di MASSIMILIANO SCAGLIARINI
BARI - I fornitori non pagati, gli agricoltori raggirati, la ricchezza prodotta ogni giorno dal sole che finisce in Svizzera e Lussemburgo. Lo sviluppo è finito, la saturazione è vicina, i primi segnali dicono che la bolla del fotovoltaico sta per scoppiare. Con il rischio che in Puglia, la regione che in Italia ospita il maggior numero di pannelli, rimangano soltanto macerie.
A luglio il Tribunale di Bari ha ammesso al concordato preventivo il più grande contractor pugliese e uno dei maggiori del Mezzogiorno. La Saem di Altamura, 70 milioni di fatturato e 130 dipendenti (oggi in gran parte in cassa integrazione), realizzava impianti fotovoltaici «chiavi in mano» in Puglia, Basilicata e Calabria. Fondata dalla famiglia Maggi, nel 2009 la maggioranza della Saem era stata acquistata dalla Kerself di Correggio, il più grande installatore italiano, una società quotata in Borsa (ed oggi fallita) che fa capo - tramite l’inglese Avelar Energy - alla Renova dell’oligarca Viktor Vekselberg, un russo residente in Svizzera. Entrambe (Avelar e Renova) per anni hanno fatto shopping di parchi fotovoltaici in Puglia e sono tra i maggiori operatori del settore: nel cda di Avelar c’erano il salentino Roberto De Santis e Massimo Decaro, l’uomo di Marcello Dell’Utri arrestato a Napoli.
Per anni in Puglia gli impianti fotovoltaici fino a un megawatt non richiedevano autorizzazione regionale: bastavano una Dia e 2 milioni di euro, investimento che grazie agli incentivi statali si ripagava sei volte nel giro di dieci anni. La norma è stata abrogata nel 2011, ma il danno ormai è fatto perché intanto sono spuntati 1.813 piccoli impianti. E senza alcun controllo: bastava chiedere quattro Dia su quattro suoli contigui per saltare ogni procedura di controllo e ritrovarsi con un parco da 10 milioni di euro.
La Saem ha realizzato e gestito decine e decine di impianti da un megawatt, anche per conto della Kerself: nel solo 2011 ne ha costruiti per 100 megawatt, lo scorso anno per altri 66. Lavori effettuati in parte per conto dei russi di Kerself e subappaltati in buona parte ad una quarantina di piccole imprese della Murgia barese e materana. Solo che Kerself pagava con il contagocce, e così Saem ha accumulato 60 milioni di debiti con fornitori e banche. I subappaltatori, in particolare, avanzano fino a un milione di euro l’uno, e con il concordato - se tutto va bene - ne prenderanno solo il 20% tanto da rischiare a loro volta il fallimento.
I fratelli Maggi, altamurani, imprenditori capaci che per anni sui giornali specializzati hanno tuonato contro gli speculatori del settore, fondano la Saem prima del boom. Nel 2009 il 55% viene rilevato (per alcuni milioni di euro) dalla Kerself, una società quotata in Borsa che realizzava impianti in tutta Italia. Quando i soldi della quotazione finiscono, Kerself chiude i rubinetti e comincia ad accumulare debiti anche con Saem. A febbraio 2012 i fratelli Maggi sottoscrivono l’aumento di capitale di Kerself conferendo le restanti quote della Saem, che dunque diventa quasi interamente dei russi. Lo scambio rientrava nel piano di risanamento della società emiliana, che a fine 2012 cambia nome (Aion) e chiede il concordato preventivo. Ma a marzo il commissario nominato dal Tribunale di Reggio Emilia rileva «operazioni in frode ai creditori» (il tentativo di vendere alcuni impianti) facendo scattare il fallimento e le indagini della procura.
Kerself/Aion e le società del gruppo hanno però portato a termine il loro lavoro. I parchi fotovoltaici, costruiti su terreni agricoli, sono regolarmente in esercizio. E la proprietà è sempre loro, ma è stata trasferita all’estero. Vedi i 39 impianti (tra cui gli ultimi 11 della Saem) finiti in pancia alla Aveleos, joint venture tra Avelar (49%) e la lussemburghese Enovos (51%) in cui si ritrovano sempre gli stessi nomi.
Oltre ai subappaltatori, ai fornitori ed ai professionisti (uno dei quali a febbraio aveva chiesto il fallimento della Saem), non hanno visto un centesimo nemmeno gli agricoltori pugliesi e lucani che stanno affittando i suoli su cui sorgono gli impianti: speravano di incassare fino a 30mila euro l’anno a ettaro. E c’è da scommettere che tra dieci anni, quando finirà il ciclo di vita dei moduli, i pannelli solari (che sono rifiuti speciali) rimarranno abbandonati nei campi: le fideiussioni adesso sono carta straccia, a pagare per la rimozione dovranno essere i Comuni.
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