Per i risarcimenti già esecutivi”
alberto gaino
TORINO
Si faranno sentire per lungo tempo gli echi della motivazione con la quale i giudici della terza sezione della Corte d’appello torinese hanno spiegato la condanna a 18 anni del magnate svizzero Stephan Schmidheiny per il disastro ambientale doloso che ha provocato un «fenomeno di tipo epidemico», data la sua «eccezionalità», fra i lavoratori e gli abitanti delle aree industriali dove sorgevano i quattro stabilimenti italiani dell’Eternit oggetto del processo torinese. La causa è nota – la dispersione delle polveri di amianto, cancerogene, nell’aria, all’interno e all’esterno delle fabbriche - e i giudici hanno rilevato come dal giugno 1976 l’imputato si sia prodigato per nascondere quegli effetti anche attraverso una politica di “disinformazione”.
Sulla base di queste motivazioni, depositate dai giudici lunedì, diventa di ancora più stretta attualità la questione del pagamento di quasi 90 milioni di euro da parte dell’imputato a titolo di “risarcimento immediatamente esecutivo”. Lo sottolinea l’avvocato Sergio Bonetto, che nei due dibattimenti, di primo grado e appello, ha rappresentato l’Associazione familiari delle vittime di Casale Monferrato. E lo fa richiamando un passo della sentenza.
Nel motivare il loro diniego alla concessione delle attenuanti il presidente Alberto Oggè e i giudici a latere Elisabetta Barbero e Flavia Nasi osservano: «A nulla rilevano, al fine di riconoscere le circostanze attenuanti, i risarcimenti tardivamente effettuati dall’imputato nel corso del giudizio a favore di taluna fra le parti civili costituite, perché oggettivamente finalizzati ad ottenere la revoca delle costituzioni delle stesse parti civili e del tutto inidonei, per questo motivo, a fornire una tangibile dimostrazione di resipiscenza».
Aggiungono «la considerazione della gravità dei fatti, della loro protrazione nel corso di un lungo lasso di tempo, dell’ingentissima mole di sofferenze da essi procurate a numerosissimi lavoratori e cittadini, esposti senza difesa a patologie lentamente e crudelmente letali».
E rincarano rilevando «l’intensità del dolo che ha presieduto alla commissione di condotte illecite» in cui «l’imputato si è fatto guidare da un freddo calcolo di convenienza senza curarsi del valore primario dei beni giuridici che le sue condotte offendevano». Cioè la salute e la vita stessa di intere comunità, da Casale Monferrato a Cavagnolo (Chivasso) in Piemonte, da Rubiera (nei pressi di Reggio Emilia) a Bagnoli (Napoli), dove l’indagine epidemiologica promossa dalla procura torinese ha consentito di individuare per la prima volta centinaia di morti dimenticate per l’amianto.
L’avvocato Bonetto ricorda che la difesa di Schmidheiny ha inutilmente richiesto la sospensione delle provvisionali (cioè i risarcimenti già esecutivi) alla Corte d’appello e Nicola Pondrano, uno dei protagonisti delle lotte per la salute all’Eternit di Casale, aggiunge che la sentenza non può rimanere sulla carta: l’imputato deve cominciare con il risarcire le vittime, ci sono anche bonifiche da completare e addirittura da avviare seriamente in certi siti>. Fra i difensori di parte civile c’è già chi medita di rivolgersi alla Procura generale del Piemonte perché si faccia carico, sulla base del codice di procedura penale, di un’azione incisiva (e onerosa) di sequestri conservativi di beni di Schmidheiny fra le Svizzera e il resto del mondo
Sulla base di queste motivazioni, depositate dai giudici lunedì, diventa di ancora più stretta attualità la questione del pagamento di quasi 90 milioni di euro da parte dell’imputato a titolo di “risarcimento immediatamente esecutivo”. Lo sottolinea l’avvocato Sergio Bonetto, che nei due dibattimenti, di primo grado e appello, ha rappresentato l’Associazione familiari delle vittime di Casale Monferrato. E lo fa richiamando un passo della sentenza.
Nel motivare il loro diniego alla concessione delle attenuanti il presidente Alberto Oggè e i giudici a latere Elisabetta Barbero e Flavia Nasi osservano: «A nulla rilevano, al fine di riconoscere le circostanze attenuanti, i risarcimenti tardivamente effettuati dall’imputato nel corso del giudizio a favore di taluna fra le parti civili costituite, perché oggettivamente finalizzati ad ottenere la revoca delle costituzioni delle stesse parti civili e del tutto inidonei, per questo motivo, a fornire una tangibile dimostrazione di resipiscenza».
Aggiungono «la considerazione della gravità dei fatti, della loro protrazione nel corso di un lungo lasso di tempo, dell’ingentissima mole di sofferenze da essi procurate a numerosissimi lavoratori e cittadini, esposti senza difesa a patologie lentamente e crudelmente letali».
E rincarano rilevando «l’intensità del dolo che ha presieduto alla commissione di condotte illecite» in cui «l’imputato si è fatto guidare da un freddo calcolo di convenienza senza curarsi del valore primario dei beni giuridici che le sue condotte offendevano». Cioè la salute e la vita stessa di intere comunità, da Casale Monferrato a Cavagnolo (Chivasso) in Piemonte, da Rubiera (nei pressi di Reggio Emilia) a Bagnoli (Napoli), dove l’indagine epidemiologica promossa dalla procura torinese ha consentito di individuare per la prima volta centinaia di morti dimenticate per l’amianto.
L’avvocato Bonetto ricorda che la difesa di Schmidheiny ha inutilmente richiesto la sospensione delle provvisionali (cioè i risarcimenti già esecutivi) alla Corte d’appello e Nicola Pondrano, uno dei protagonisti delle lotte per la salute all’Eternit di Casale, aggiunge che la sentenza non può rimanere sulla carta: l’imputato deve cominciare con il risarcire le vittime, ci sono anche bonifiche da completare e addirittura da avviare seriamente in certi siti>. Fra i difensori di parte civile c’è già chi medita di rivolgersi alla Procura generale del Piemonte perché si faccia carico, sulla base del codice di procedura penale, di un’azione incisiva (e onerosa) di sequestri conservativi di beni di Schmidheiny fra le Svizzera e il resto del mondo
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