno ha inserito la provincia di Latina nel progetto del “Desk Interforze per le indagini patrimoniali”. L’impegno delle forze dell’ordine ha portato, nell’ultimo anno, al sequestro di 253 beni e alla confisca di 123 beni, per un valore complessivo di circa 280 milioni di Euro.
Con particolare riferimento agli investimenti imprenditoriali effettuati in territorio pontino dai clan camorristici deve essere citato il procedimento nei confronti di DELLE CAVE Gennaro Antonio, concorrente esterno del clan MALLARDO. L’imprenditore operava sistematicamente con DELL’AQUILA Giovanni, già detenuto sempre per concorso esterno nel clan MALLARDO, effettuando investimenti nel settore edilizio ed immobiliare per conto del sodalizio camorrista. Il GIP, nell’accogliere le richieste della DDA, ha disposto il sequestro preventivo di varie società, soprattutto nel settore delle costruzioni e delle concessionarie di auto, alcune ubicate in Fondi. Nel medesimo procedimento è stato emesso provvedimento di sequestro preventivo nei confronti di PETITO Domenico, imprenditore di Giugliano contiguo al clan, titolare di varie aziende operanti nel settore edilizio ed immobiliare. Buona parte dei numerosi immobili sequestrati (circa 40 terreni e 70 fabbricati) sono ubicati nella provincia di Latina
Nella provincia di Latina, ed in particolare nella zona di Formia, opererebbe – secondo le indagini svolte dalla DDA di Napoli_ - un’articolazione del clan dei Casalesi facente capo a BARDELLINO Angelo e BARDELLINO Calisto (nipoti di BARDELLINO Antonio ucciso nel 1988) che avrebbe una forte operatività, soprattutto nelle attività estorsive in danno di esercizi commerciali.
Tra le attività delittuose più diffuse sul territorio della provincia di Latina vi è sicuramente il traffico di stupefacenti. Si è già dato conto dell’indagine che ha condotto in carcere i fratelli ZIZZO Carlo ed Alfiero e molti altri soggetti operanti sul territorio di Frascati, Terracina e Fondi.
Altra indagine di rilievo in tema di stupefacenti è quella condotta dalla Procura di Latina, che si è conclusa con l’applicazione di 24 misure e che ha individuato una serie di personaggi italiani che, in collaborazione con cittadini nordafricani, si occupavano della distribuzione dello stupefacente nella zona di Latina.
Altra indagine in tema di stupefacenti ha riguardato BALDASCINI Matteo (indicato da vari collaboratori come referente del clan dei Casalesi nella provincia di Latina) e il figlio BALDASCINI Paolo ed altre 14 persone, colpite da misura cautelare per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti. Anche l’indagine COCO, che ha portato all’emissione di 11 misure cautelari, ha riguardato l’attività di distribuzione di cocaina ad opera di soggetti, operanti sul litorale, in collegamento con soggetti stanziati a Tenerife da dove giungeva lo stupefacente.
Quanto ai delitti di tratta e riduzione in schiavitù deve essere segnalato il procedimento della DDA di Roma a carico di 3 bulgari dediti alla tratta di ragazze minorenni che venivano “acquistate” all’estero, portate in Italia e poi avviate coattivamente alla prostituzione sulla via Pontina.
L’effervescenza della criminalità straniera operante nella zona è anche attestata dall’indagine che ha disvelato un sistema estorsivo in essere presso il campo nomadi Al Karama di Borgo Bainsizza. L’indagine ha accertato come i cittadini rumeni che vivevano nel campo (gestito dalla regione Lazio) fossero costretti – a seguito di atti intimidatori - a versare un canone mensile di 300 euro per occupare le strutture alloggiative. Gli autori dell’estorsione venivano identificati i 3 rumeni i quali nel dicembre 2011, per indurre un connazionale riottoso a pagare, appiccavano il fuoco ala sua baracca, cagionando un incendio che si propagava velocemente e che distruggeva 12 container. Allorquando questi venivano sostituiti con nuovo moduli abitativi, il canone richiesto (e versato) saliva a 600 al mese.
Il capitolo sulla criminalità nella zona di Latina non può chiudersi senza citare le famiglie rom CIARELLI e DI SILVIO, da molti anni egemoni sul territorio, tra loro confederate ed impegnate in varie attività criminali: la prima soprattutto nell’usura e nelle estorsioni, la seconda maggiormente nelle rapine e nel traffico degli stupefacenti.
Già nella relazione dell’anno scorso si è dato atto della violenta lotta criminale che è stata ingaggiata per sottrarre l’egemonia del territorio ai CIARELLI-DI SILVIO (che ha lasciato sul campo 2 morti) e della rapida ed efficace risposta data dalle Forze dell’ordine e dalla magistratura.
In epoca recente l’operazione ha condotto all’emissione di una misura cautelare a carico di 34 persone (tra cui figurano i capi delle suddette famiglie) nella quale si contesta l’esistenza di un’associazione a delinquere, operativa dal 2004 al 2012, finalizzata al porto e alla cessione di armi, ad omicidi e tentati omicidi, ad incendi, rapine, estorsioni, usura e cessione di sostanze stupefacenti. Le indagini hanno consentito di individuare esecutori e mandanti di alcuni agguati, riconducendoli a gesti intimidatori o a spedizioni punitive, coerenti con le finalità del clan.
Nell’ultimo periodo nella provincia di Latina sono stati compiuti gravi omicidi.
Oltre a quello di Gaetano Marino, boss degli scissionisti assassinato il 23 agosto del 2012 a Terracina (v. sopra), deve essere ricordato il duplice omicidio di Alessandro Radicioli e Tiziano Marchionne, due pregiudicati assassinati il 1 novembre 2012 a Sezze. Le indagini hanno portato all’arresto dei 4 esecutori tra i quali figura Gori Umberto, imputato per associazione al clan camorrista Schiavone-Noviello di cui si è detto. Sono ancora in corso le indagini per chiarire le effettive motivazioni del gesto criminale.
Deve ancora osservarsi come nel contesto territoriale di Latina siano particolarmente frequenti gravi intimidazioni. Risultano infatti numerosi attentati, incendi dolosi ed intimidazioni nelle città di Fondi, Terracina, S.Felice Circeo, Sabaudia, Cisterna, Aprilia, Priverno e Latina. Tale fenomeno è talmente diffuso da aver assunto caratteristiche “endemiche”. Le attività investigative in corso dovranno chiarire se si è in presenza di episodi di microcriminalità o se si tratti di manifestazioni intimidatorie finalizzate ad imporre gruppi criminali nella gestione delle attività economiche e commerciali.
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